NEMEA

Tre colonne altissime nel centro della terra, la più splendida pianura
tutt’intorno, tu correvi come un agile ghepardo, senza corpo
ma col cuore maculato dal dolore, nello stadio illuminato da quel cielo
strano che ricordo puntellato ora di nuvole
ora d’oro
Quell’oro che crollava sulla testa di un ragazzo la cui età non era consona
allo stomaco, sempre troppo pieno e dolorante
Lo sentivi il peso dei tuoi anni, era una lunghissima catena
alle caviglie, eppure andavi leggerissimo di sole e di mistero, forse il lauro
sosteneva le tue gambe nella corsa o forse
solo quelle storie che leggevi dentro al letto erano il vento
che ti salvava il corpo e tutta la distesa di un’essenza
che io mai ho carpito intera, speculando su un possibile passato, sui tuoi viaggi
mai condotti
Io che ti ho impastato come argilla, dato forma e immaginato
di poterti cuocere e indurire perché non mutassi ancora, io che ho perso
ed oggi bevo alla sconfitta e questo vino di Nemea lo immolo
a tale meraviglia, la tua corsa su una sabbia senza tempo e senza angoscia
apoteosi di un momento
che non tiene in conto né la carne, dove ancora scorre sangue
ed amarezza, né la vita
Troppo immenso è questo sole, troppo belli i tuoi capelli
che danzano al danzare dei miei occhi, su per le scanalature doriche
e poi sopra le tue spalle
E ti cavalco col pensiero, perché so che questa sera tu mi chiederai di cingerti
la vita e poi quei fianchi un po’ più scuri questa sera
come il mirto quando è agosto
La tua pelle la conosco, dunque dimmi
se possiamo mai trovare qualche cosa oltre quel miele che si insinua
nelle vene quando ci apre le finestre la stagione delle rose
e del profumo delle zagare e dei rami degli ulivi che si muovono nel vento
come argento in filigrana ora spezzato
da un pensiero momentaneo, ora unito da quel bacio che tu ancora
non mi hai dato


IL LEOPARDO

La mano che ti tocca non è mia
È visione di una sera, di una stoffa accarezzata
e del desiderio che non so ingoiare
È la mano di quel dio che mi possiede quando fisso
le pupille che hai nel volto e le riempio di una luce adamantina
che non hai
E penso ai boschi
alle fontane vomitanti acqua gelata
alle tue mani che si muovono nel vuoto e non mi sfiorano
due mani come marmo atemporale
che non dànno più perdono
Anche tu eri uomo
quando ancora il vento non ti aveva raffreddato
un cane a caccia di cinghiali, di conigli senza tana
Io che credo d’essere perfetta
sono solo qualche pietra abbandonata in un bellissimo paesaggio, sono
quel miraggio che tu segui senza tema
e senza testa, ma lo sai che io ti sfuggo per averti, per sapere
che la notte tu non dormi e mi ricerchi
Domattina sarà sole, dice il mondo
Quanta pioggia ci ha bagnati, infradiciati come canne di palude
tu mi cerchi anche nel sonno
vedi un verde smeraldino e una radura dove corre
un cervo immemore del sibilo del dardo
Tu sei un debole leopardo, io una preda che non vuole più paura


L’ARCHITETTO
(Pasquale Scarano, Bari 1902-1968)

Squadra e stilo in mano
Dava un senso a quel paesaggio che non era alla finestra
Si formava nella testa, quando apriva gli occhi indaco
e fissava i marciapiedi sempre grigi
Troppo fumo gli oscurava il cielo fino al mare e perforava
i suoi polmoni, ma nel naso lui sentiva acqua di mare, da levante
il vento caldo dell’estate che arrivava
e gli bagnava il collo, sempre avvolto nella seta
Quanta sete aveva il popolo di avere le sue dita
a disegnare il nuovo porto, raccontarlo come fosse un nuovo mondo
con al centro la città fatta di strade ortogonali
e gente triste
Fino a quando poi arrivavano i mercanti
con le loro vesti strane e colorate, coi prodotti del passato
e del futuro
E lui chiuso in uno studio, non apriva quella porta
che la sera, perché chi disegna il mondo riconosce la materia
del silenzio, che è colore da impastare con l’amore
ed il ricordo di quei tempi in cui nel gesto era rinchiuso
un universo di significato e azione, in cui il gesto
non poteva mai fallire, era un segno da seguire nel destino
fino all’ultimo gradino della scala
che ricordo nel bozzetto
Mi portava fino al cielo tra gazzelle e donne rosse più del vino
che oggi bevo ragionando
sulla torre che ponesti sulla cima, bianca come
la mia pelle, tra coriandoli ed uccelli
era come un Carnevale di emozione
Ricordare la tua vita senza averla conosciuta, ritrovarmi nelle dita
la tua pazienza muta e nell’anima un progetto
di colore