Sento
Passeggiando in alte valli,
come una carezza rammento l’aria fresca,
che sulla pelle glabra d’essere umano,
cattura calore e me ne priva.
E sento un brivido nella schiena,
mi sento vivo,
io sono vivo,
IO SONO.
E porta quel calore in tutte le cose della Terra
da quelle più grandi a quelle più minute
in una coesione e connessione che fa il tutto unitario
a dichiarare la grandezza di tutte le forze dell’universo
che si armonizzano infinite volte nella geometria di ogni cosa.
Dalle alte e bianche vette dell’Himalaya
alle nere profondità, della fossa delle Marianne
per ventimila metri di dislivello
tutto è connesso.
Dal gelo antartico
all’ardente sabbia sahariana
per centocinquanta gradi di escursione termica
tutto è connesso.
Dalla foresta Amazzonica
alla foresta Nera,
per milioni di specie in sintonia
tutto è connesso.
Dalla Luna al centro della Terra.
per trecentottantamila chilometri
tutto è connesso.
Da ogni respiro di ogni animale
ad ogni goccia che pende da ogni foglia
tutto è connesso.
Dai fili d’erba delle praterie scozzesi
ai frutti del tarassaco nei campi alpini.
E tu che mi leggi, lo senti il brivido dentro?
Quel brivido disarmante che nasce nella schiena
e spezza il fiato e gonfia il petto
e ti disarticola dalle pochezze della frenesia umana
e ti rigetta, mani e piedi a terra
e ti bagna gli zigomi
e ti fa sentire Vivo.
Come se i fiumi fossero vene.
Come se le stagioni fossero respiri.
Come se le pietre fossero le ossa
Tu ti senti connesso?
Non vedo più i paesaggi,
non ne ascolto più i suoni
non ne annuso più i profumi
Io li Sento.
E tu li Senti?
Corre
Corre la mente più rapida della luce
s’eleva nella grandezza del tutto
incurante del sapere ch’è legge delle cose;
più lenta dell’universo s’arresta nell’ammirazione
di colori che mai altro terrestre vide prima
se non con stampelle d’ingegno tramandato.
S’approssima ad ogni limite e lo valica imperterrita.
Da lontano prepotenti, le cose umane segnano,
come cicatrici inscatolano e suddividono,
ogni cosa e persona, ognuno in mille rivoli inconcludenti,
in mille volontà bisogni artefatti e necessità finte,
erette a simulacro e negazione di ogni cosa che a vederla dà senso di giusto di armonia e bellezza,
di coesione e appagamento,
di vivamente irriverente alle necessità del mondo d’artificio.
Viva mente irriverente ridestata dal torpore che segnò quel mese nero,
si rivale sulla follia di resa
che fu segno e monito
di quel tempo fugace agli occhi futuri
tanto quanto tagliente alla memoria del tatto.
E si dimena, irrefrenabile,
avversa alle costrizioni,
ad ogni certezza di cartapesta,
s’adopera nel suo quotidiano
demolir dell’ovvio.
Il giusto, l’appagante, l’armonioso,
li sento in me da allora,
da quelle ore e giorni di buio,
di assurdità oniriche coscienti,
in una nuova concezione e percezione di tutte le cose.
Respiro! A pieni polmoni Respiro.
Vedo! Io Vedo!
Ed ascolto, con altri occhi,
vedo, con altro fiuto,
annuso, con altra pelle,
tocco, con altre orecchie.
E quella scienza
che m’era stampella,
ora m’è guida.
Sopraffatto ammiro tutto questo.
Ciechi resi, nella troppa luce immersi
Subite oh ciechi resi, che nei luccichii della pervasiva decadenza vi saziate,
nella vostra renitenza dai valori giusti,
nella vostra ottusa inappetenza di rinnovo.
Dormite oh desti sognatori che illusi rincorrete artifici di parole ed apparenza,
di scene vuote di sostanza che dimentiche perenni sono del futuro progettare.
Piangete le futili mancanze, piagnucolate per le tante negazioni del superfluo,
lamentate il giornaliero prezzo animale
mentre accettate come più che giusto il mangiar dietro pagamento;
mentre silenti chinate il capo a sopperir con senso di colpa alle carenze ubique,
che frutto sono dell’opera impassibile e spietata,
di quegli stessi vili parassiti che col perineo al posto dei baffi,
v’accusano di proprie mancanze.
Cosa serve a smuovervi dalla vostra ignava accettazione dello scempio,
contro il vostro stupido rifiuto del riscatto secolare!?
Cos’è necessario a disintossicarvi dalle consuetudini malate!?
Cos’occorre a colpirvi come un maglio!?
Lassù tra buio e vuoto
Immersa nella microgravità ed in tutto quel nulla,
in tutto quel silenzio,
e buio,
e vorace,
che nero e gelido affonda nell’io più profondo
i suoi artigli impalpabili che spietati spezzano il fiato.
E fagocita ogni velo di speranza.
Ed annulla ogni minimo splendore.
E sempre più lontano,
quel puntino azzurro si perde alla vista.
Viaggia dormiente
e giungendo si ridesta
il compagno di viaggio discende
in quel relitto antico quanto il tempo.
Piano piano,
docile nel suo discendere,
sobbalza tra sbuffi di polvere leggera
e s’adagia nel suo mortale anfratto
e da lì, nel suo grido di gloria
che risuonerà nei secoli a venire,
richiama l’attenzione di padri e madri
E si fece la storia!
Si fece la conoscenza!
Si fece la Nostra essenza!
Di turno
Frenesia d’irrquietezza
mi solletica la schiena e il diaframma
mentre l’odore meccanico
e i rumori ostili d’officina,
freddi, metallici, nauseanti, ruvidi,
salgono dalla strada calpestando ancora
quella natura già ferita gravemente al cuore
dalle umane quotidianità
dell’alienazione dei gloriosi trenta.
Fremono le mani infreddolite e intorpidite,
mentre fisso il mio sentire,
momentaneo tradurre al convenzionale
dall’analogico personal sentire.
Fremono il petto e la pancia mentre l’ansia m’assale
nell’osservar l’inesorabil progressione dei minuti.
Mentre l’ora dell’imposizione disumana s’avvicina.
Brividi lesti e innaturali
m’irretiscono in una tortura d’attesa
che mozza il fiato a mezzo
e secca la gola
e fa temere il pomeriggio in quel posto
che dell’ipocrisia subdola e malevola,
dell’individualismo arcigno e gretto,
dell’ego malato e renitente,
è il regno d’elezione.
E per fuga da questi mostri d’esistenza
rammento la neve di quella partenza che 13 lune fa
posata mordente sulle cose di tutti e di nessuno,
mi regalava il primordiale spettacolo d’infanzia
cristallizzato fiero tra ricordi antichi.
Lacrimo tenace
pensando a quel saluto
che per giorni infiniti
rischiò d’esser l’ultimo.