La nascita del cosmo

 

La tempesta quantistica flagella

gli elementi nel brodo primordiale.

Li sfibra, li divelle, li affastella

in seno al cono gravitazionale.

 

La Singolarità Iniziale pone

la premessa della nuova teoria,

l’evoluzione dalla simmetria

alla pregeometria, l’informazione

 

che disvela la formula segreta.

Non solo lo scienziato, anche il poeta

osa raffigurare lo scenario

 

dell’Universo nell’Istante Zero.

La traccia folgorante di un pensiero.

L’origine del tempo immaginario.


 

Vorrei conoscere i pensieri di Dio

 

Mi sono immerso in un raggio di luce.

Vedo un oceano di cariche elettriche

che vibrano e disegnano una danza

da cui nascono piccoli magneti.

 

Le onde concatenate si propagano

in un abbraccio elettromagnetico,

avvinghiate come sanno gli amanti.

 

A chi cavalca la cresta dell’onda

il mondo appare immobile. La luce

si propaga intrecciando al proprio interno

i due campi in un’unica natura

nell’universo dello spazio-tempo.

La sua velocità costante è un limite

irraggiungibile, esprime il rapporto

in cui la massa diventa energia.

 

Lungo una strada che portava a Dio

l’uomo ha trovato il modo per distruggere

milioni di suoi simili in un attimo.

Mi chiedo se saprà un giorno lontano

reprimere gli istinti primordiali

e indirizzare la nuova coscienza

verso una società capace di

sotterrare per sempre ogni violenza,

unita nei colori della pace.


 

 

Sognare l’infinito

 

Pensiamo sempre all’infinito, anche se non lo raggiungiamo mai. O forse proprio per questo. Ci pensiamo come a qualcosa che appartiene al mondo fisico, lo spaziotempo. L’infinito è qualcosa che riguarda la mente e le categorie concettuali: la filosofia, la metafisica. È un’entità logica che vive nel dominio dei numeri.

 

La nostra mente si perde. Un ragazzo di ventun anni sale sul monte Tabor e scrive la poesia più bella di tutti i tempi. È il settembre del 1819. Un grande filosofo, uno dei maggiori, lo vede come un limite, forse il nostro limite, ma rifiuta di credere che esista veramente. Siamo nella Grecia del quinto secolo.  

 

Un sommo scienziato pensò e scrisse che il nostro intelletto finito non può comprendere l’infinito. Ma non era una resa: con le sue idee egli indicò la strada che, dopo due secoli e mezzo, avrebbe consentito a un grande matematico di padroneggiare l’infinito sul terreno della matematica. Nel frattempo, avevamo imparato ad utilizzare i nuovi concetti dell’analisi matematica, dal limite e dall’infinitesimo alla velocità istantanea.

 

Leopardi, Aristotele, Galileo, Cantor, Leibniz, Newton… Per millenni ci siamo crogiolati nell’evocazione di uno spazio infinito o di un tempo infinito. Dall’inizio del secolo scorso il nostro fantasticare si complica: abbiamo scoperto di vivere nello spaziotempo. Ma la cosa non ci è di grande aiuto per mettere a fuoco la natura dell’infinito. E allora? Forse dobbiamo cercare di riordinare le idee.

 

Quando non avevamo ancora escogitato gli adeguati strumenti concettuali siamo caduti nella trappola di Zenone e di un ragionamento convincente solo in apparenza.  Se restiamo in superficie possiamo credere che la somma di infiniti termini non potrà mai dare un risultato finito. Ma basta scendere un poco in profondità per capire che non è così.

 

Le serie matematiche, gli infinitesimi, i limiti e i concetti introdotti dall’analisi matematica ci offrono la chiave per venire a capo dell’enigma. Poi, grazie a Cantor, la teoria degli insiemi ci ha permesso di capire che esistono diverse misure di infinito.  Però essa genera anche nuove domande ancora più inquietanti. Una di queste riguarda il confine fra le diverse famiglie di infinito. Un interrogativo che ha messo a dura prova i migliori cervelli della nostra specie, fino a generare risposte ancora più complicate della domanda stessa, è l’ipotesi del continuo: fra il livello di infinito che corrisponde all’insieme dei numeri razionali e quello che corrisponde all’insieme dei numeri reali ci sono altri livelli di infinito?

