…e tutto tace intorno a noi

(pubblicato il 9.8.2013) di Biagio Amelio

Premessa

Da qualche mese sono iniziate le celebrazioni del 4° centenario della nascita del nostro grande artista Mattia Preti, un avvenimento che aspettavamo da tempo con trepidazione.
Avremmo preferito, dati i nostri trascorsi, essere in qualche modo coinvolti, ma non è stato così. E non poteva essere diversamente dal momento che, da qualche anno, emerge una evidente tendenza a cancellare dalla memoria dei tavernesi il nome dell’ Associazione Culturale “Centro Studi Mattia Preti”, nata nel mese di Novembre 1980, e dei suoi componenti.
Da qui l’esigenza di far tornare alla mente degli smemorati quello che la suddetta è riuscita a fare in anni difficili per la cultura tavernese e per il nostro bel paese.
Nel mentre aspettavamo le odierne celebrazioni sperando vivamente nella loro riuscita, discutendo
con amici e paesani spesso siamo stati portati a parlare del tempo da noi dedicato alla ‘causa’, delle notti e dei giorni del lavoro svolto, dei numerosissimi incontri con politici e autorità, preceduti da attese snervanti, di quelli con artisti e relatori, con alunni e organi scolastici; dei rischi corsi nell’avere in custodia opere di grandi artisti non protette da assicurazione, delle ansie vissute perché, nonostante le promesse, i contributi per la realizzazioni delle nostre iniziative tardavano ad arrivare e noi, sommersi dagli impegni economici assunti, rischiavamo di dover pagare direttamente. E dei viaggi a Cosenza per incontrare il Soprintendente o per filmare le ‘nostre’ opere e quelle acquisite da quell’Ufficio; degli incontri con i giornalisti di quotidiani o della TV, ecc.ecc. Poi, il ricordo era bellissimo quando ci soffermavamo sul giorno del rientro delle tele a Taverna e sull’immensa gioia provata in quei momenti.
E, dopo tanti anni passati a lottare da soli, non per cose personali, non perché obbligati dal fatto di rivestire cariche istituzionali o da altro impegno dal quale ne derivava un obbligo, bensì dalla semplice appartenenza a questo comune e dal cullare sogni futuri per la sua crescita, cala il silenzio sul Centro Studi Mattia Preti.
Non si conosce il motivo di questa ‘caduta’ di memoria né ci teniamo a conoscerlo, però teniamo a che la storia debba essere raccontata così come si è svolta, non aggiungendo una cosa né togliendone qualche altra.
Di recente con un articolo su un giornale e la pubblicazione di una lontana delibera comunale qualcuno intendeva far passare meriti non dovuti: abbiamo disapprovato e, questo episodio, ha fatto crescere in noi l’esigenza di fare chiarezza. Ciò nonostante dobbiamo riconoscere che, nel citato articolo, era presente qualche verità e, in esso, appariva giusta qualche osservazione (la continua citazione, in ogni occasione, delle stesse persone e la contemporanea dimenticanza di altre), presente in una mia poesia che quella situazione aveva ispirato:

L’incenso

Un profumo d’incenso,
dolciastro, melenso
si librò,
nell’ora secolare,
più volte nell’ aria
e vagò insistente
fra mura sacre,
stucchi e dipinti,
non proprio convinti
che quell’ odore fastidioso
dovesse dar gloria
a chi in quella storia mai v’era stato
togliendo di fatto,
col silenzio bugiardo,
il ricordo e il riguardo
a chi meritava più che uno sguardo.
- Meschini …-
parevan dire inascoltati
con un sommesso gridare.
L’incenso volò ancora
e portò la pioggia e il freddo…
E il nostro Mattia
che dal suo altare
aveva udito
e talvolta pure annuito,
alzò la spada veloce
contrariato;
poi ci ripensò
e, aggrottando le ciglia,
nell’elsa la ripose:
non valeva la pena
sfiorare quei cantanti,
che, ammiccanti,
si facevano eco l’un l’altro
ed era meglio riservare le forze al
duello
col borioso alemanno …

