“DOVE SORGE IL SOLE, PIETRA PREZIOSA”

 

Prefazione: un racconto toccante, quello di una donna che diventa madre, dopo una lunga attesa in cui sarà costretta a riguardarsi dentro, per tutte quelle volte che aveva iniziato e non aveva finito più.

In un vortice di emozioni ancora da incanalare, ma che nella sofferenza trovano tutte le risposte.

Il dolore dell’infertilità, l’elaborazione del lutto di non poter concepire un figlio. La scelta consapevole di accogliere un figlio nato da un altro grembo. La meravigliosa esperienza della gravidanza fuori dalla pancia. Dove tutto non è proprio scontato. Dove tutto deve essere costruito e ricostruito da fuori. Con fatica. Il miracolo poi di un’altra vita che nasce.

Il cammino ancora indefinito che questa giovane donna si ritrova a percorrere, nel messaggio di speranza, fiducia, coraggio e amore che un figlio ha potuto far scoprire.

 

Dedica: A voi due, miei piccoli amori. Abbiate paura, abbiate coraggio. Avevo in mente di tatuarmi i vostri nomi, invece è arrivato prima questo scritto, già tatuato nella mia anima. Mamma

 

 

Mi sentivo che non ce l’avrei fatta più. Ad aspettare ancora. Perché avrei dovuto torturarmi ancora in questa attesa indefinita? Tre anni e mezzo che ti aspetto. Dentro di me. Dapprima nella mia testa, poi hai occupato il mio cuore notte e giorno. Penso al tuo volto, a come sarai, quando potrò finalmente abbracciarti, cosa avrai passato fino a quel giorno. E quanto peso avrà il tuo vissuto sulla tua anima. Perché è la tua anima che accoglieremo, io e papà. Penso se saremo in grado di gestire tutto ciò, piccolo angelo. A volte lo credo, altre volte mi sento così a terra che non ci credo più. Non vedo uno spiraglio in questa attesa con incognita. Aspettare. Una gravidanza lunghissima, la nostra. Mentale soprattutto. Ma quale gravidanza non lo è. Ed è incredibile come, trapassati dal dolore di non poter concepire un figlio, siamo stati forgiati nel cuore e nell’anima da te. Dal desiderio di te. E abbiamo iniziato questo viaggio dentro di noi che forse non avremmo cominciato mai. Un’inestimabile Dono ci hai fatto. Quello di guardarci dentro. E di renderci ancora più uniti aspettando te.

 

Era inverno. E tu sei venuto a trovarmi in sogno. Ma non sapevo fossi proprio tu. Ti tenevo in braccio e mi guardavi con quegli occhioni. Mattia, mi avevi detto di chiamarti. Dono del Signore. Allora perché quella paura mentre ti tenevo in braccio? Molti mesi dopo, tutto ha avuto un senso.

Agosto. La telefonata della nostra vita presa un venerdì pomeriggio, quando mai avrei immaginato. Un colloquio “informativo” che dentro di me sapevo già essere quello della nostra vita. Tu sai che è così, ma nella realtà dei fatti nulla è mai stato così certo. In balia del destino. Ci tenevamo per mano quella mattina, io e papà. E mentre il Giudice ci raccontava di te, dei tuoi occhioni, della tua anima, che già era venuta a trovarmi, la paura nel sogno l’avevo risentita tutta. Quella paura che sentiva anche papà, lì in quel momento. Paura. Paura se ce l’avremmo fatta. A sostenere questo carico emotivo insieme a te per un tempo indefinito. Un’incognita nell’incognita del rischio giuridico di poter diventare tua madre e tuo padre. Ho fatto forza a papà quella mattina, togliendogli ogni dubbio che fossi proprio tu nostro figlio. Non poteva essere che così. Il sogno molti mesi prima, quegli occhi che non hanno mai mentito. Prima di uscire da quella porta, ci siamo lasciati con un “vi faremo sapere”. Mi è rimbombato nella testa fino al rientro a casa.

Un week-end eterno. E i giorni a seguire ancor più logoranti. E noi che speravamo in quella chiamata. Aspettare. Ancora aspettare. Ansia. Finalmente il mercoledì, giorno in cui papà aveva finalmente ricevuto quella telefonata e mi aveva detto di te, apparecchiando la tavola per tre. Lacrime di gioia. Dove sorge il sole.