 

Cantor pensava di no, e cercò a lungo di dimostrarlo senza riuscirci, nonostante fosse convinto fin dal 1883 di essere a un passo dalla soluzione. Da allora, le capacità dei massimi logici sono state messe a dura prova. Nel 1940 Kurt Gödel dimostrò una condizione di compatibilità che corrispondeva non a dimostrare che Cantor avesse ragione, ma solo che era impossibile dimostrare che avesse torto. Reciprocamente, Paul Cohen dimostrò, nel 1963, non che Cantor avesse torto, ma che non è possibile dimostrare che abbia ragione.

 

E, non essendo mai contenti, una volta addomesticato l’infinito ci vogliamo cimentare con l’assoluto. Basta pensare alla successione degli infiniti e seguirla con la nostra mente fino all’Infinito Assoluto. Ma su questo concetto la discussione è aperta e coinvolge esperti di teoria degli insiemi, filosofi e pensatori di svariate discipline. Alcuni teologi sostengono che qui risieda la prova dell’esistenza di Dio.

 

E c’è chi vorrebbe contare fino a infinito. Ci ha provato l’artista polacco Roman Opalka, il quale decise un giorno di dipingere tutti i numeri naturali. Si dedicò a questo compito per quarantasei anni, dal 1965 al 2011, ma al termine dei suoi giorni era arrivato solo fino a 5.607.249.

 

Ci sono diversi modi per pensare a un numero molto grande, il numero delle stelle nel cielo, quello degli atomi che compongono l’universo… Ma non è esatto definire l’infinito come un numero molto grande. Se contiamo i numeri naturali, anche dopo avere raggiunto un numero che ci sembra enorme ci ritroveremo sempre al punto di partenza. Perché sottrarre un numero finito da infinito ci riporta all’infinito. E se dividiamo infinito per un numero grandissimo otteniamo ancora infinito. Eppure, siamo sempre attratti da imprese impossibili, già perse in partenza. Perché niente scatena la nostra immaginazione quanto l’idea di infinito

 


Sole d’inverno

Le mie notti d’autunno, vuote, uguali
come uccelli di passo affaticati,
presero nuova luce per l’immagine
di una donna solare e appassionata
che accese la mia vita. Nei miei sogni
per cento notti sei stata al mio fianco
-il sole dei tuoi occhi e il dolce viso
e il calore dei tuoi giovani anni
m’inondarono il cuore di gaiezza.
La nuova primavera che è nell’aria
mi porta gelo e vuoto e solitudine
di un nuovo inverno. Ancora è la tua immagine
ma lontana e in sembianza di commiato.
Queste notti di marzo sono ormai
piene di pianto e di rimpianti, forse
altri sono i percorsi della vita
da quelli che avevamo un dì sperato.
Quando la vita tornerà a fiorire
mi sarà grave il non averti accanto:
tu spensierata e lieve come sempre,
io consunto dalla mia solitudine.


Il bosone e il lupo

Oh se avessi il potere
di conferire massa
alle altre particelle!

Vorrei essere un bosone di Higgs.

E tu, piccolo lupo che mi guardi
chiedendo affetto e cibo, tu non sai,
non può saperlo il tuo mondo di lupi,
che noi siamo capaci di pensiero
simbolico da centomila anni.


La sua immagine

Le sue dolci carezze
e le parole lievi sussurrate
in un soffio di gioia
mi davano un’ebbrezza mai provata.
Ma quando alla mia bocca
già s’accostava il labbro suo tremante,
d’un tratto si dissolse la sua immagine.
Il sogno era svanito, a me rimase
solo un’intensa struggente dolcezza.


Canto infinito

neve sulle montagne o forse cenere
sparsa nel mare in questa notte accesa
dai fulmini d’agosto illuminata
dal latte della luna e dai tuoi occhi
di gatta innamorata che non crede
che la felicità possa consistere
altro che nel fermare questo incontro
per tutto il tempo della vita come
ghiacci perenni su cime inviolabili
che sfumano in declivi di un’azzurra
neve sulle montagne o forse cenere


Vorrei conoscere i pensieri di dio

Mi sono immerso in un raggio di luce.

Vedo un oceano di cariche elettriche
che vibrano e disegnano una danza
da cui nascono piccoli magneti.

Le onde concatenate si propagano
in un abbraccio elettromagnetico,
avvinghiate come sanno gli amanti.

