Linea sottile

Sei l’affascinante nulla,
sabbia tra le dita,
eterea e sfuggente.
Vento nelle mie vele
impalpabile ma vitale.
Sei invisibile ai più,
impenetrabile e profonda.
Fonte per me
assetato di vita.
Diamante nascosto,
stella di notte lontana e lucente.
Sei il tutto in un miraggio,
realtà o follia ?


Piove su Genova

Piove su Genova
naturale suo manto.
Piove sul mare,
sugli scogli e sul tuo futuro.
Piove su te,
nascosta dentro alle tue tue paure.
Piove sulla Lanterna
e sui figli dispersi,
sulla tua gente solitaria
in una muta convivenza.
Piove su mura antiche,
desolati ricordi
di un fastoso passato.
Piove su noi,
distanti e dispersi
in un grigio arcobaleno.
Piove sulle navi,
su sacchi e vecchio fasciame,
su ricordi, desideri,
e frustazioni.
Piove su me,
sulla mia faccia
portando via
il sapore di te.


Ritratto

Lei era così,
Un leone in un corpo di farfalla.
Ti toglieva il respiro,
e i suoi occhi ti mangiavano l’anima.
Lei era così.
come un diamante grezzo
tra bigiotteria d’alta classe.
Il suo splendore era puro,
privo di velleità e ambizioni,
sapeva di essere la migliore
anche se il suo vivere diceva il contrario.
Lei era così.
Parlava, parlava e sognava
e mentre lo faceva
muoveva le sue mani
in gesti sgraziati,
come se disegnasse nell’aria
poligoni irregolari
o dipingesse con le dita
un’esplosione di colori.
Lei era così.
Una bambola diabolica,
un giocattolo fragile.
Era esile, e quando camminava
la sua figura fluttuava dell’aria
come se il suo corpo
non avesse peso.
Era bella,
“come i fiori e l’erba
di scarpata ferroviaria”
Aveva occhi di cielo
e labbra sottili e rosa
come il pesco a primavera.
Lei era così.
Filosofa, artista
e spesso funambola,
sempre in equilibrio
tra scappare e restare.
Aveva il cuore sulla porta
e l’anima già altrove,
forse lontano
o forse solo oltre il ciglio della strada.
Lei era così.
Incantevole, affascinante
ladra di sguardi
e dispensatrice di emozioni.
mutevole, complicata e
nello stesso tempo trasparente,
eri in grado di vedere i suoi complicati meccanismi
Lei era così.
Unica.
(la citazione è tratta da “Autogrill” di Francesco Guccini)


 

LUCIA                           

 

Ti amo,

perché sei parte di me.

Non ti conosco

Eppure sei mia.

La tua voce è muta

ma nel mio cuore c’è.

Mangrovie in fiore

Mi ricordano quel giorno.

La mia pelle sudata

su bianche lenzuola.

Dolore, dolore, solo dolore

E poi la gioia,

inaspettata

di vederti

e sentirti piangere.

Non ho toccato le tue mani,

non ho sfiorato il tuo viso.

 

Sei distante,

lontana,

per sempre.

 

Ti ho persa,

lontana,

per sempre.


Rugiada e sangue        

 

Rugiada e sangue

ho trovato su te.

Il tuo corpo disteso

su queste squallide lenzuola

mi invitano

a peccare ancora.

L’innocenza svanita

dai tuoi occhi d’ebano,

la tristezza che emana

il tuo sorriso spento,

la sensualità già adulta

di questo tuo piccolo corpo.

Immersa per gioco

in una realtà

che non ti appartiene.


 

Campane                  

 

Don…Don…Don…

Nel cielo scintilla il battito bronzeo

di mille campane ormai desuete,

dalle chiese s’innalzano preghiere materne

per i figli rubati dalla fame guerriera.

Corrono lungo le piane le lacrime

a cercar quel corpo

che s’addormentava fanciullo alla sera,

a cercar quel viso

che accarezzavi di notte nel letto,

a sentir quella voce

che inutilmente implorava pietà

all’asburgico nemico.

Don…Don…Don…

tra le nuvole si disperdono

i rintocchi metallici

che i campanili esplodono

come obici ciechi.

Don…Don…Don…

dalle campagne alle alte cime,

dai ghiacciai al mare

passando per le trincee

insanguinate e piene di quelle

che una volta erano anime

e che ora sono soltanto corpi

al soldo dell’idiozia di pochi