Pensavamo di poterti incontrare già venerdì, ma ci siamo dovuti accontentare di alcune foto. Eri tu, proprio tu. Identico a come mi sei apparso in sogno. E la paura ancora tanta. Per quello che insieme a te ci aspettava.

Lunedì. Avevo atteso questo momento per anni, quello di tenerti fra le mie braccia. Quello di essere chiamata mamma. Eri uno scricciolo spaventato. Quando ti abbiamo visto stavi piangendo perché non volevi essere cambiato. Credo tu non volessi proprio starci lì. Un pezzettino di legno. Quanta fatica i primi tempi ad insegnarti ad essere rilassato. Un’anima grande in un corpicino così piccolo, quanto avevi già vissuto. La paura era tornata, quella stessa paura che ci aveva fatto dire di sì. Mi chiedevo se ce l’avrei fatta. E questa volta è stato papà a farmi forza, a dirmi che tutto sarebbe andato bene. L’incognita. Perché in quel momento, nella gioia di vedere tuo figlio, come quando partorisci e te lo mettono sul grembo ed è tuo figlio per sempre, in quella gioia c’era l’incognita se tu nostro figlio lo saresti diventato per sempre.

Avrei voluto un po’ più di tranquillità per noi. I primi tempi. Ma capisco anche che i servizi sociali dovevano assicurarsi che tu con noi stessi bene. E ho stravissuto ogni singolo istante con te, annusandoti, baciandoti, standoti così vicino, anche fisicamente, quasi per darti quello che pensavo ti fosse mancato. Un grembo fuori dal grembo dove poterti sentire al sicuro per sempre. La tua mamma. La mia gravidanza stava continuando con te al mio fianco, ed è durata sino al giorno in cui hai preso il nostro cognome. Giorno dopo giorno io e te, da fuori, abbiamo costruito e ricostruito quel legame, così scontato per molti, che per i più si instaura automaticamente fra una mamma e suo figlio. Per noi no. Abbiamo faticosamente costruito questo legame da fuori. Io e te. Tu ancora non ti rendi conto di che potenza sei, ma mi hai fatto un altro Dono immenso. Quello di poterti amare.

Agli occhi superficiali del mondo noi eravamo una coppia giovane e fortunata con un bimbo piccolo arrivato con l’adozione. Ai nostri occhi c’era il coraggio e l’amore, la fatica e la speranza. Ai nostri occhi c’eri tu che da quando eri nato hai faticato. A muoverti, a stare seduto da solo, a guardare il mondo con i tuoi occhioni. A essere consolato, a sentirti protetto. Ai nostri occhi c’eri tu con noi, noi tre che ogni quindici giorni silenziosamente tornavamo all’origine, per diversi mesi da quando eri arrivato a casa. Per decisioni prese dall’alto che io e papà abbiamo accettato. Per te. Per noi. Famiglia.

Faceva male al cuore, tanto. Li chiamano incontri protetti. Nessuna protezione per l’anima però. Non auguro a nessuno di sentirsi come mi sono sentita io. E con me papà. A lasciarti per quell’ora in cui non sai se è davvero la cosa giusta e se davvero è necessario fare questo. Mani legate, anime lacerate. Ci accompagnava una canzone, la nostra canzone, in quei tragitti: “E mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a te, che da sempre sei per me l’essenziale”. Mengoni non poteva dirlo meglio.

Si, perché la tua vita è dipesa anche da un Giudice fino al giorno in cui tu non hai più voluto lasciare il mio collo e l’educatrice non è più riuscita a portarti in quella stanza per il tuo straziante pianto. Avevi scelto. Noi e avevi detto basta. E come puoi esserti sentito tu? Che se con noi facevi tre passi in avanti, al rientro da queste mattinate erano due passi indietro. E cosa avevi già compreso tu, così piccolo ma consapevole. Quanto dolore dentro. Esperienze che ti e ci hanno segnato. Segnano anche chi c’era dall’altra parte. A cui era stata data un’altra possibilità, l’ultima. Fino alla fine. A questa mamma della pancia che non è riuscita a prendersi cura di te. Che non sapeva come fare.