A chi cavalca la cresta dell’onda
il mondo appare immobile. La luce
si propaga intrecciando al proprio interno
i due campi in un’unica natura
nell’universo dello spazio-tempo.
La sua velocità costante è un limite
Irraggiungibile, esprime il rapporto
in cui la massa diventa energia.

Lungo una strada che portava a dio
l’uomo ha trovato il modo per distruggere
milioni di suoi simili in un attimo.

Mi chiedo se saprà un giorno lontano
reprimere gli istinti primordiali
e indirizzare la nuova coscienza
verso una società capace di
sotterrare per sempre ogni violenza,
unita nei colori della pace.


Lucrezio

L’uomo oppresso dall’empia religione
leva gli occhi mortali e con la mente
percorre l’universo. Nulla nasce
dal nulla, queste tenebre
dal nostro animo le scacceranno
non i dardi del sole, non la luce
del giorno, ma una limpida visione
che ci sveli le leggi di natura,
le forze, i moti e come tutto accada
senza nessun intervento divino.


La critica della ragione cosmica

Perché esiste qualcosa anziché il nulla?
C’era una chiara trama dietro al mondo,
una struttura immateriale e diafana
che reggeva la tela. Poi un giorno
cent’anni fa, di giugno, un tale Alberto
pensò la nuova struttura spaziale
fuori dal tempo, autosimilare,
che eliminava gli assoluti. Nacque
nella sua mente un modello diverso,
l’idea dell’Universo come un Tutto,
la piega dove il tempo si deforma.
La critica della ragione cosmica.


Palingenesi

Provo malinconia, forse è la striggine
dell’autunno in un giorno cupo e fumido
fra le timpe flagellate da un umido
vento che ci regala uggia e pioviggine.

Mi dilania il ricordo delle ambasce
che attraversai e un languido torpore
mi ritorna gli spettri del passato.
E poi la palingenesi. Rinasce

e prende forma e colore l’immagine
del viso di una donna che mi ha dato
trent’anni di felicità e di amore

e incontenibile gioia di vivere
che oggi riempie ancora le mie pagine,
quelle già scritte e quelle che ho da scrivere.


 

Le Alpi in ottobre

Tenui nel nulla mute trapunte da tese vedrette
tracciano immensa latente parvenza d’immobilità.
Scandiscono l’orizzonte e solcano il cielo chiaro
diafane riproponendo una trasparenza impalpabile.


 

Erlina

I
Qui c’erano le gabbie con gli animali feroci, una coppia di leoni e una di tigri, i ghepardi e le pantere. Più in là c’era il laghetto delle foche, con una bancarella per la vendita di pesce puzzolente che i bambini convincevano zie e nonni a comprare per contribuire a sfamarle. Una trovata della direzione dello zoo per ridurre le spese di mantenimento degli animali e, talvolta, trarne anche un piccolo guadagno.
Io venivo qui con zia Alina, che mi adorava e che io chiamavo “mammina”, tanta era la somiglianza con la sorella maggiore che mi aveva generato. Ricordo anche di essere venuto qui una volta con nonno Tero, dovrei avere ancora da qualche parte una fotografia che ci scattò un ambulante.
Vedo ancora come se fosse ieri, anche se sono passati quarantanove anni, il grande recinto con l’orso polare, dopo l’area riservata agli ippopotami e ai rinoceronti. C’era anche un vecchio elefante che ripeteva ogni giorno, da chissà quanti anni, gli stessi esercizi. Non mi stancavo mai di osservare i macachi che abitavano vicino all’estremo limite del giardino dove, oltre la cinta del giardino zoologico, i passanti si fermavano sul marciapiedi per guardarli senza pagare il biglietto d’ingresso.
Devo cercare la foto con il nonno, forse è nel baule che ho lasciato nel seminterrato dove scendevo a preparare gli esami quando l’afa cominciava a farsi insopportabile, come ora.
Nello stesso momento, dall’altra parte della città, anche un uomo sulla quarantina scendeva in un seminterrato. Non per mitigare gli effetti della temperatura e dell’umidità, ma per incontrarsi con un gruppo di giovani correligionari, che avrebbero dovuto arrivare entro la prossima mezz’ora. Richiuse la porta alle sue spalle, riordinò le carte sparse sul tavolo, poi si girò in direzione della Mecca e cominciò a pregare ad alta voce.

