Orme del sacro

Nel buio forse eterno delle ère
la grazia degli esseri di luce
tormenta l’immobilità del cosmo
punteggiando l’immenso mantello
nato cieco dalla grande esplosione
con la necessità del movimento.

E’ questo forse, queste creature del bisogno
–osmotico riequilibrarsi di energia-
che spinge con la forza dell’immotivato
l’Universo a espandersi dal nulla.

Mutilato di una quiete impensabile
ciò che esiste si accende e si propaga
con la forza di onde concentriche
aumentando il raggio del cosmo
a morsi di solitudine e pensiero .

Grida ogni luce dal fondo del suo letto
sapendo di appartenere alla notte,
e l’insensato scorrere del tempo
trova motivo in questa voce solitaria
che si aggrappa alle sporgenze del cielo
per captare altri echi nella rete del silenzio…

uccelli gridano, la luna è già comparsa
crescendo ben prima del tramonto
già manifesta l’ansia di pienezza
che la farà rossa d’amore in faccia al sole.

A quest’ora i cormorani calano bassi
a prendere possesso della spiaggia.
Si appoggiano lievi con pigolio struggente
poco lontano lasciando orme del sacro.


Rassegnazione alla notte

Te ne andrai.
Ripartirai.
Verrai con me alla notte
su carri trainati da cavalli stanchi
a percorrere strade di polvere e sassi.
Lontano il brusio dei passi e delle voci
ritornerà quieto nel silenzio lunare
dove interi castelli abbandonati
attendono viandanti dal lungo mantello…

sarai con me nell’attimo del sonno,
quando il viaggio incomincerà spavaldo
e d’oro
riluceranno le borchie delle selle.

Così la notte avrà un respiro di oceano
pronto a inghiottire zattere di naufraghi.
Sotto i lampioni di luce fioca, assente,
solo un’ombra fuggevole il tuo corpo.

Poi di nuovo comparirà l’aurora
lavando via dalle guance del paesaggio
sogni dismessi.

Lo so, tu non battevi alla mia porta,
il tuo sognare non cavalcava bianchi cavalli
dai finimenti d’argento.
Non t’importava del profumo della notte
e ai davanzali stelle brune come occhi
stavano fisse al posto dei fiori
a ricordarmi il rilucere impossibile
della tua costellazione d’amore.

Non mi consola la tua improvvida attenzione
che non è tenerezza di erba nuova,
la tua mano non sa trovare nel mio buio
il punto da cui irradia la tristezza.

Giunchiglie e sterpi fra la strada e i campi
svettano bianchi sotto la luna piena.


Ritorni dalla terra di dentro

Violini ed arpe prima del vespro
accompagnano sublimi il mio scrivere solitario.
Sui colli sotto alberi in preghiera
cammina il mio spirito immerso
nella percezione di una pienezza che è musica ignota,
nell’ora in cui turba la quiete
dolce del giorno l’arrivo della nave.
Non importa di che àncora saprà legare
ai fondali del porto la propria solitudine:
essa è straniera.

Scorre sulla tastiera la mano
consapevole, dita spavalde percorrono
strade di note nella miseria dell’ascolto,
nella mente principi stranieri
vanno e tornano, muti
guardandomi di lontano.

Non un sussurro verrà
a interrompere la pena delle foglie
nel vento della sera.
Non un suono giungerà a soccorrere
l’incauto affacciarsi degli astri
indifesi sull’orlo della notte.

Ascolterò il mio tormento
senza una parola accarezzarmi piano,
con voce estranea il vento
di questa estate alle porte
ripeterà gesti d’altri tempi sui crinali dei colli….

Ma tu sai portarmi ancora il freddo.
Sento freddo nel giorno mentre ascolto
i bambini nel loro ridere incessante
a giocare coi fiori.
Prati interi di erba frustata dal sole
ripercuotono grida alle mie orecchie:
la tua voce che sa
portare ancora inverni
e visioni tristi di alberi in croce
coi rami esposti alla crudeltà del cielo.
L’agguato di presenza equivoca all’angolo della strada,
mi disorienta e torna
come un presagio di pioggia
a sferzare violento sulla nuda terra.

Io mi bagno sapendo
di andare incontro alla notte.

La tenerezza del germoglio dentro tessuti
di carne e sangue diventerà di pietra,
impietrito lo slancio assume forme
e il battito avrà impronta di fossile
sulla faccia del monte dove conchiglie
di altre ère intarsiando dolori
segnano il tempo.

Pian piano sarà duro il capezzolo
che prima allattava con dolore
il bisogno di carezze.

Così non risponderò al tuo invito,
evaderò da prigioni di foglie
graffiandomi a sangue coi rami nascosti
e gli occhi degli alberi mi seguiranno attenti
sul cammino prospiciente il precipizio.
Non saprai di che colore è la mia ombra,
che tipo di traccia lascerà il mio passo
o se il salto della roccia saprà prendermi
fra le braccia e cullarmi ancestrale
in un immemore ritorno.

Paesi e colli lontani nel cuore
vagheggiano l’arrivo del viandante
alle radici oscure di una terra
mai vista,
se non in sogno.

E allora ti porterò con me,
senza che tu lo sappia volerò
alle altezze smisurate delle montagne
per ricordare intimamente il tuo altro nome.
Anche se nel frattempo ad altre strade
dedicando gli inutili percorsi
la necessità corrusca del mare
-ombra certa del dio-
ci avrà traditi.