Ci penso a volte. Penso se ti pensa e credo di sì. Ad ogni tuo compleanno, ci penso. Penso che anche lei sia stata coraggiosa. A donarti la vita e poi a lasciarti andare. Nell’incognita. E’ come se quest’incognita ci abbia accomunate a un certo momento della nostre vite, per un attimo quasi parallele, nel preciso momento in cui quel testimone è stato passato. Nel preciso momento in cui abbiamo accettato, ti ha lasciato andare, piano piano.

Non puoi che essere il nostro Dono del Signore, piccolo Mattia. Questa è la strada che dovevamo percorrere per arrivare a te e alla Pietra Preziosa che è arrivata dopo. Inaspettatamente. Nemmeno i medici si spiegano come possa essere potuto accadere. Ti hanno definito un miracolo, Pietra Preziosa. Il nostro secondo immenso miracolo.

Qualche giorno prima di Natale, aspettando gli incartamenti per il cognome di Mattia. Un inaspettato ritardo. Che mai avrei previsto. Ero convinta che mai avrei potuto gioire di questa possibilità. Ma tutto era nei piani di qualcuno Lassù. Lo so per certo. Lui solo sa cosa abbiamo attraversato. Lui ha visto le nostre lacrime, Lui ci ha dato la forza per andare avanti e risollevarci ogni volta. Tanta forza. Tanta determinazione.

Tutto procedeva meravigliosamente bene, e pensavo spesso a cosa io e te ci siamo persi. Ma allo stesso tempo a come siamo stati capaci a viverci da sempre fino in fondo, per recuperare il tempo andato. Allattavo Pietra Preziosa e mi tiravo il latte anche per te. Pensavo a come potevo spiegarti cosa stava succedendo. Si, perché mamma e papà ti avevano già raccontato la tua storia. Che non potevamo avere figli dalla pancia. Che hanno consapevolmente intrapreso la scelta di diventare genitori in un altro modo. Cosa mi avete raccontato? Prima una cosa, ora succede l’esatto contrario. Piccolo mio, questa è la vita. Che ci coglie talvolta impreparati e ci sorprende proprio quando non avresti mai pensato. Ti ho sentito destabilizzato, confuso. Così piccolo ancora per comprendere bene. Pietra Preziosa aveva scelto. Anche lei aveva scelto di arrivare nella nostra famiglia. E ha scelto le vie tradizionali, con un breve travaglio fra l’altro, sapendo già del nostro lungo travaglio durato anni. Aveva fretta di conoscerci. Di conoscere te e di viverti. Che fortuna per entrambi crescere in una famiglia come la nostra. Legati dalla famiglia.

Vi vedo crescere ogni giorno insieme e non riesco ad immaginarvi diversi. Siete perfetti così. Nel vostro cercarvi, nel vostro litigare. Nelle vostre risate a crepapelle, nel vostro prendervi per i capelli. Nel vostro dormire insieme, nel vostro bisogno di distinguervi. Nel vostro giocare, nel vostro essere diversi. Nel vostro camminare vicini, nel vostro correre distanti.

Io la vedo, Pietra Preziosa. Quanto è illuminata da te. E vedo te, Mattia, quanto sei illuminato da Pietra Preziosa. A volte le vostre anime si intrecciano al punto che penso siate la cosa più meravigliosa che ci possa essere accaduta. E che non ci appartiene. Si, perché voi figli arrivate da noi genitori, spesso quando noi non siamo ancora abbastanza allenati alla vita. Arrivate da noi per educarci. Arrivate nel modo che volete voi e quando decidete voi. Arrivate con la vostra vita, che non è la nostra. Arrivate per renderci delle persone migliori. Per farci apprezzare il Dono della vita in tutto il suo senso e per esserne grati. Per gioire dei piccoli traguardi quotidiani, soprattutto quando si è in salute. E nel mentre in cui cresciamo insieme, genitori e figli, arriverà il tempo che prenderete la vostra strada, e non ce ne saremo neanche accorti. Una strada che sarà sicuramente diversa dalla nostra. In cui riconosceremo il coraggio e l’amore, la fatica e la speranza a cui voi ci avete educato. Che voi ci avete insegnato.

Si è figli, perché figli si nasce. Si è figli, perché ci sentiamo figli. Perché mi fanno sentire figlio. Ci sentiamo figli nell’amore di chi cresce con noi. Nell’amore di chi ti guarda ed è innamorato della tua luce. Non tutti la vedono questa luce. A volte la scoprono dopo. A volte tardi. A volte troppo tardi. A volte mai.