II
Devo cercare la foto con il nonno, chissà dove sarà finita? In tutta la sua vita nonno Tero non aveva mai detto una parola che non fosse strettamente necessaria. Quando andava per boschi con il suo unico amico Giobaldo, di quattro anni più giovane di lui, la nonna diceva che potevano stare anche più di un’ora senza parlare, fino a quando uno dei due vedeva un fungo e lo indicava all’altro dicendo ”eccone uno buono”, mentre l’altro annuiva con lenti cenni del capo.
Su di lui avevo sentito degli aneddoti che mi restituivano l’immagine di un uomo di un altro secolo, un taciturno che però sapeva sempre quello che voleva. Non perdeva mai il controllo di sé, neppure nei momenti più importanti, come nel giorno del matrimonio: quando per una distrazione il prete aveva preso con sé i documenti della coppia successiva e i presenti gli sentirono pronunciare i nomi sbagliati. “Vuoi tu Arcanio Pezzini prendere in sposa la qui presente Tavia Rambaldi?” Nonno Tero non ci pensò un istante. “No!” rispose seccamente. Il prete non credeva alle proprie orecchie: “E perché?” gli chiese con uno sguardo tra l’incuriosito e lo sconvolto. “Perché non sono io!” rispose con la massima naturalezza.
La stessa flemma dimostrò pochi anni dopo, quando il Paese era governato dai barbari e gli uomini migliori venivano confinati o uccisi o costretti a espatriare. Il regime aveva istituito delle colonie estive per gli studenti, descritte dalla propaganda come un paradiso terrestre. Ma quando i genitori si rendevano conto che i ragazzi erano trattati peggio delle bestie, si presentavano per riportarli a casa. Anche nonno Tero era andato a riprendere il suo unico figlio maschio. Al ventesimo padre il direttore della colonia era sbottato: “Basta, questo è l’ultimo, ora non ve ne restituirò più! Tornatevene tutti a casa!” Gli altri genitori se ne andavano mugugnando, ma nonno Tero non si scompose. Si sedette nella tetra anticamera e disse: “Se sarà l’ultimo, io non lo so, so solo che io rimango qui finché non mi avrete restituito mio figlio!” E fu così che li videro tornare a casa entrambi, felici come non mai.
Cullato dai ricordi del passato il vecchio era rimasto seduto sulla panchina forse più di tre ore. In quella calda mattina di giugno i ricordi dell’infanzia si susseguivano, l’uno evocando l’altro, e lui stesso era stupito dalla loro freschezza, quasi fossero fatti accaduti da pochi giorni. Ora guardava le piccole rocce, che da bambino gli erano sembrate montagne, e fece a se stesso la solenne promessa di cercare la fotografia con nonno Tero, per vedere come erano cambiati quei luoghi in quasi mezzo secolo.
Dove c’erano le automobiline a pedali ora c’erano le giostre pomposamente chiamate “elettroniche”, con musica ad alto volume e giochi per bambini che certamente avrebbero fatto la sua felicità in quegli anni di miseria.
Nel seminterrato l’uomo sulla quarantina accoglieva i giovani amici e, quando furono seduti, cominciò a parlare a voce bassa. “Siamo qui per decidere chi sarà tra voi il fortunato che il terzo mercoledì raggiungerà il paradiso di Allah. Il prescelto dovrà avviarsi verso la cattedrale su un treno della linea rossa, portando con sé questa borsa. Nel primo quarto d’ora dopo mezzogiorno dovrà attivare questo detonatore. Se avete domande fatele ora. Poi, quando sarà tutto chiaro, procederemo alla scelta.”

III
Il terzo mercoledì il vecchio si era improvvisamente ricordato dove erano finite le vecchie fotografie: nella testata del letto matrimoniale in cui dormiva solo, da quando aveva perso la sua adorata Ilia. Trovò l’immagine che lo ritraeva con nonno Tero e decise di tornare al giardino pubblico per verificare come fosse cambiato in quasi mezzo secolo. Con un certo stupore constatò che, a parte l’area dove c’era lo zoo, tutto il resto era rimasto quasi identico: le rocce, il laghetto e la grande fontana dove bambini e ragazzi giocavano con le loro piccole barche. Qui aveva incontrato Ilia. E qui, quel mercoledì, sulla panchina di fronte alla sua si era seduta una giovane donna che lo lasciò senza fiato. “Ilia…-pensò- sei tu? Sei tornata? Dove sei stata in questi dieci anni?” La giovane prese dalla borsa il cellulare e il vecchio udì chiaramente le sue parole: “Ciao mamma, sono io, Erlina.”