Si spera che, nel prosieguo dell’anno pretiano, vi siano occasioni importanti per chiudere questa falla. Si coglie l’occasione per esprimere un parere positivo sulla mostra Lux Fides (che ritengo eccellente) e che ha richiamato nel nostro paese migliaia di persone. Anche sull’accoglienza. Una domanda, in ogni caso, me la sono subito posta: quest’afflusso continuerà in futuro? Purtroppo, appena chiusi i battenti della mostra, Taverna ha ripreso ad essere quella di sempre. Forse occorre rivedere qualcosa e, se c’è volontà – e non c’è ragione per non crederlo- c’è ancora il tempo per mettere in opera gli opportuni accorgimenti per ottenere migliori risultati.
Queste grandi e importanti manifestazioni, infatti, non devono essere fini a sè stesse, ma devono essere il volano del nostro progredire, e, pertanto, si dovrà operare in modo che al visitatore venga data la possibilità di ammirare non solo una mostra (sia pure ad alto livello) che ha un tempo di durata ben definito, ma, anche e soprattutto, tutte le bellezze del nostro Comune, tutte le altre opere d’arte, che sono tante e poco conosciute, e lo si invogli, così, a ritornare.
Si crei, dunque, un itinerario adeguato che porti il visitatore nelle ‘nostre’ viuzze, in tutte le nostre chiese, piene di storia e di beni artistici e religiosi (quante reliquie di santi sostano nelle chiese, lì abbandonate, private di una qualsivoglia citazione o di festeggiamenti in loro onore?).
A tutto questo dovrà essere dato il giusto peso così tali beni, assieme al grande Mattia, fungeranno
da forte richiamo per il visitatore.

Biagio Amelio
Presidente del Centro Studi Mattia Preti


 

Trischine

Se ti vivo pienamente
come provare nostalgia ?
Quella dolcezza dell’anima mia,
che sento sempre arrivare
e non riesco proprio a domare
se a lungo sto lontano dai miei luoghi.
E, proprio allora, improvvisa entra in me
assieme a un desiderio travolgente,
senza freno che mi prende
e con nulla può essere placato …
E mi lascio andare in dolce volo
facendomi cullare come in sogno
dalla fertile e candida fantasia
d’un bimbo innocente
che ritrovo intento a vagare
per rioni e viuzze care,
per briosi e silenti vichi,
per i tuoi palazzi più antichi;
lo vedo estasiato posare gli occhi
su case, chiese, statue, dipinti,
tendere le mani con amore
come per carezzare un fiore.
Poi una cosa ne richiama un’altra,
e quell’altra ancora di nuove,
che sbucano in un lampo e vanno via,
e, come per magia,
m’appare quel che mai avrei pensato,
un mondo antico, non vissuto, trapassato.

E lo vedo, dolce luogo, su nel cielo,
in una stella che vaga e lenta gira
con intorno piccoli pianeti
custodi sicuri di mille tuoi segreti.
Davanti ai miei stupìti occhi
passano immagini nitide ma irreali,
ignote figure, luoghi angusti,
che stanno lì, in quei lontani mondi
come fossero dolci fiabe o bei racconti,
narrati non so da chi o inventati
di ere o periodi passati
che continuano a girare e campare.

In uno vivono tre giovani donne,
che della tua storia son le colonne,
sorelle di Priamo, eran troiane,
venivano da lontano col cuor sofferente
e negli occhi il ferro, il fuoco ardente
e il mortale Cavallo dell’astuto Acheo.
Nel vederle son toccato da brezza,
son preso dalla loro fierezza,
dal piglio palese di regale nobiltà,
dalla grande, immensa volontà
di dare futuro agli amati fratelli,
il progresso ai luoghi ospitanti,
nell’infonder cultura e nell’aprirsi alle genti.
Erigono alle Dee tre nuovi templi,
elevano dimore di tufo e di legno,
maestosi edifici seguendo un disegno,
danno leggi e giustizia a quella realtà:
nasce l’altera Trischéne da sicura nobiltà.
S’uniscono i tre siti e le loro genti,
e, mischiando le vite e i loro intenti,
sorge un popolo unito, fiero e potente.
E pure Trinchise, un gran mercato
che di tutte le fiere detiene il primato.
Oh, quanta gente affluisce nel sito!
Vi sosta a lungo per mesi e mesi
scambia merci, prodotti, arnesi,
e l’opulenza vi porta nel tempo.
Ma c’è l’invidia dei popoli forti,
la violenza Saracena,
la distruzione, la polvere, la perfida morte.
E la fuga sui monti, il brutto esilio,
la lenta ripresa dei figli di Ilio.