Ringrazio mio padre. Per tutti quei pomeriggi che non sei venuto a trovarmi. E io ti aspettavo. Eravamo così vicini, ma così lontani. Non hai mai voluto scoprire il tuo dolore ai tuoi figli. Il dolore fa parte della vita, papà. E lo sotterravi da adulto con il tuo comportamento talvolta inadeguato e incomprensibile. Non ti sei reso conto di esserti incancrenito nel dolore della perdita di tuo padre per tutta una vita, e hai perduto di vista il rapporto con i tuoi figli, con me. Hai perduto tuo padre quel giorno, ma hai perso una figlia più avanti. Non ero morta fisicamente, ma lo ero dentro. Perché non sono stata aiutata a capire le tue scelte da adulto e non ti sentivo vicino. Eri lì, ma non c’eri. E non hai voluto vedere la mia luce in quel momento.

Ti ringrazio per questo Dono che mi hai fatto, ora lo sai. Perché in questa sofferenza, io sono cresciuta dentro cercando di comprendere, cercando di perdonarti. Perché sei stato fragile. Non sei stato aiutato. Non hai elaborato un dolore troppo grande. Non lo hai elaborato ancora. La sofferenza che si era creata fra di noi è stata la mia rinascita. Si, perché il bello della vita è che puoi nascere più e più volte, papà. Come nel giorno del mio matrimonio, quando mi hai abbracciato per la prima volta. Lì sei rinato e hai visto la mia luce.

Apprezzo il Dono della vita, di un figlio, perché anche tu me l’hai fatto scoprire. Si, purtroppo soffrendo, passando attraverso un dolore cane. Ma la sofferenza è vita. Ne devi uscire, e ne esci con altri occhi.

Dal dolore dell’infertilità è arrivato Mattia. Ci siamo passati attraverso e abbiamo trovato la strada. La strada poi ci ha riservato un’altra meravigliosa sorpresa.

La vita è un complicato altalenarsi di gioia e sofferenza, ci siamo tutti vorticosamente dentro, e noi tutti facciamo del nostro meglio per trovare un equilibrio. Sbagliando e risbagliando. Chiedendo scusa. Per ripartire, per rinascere. Perché non sia troppo tardi.

Se potessi darvi i miei occhi, Mattia e Pietra Preziosa, vedreste la gratitudine di avervi con noi ogni giorno. Ma non di “avervi” come possesso, ma di poter respirare insieme a voi la vita. Una vostra risata fragorosa, un cin cin fatto coi bicchieri, una corsa sul prato, un pomeriggio passato a dipingere gli scatoloni, una torta al cioccolato, un bacio dato mentre dormite, l’abbraccio come saluto il mattino, la vostra sorpresa nello scartare un regalo, il momento delle coccole.

Se potessi tornare indietro, direi che ce la si può fare sempre. Se potessi tornare indietro, mi guarderei con tenerezza. Se potessi tornare indietro, prenderei per mano quella bambina di soli dieci anni e le direi che nemmeno si immagina, ora che sta così piangendo, che famiglia è anche questo, perdersi e ritrovarsi, senza sentirsi in colpa, che proprio questo rende la famiglia vera, forte e solida. Che famiglia è per sempre, nella gioia e nel dolore, e che lei nemmeno si immagina di quanta altra bellezza le riserverà la vita.


 

 

09.01.2001

 

Si trova dietro ogni angolo della tua strada,

sogghigna al tuo passare, ma tu prosegui sulla tua carreggiata.

Va tutto bene, ignora il suo pensiero tremendo.

Anche di notte lei ti guarda mentre stai dormendo.

Non sai quando ti porterà con sé nel suo castello,

non aver timore, anche se il suo fardello

pesa da stremare la tua anima che ha sofferto

e che non riesce ad occultare il suo mortale avvertimento.

 


 

NON TI LASCERO’

 

Non ti lascerò solo nella tua disperazione,

sono pronta a condividere qualsiasi emozione.

Il mio respiro buca la tua stessa aria,

capisco la sensazione di vuoto della tua anima,

ci sono passata una volta anch’io

nel vortice infernale dell’oblio.

Ti tengo forte la mano sudata,

insieme oltrepasseremo la valle dannata.

Io ti sono accanto,

asciugo le lacrime incessanti del tuo pianto.

Ti faccio forza in questa tragedia,

con le mie parole placo la tua miseria.