In un altro pianeta a noi più vicino
su un colle protetto, un colle inviolato,
una grande città v’è insediata
ci son chiese, dimore, un gran castello,
il mare si vede e il paesaggio è assai bello.
Ma le trame son nascoste e i ribelli son vicini.
Vedo nel maestoso maniero merlato
una nobile donna ribelle,
una contessa vi si è rifugiata,
c’è un esercito pronto al duello,
lotte, eroismi, la strenua difesa
un assedio continuo, la presa,
l’atroce vendetta, le sevizie, la morte.
E sempre la vita ritorna …

Vedo, in un altro,
più cose sconnesse, cose confuse,
una grande Luce,
una Abbazia che vive sui monti
e un popolo in ginocchio che prega…
Poi, su e giù per le vie, gente allegra,
suoni e canti, in chiesa c’è festa,
un prelato con tiara sulla testa
a Bompignano officia una Messa.
E vedo armare una bella città,
un gran movimento su, nel castello,
Cubelia è la contessa protetta,
escursioni, lotte, battaglie
un assedio continuo con forze,
la resa, la punizione, la perfida morte.
E la vita che sempre ritorna:
i campi ben arati, il batter del ferro,
e il lino uscir dai telai…

Tante volte sei stata piegata!
Arabi e Pirro predarono, poi sei rinata!
Ti vedo fiaccata, in ginocchio,
ma sempre altera, con l’aria più fiera;
in stato pietoso, a pezzi per la guerra,
mai giacesti distesa per terra
perché i tuoi figli scampati
nuova linfa t’istillarono nelle vene.
Sei sempre risorta con l’orgoglio,
hai trovato lo spirito giusto,
l’aspirazione a libere scelte,
l’autonomia per un glorioso futuro.
Questo vedo nei civili d’allora
che lottarono per diritti, parità,
per giustizia e buon governo in città;
lo ritrovo in tempi recenti
nella gente che contesta sulla via
per torti subiti e ingiustizie
e la stessa che allegra gioisce
per il ritorno della democrazia.

C’è qualcosa che in mente mi frulla
e fa svanire questo sogno irreale
e mi ritrovo allegro nel tornare
alle mie cose e nel mio mondo
– Oh, quanto diverso dal sogno!-
Quel luogo stellato è rimasto lassù,
tu, mia dolce Taverna, sei reale:
hai dato vita a tanti illustri,
santi, artisti, uomini giusti
che a te tennero e ne furono fieri
per la cultura, lo spirito libero, la tua storia
che volteggiano ancora sul tuo cielo
per indicare ad ogni figlio la via.


La casa rossa

Un senso di fastidio
di colpo mi prende
se sulla strada
o dovunque mi porti
agli occhi m’appare
una casa rossa,
di qualsiasi fattezza,
sia bella che brutta,
costruita con sudore
sia pure con amore.
Non capivo la ragione
di tale rigetto
– forse il colore ?- ,
ma ‘rosso’ è amore…
Poi un racconto,
intorno a un braciere,
mi torna alla mente
e m’apre la strada.
Vedo un uomo affranto
che racconta se stesso,
in un ‘morso’ di spazio
due per uno,
svestito, umiliato,
maltrattato,
privato del cibo e dell’acqua,
prigioniero di guerra
in Inghilterra.
E avverto nella gola
l’arsura della sua
e nello stomaco
i morsi della fame …
e il dolore straziante delle mani
nell’acqua ghiacciata …
e le torture della mente
ancor più annientata
da tante sevizie
e da quell’aria malata …
Doveva solo dire,
riferire, collaborare …
dopo, quel soldato,
avrebbe gioito…
ma lui, offeso, furente
non lo fece, tacque sempre,
non tradì la sua patria.
E continuò a soffrire
le pene dell’Inferno …
Sognava la sua terra,
pensava ai suoi cari
– Li rivedrò mai ?-
Quel solo pensiero
addolciva le sue pene …
Ma, poi …
poi la memoria svanì,
si dissolse nel nulla …
non ricordò più niente,
i volti più cari, gli amici
e, a lungo, anche dopo il ritorno,
fu nel buio più assoluto.
Curò la sua mente
e i ricordi tornarono:
la barbarie non la vinse.
Quella cella di tortura
due per uno,
era in una casa rossa
e l’uomo ridotto a un niente
era mio padre:
Amedeo si chiamava,
quell’eroe sconosciuto
degli anni ‘quaranta.