IV
Erlina era bella, ma al vecchio lo sembrava ancor più, tanto era la sua somiglianza con Ilia. Era l’unica figlia del direttore di un importante quotidiano della città, uno che conosceva tutti e che tutti conoscevano, e di un’insegnante di matematica che aveva abbandonato l’insegnamento per dedicarsi completamente alla figlia.
Più ancora che bella, Erlina era una donna fortunata. Non le era mai mancato nulla ed era cresciuta tra l’amore dei genitori e la serenità di un ambiente domestico in cui non c’erano mai stati problemi. A scuola riusciva bene, amava studiare ma, soprattutto, aveva dimostrato di avere un forte talento per la danza classica. Aveva seguito dei corsi e sarebbe certamente diventata un’ottima ballerina, se a sedici anni non avesse conosciuto Zenodio, un ragazzo di cinque anni più vecchio di lei, del quale si era innamorata a prima vista. Da allora tutti i suoi sforzi si erano concentrati su un solo obiettivo, far capire a Zenodio che il suo più grande desiderio era vivere con lui e dedicarsi ai figli che avrebbero avuto.
Pochi anni dopo il sogno di Erlina si era realizzato e finalmente, in quei giorni, era in attesa del primo figlio. Erlina viveva come in un sogno e non faceva nulla per nascondere la sua felicità.

V
“Ciao mamma, sono io, Erlina.” Il vecchio ascoltava con attenzione questa metà della conversazione. Anche la voce della giovane gli ricordava la sua Ilia. “Sto per venire da te, ma prima vorrei comprare ancora qualche vestito per il piccolo ai Grandi Magazzini. Sono qui alla fontana del giardino. Posso andare a piedi o forse prenderò la linea rossa. Sì, penso che farò così. Lo sai che sono pigra. È mezzogiorno, all’una al più tardi sarò da te. Sì, ora vado alla fermata sul corso. No, mamma, disse Erlina, non me la sento di andare a piedi, fa troppo caldo.” E aggiunse, mentre il vecchio vedeva affiorare lentamente sullo splendido ovale del suo volto l’ombra appena accennata di un vago sorriso che non avrebbe mai più dimenticato, “non credo proprio che sia una di quelle decisioni che ti cambiano la vita!”


 

Vorrei conoscere i pensieri di dio

 

Mi sono immerso in un raggio di luce.

Vedo un oceano di cariche elettriche

che vibrano e disegnano una danza

da cui nascono piccoli magneti.

Le onde concatenate si propagano

in un abbraccio elettromagnetico,

avvinghiate come sanno gli amanti.

A chi cavalca la cresta dell’onda

il mondo appare immobile. La luce

si propaga intrecciando al proprio interno

i due campi in un’unica natura

nell’universo dello spazio-tempo.

La sua velocità costante è un limite

Irraggiungibile, esprime il rapporto

in cui la massa diventa energia.

Lungo una strada che portava a dio

l’uomo ha trovato il modo per distruggere

milioni di suoi simili in un attimo.

Mi chiedo se saprà un giorno lontano

reprimere gli istinti primordiali

e indirizzare la nuova coscienza

verso una società capace di

sotterrare per sempre ogni violenza,

unita nei colori della pace.


 

Una vita in un lampo

 

Breve vita, due soli milionesimi

di secondo e decàdi

in due neutrini e un elettrone.

Lo prescrive l’interazione debole

che definisce la tua emivita.

 

Che effetto fa vivere così poco?

Hai un’infanzia, una vecchiaia, provi

le gioie dell’amore, soffri e pensi

al tuo destino? Alcuni ti chiamano

un’inutile fibra nel tessuto

della natura, giunta a noi dai raggi

cosmici, generata a ventimila

chilometri di altezza, che riesce a

raggiungere la Terra solamente

grazie all’effetto relatività.

 

Tu, giroscopio elementare quasi

perfetto, sai trasformarti in magnete

grazie alla carica e allo spin intrinseco.

 

Prezioso dono piovuto dal cielo,

gemello pesante dell’elettrone,

dolce piccolo umile muone.


 

Presenza cosmica

 

Quando questa presenza mi circonda

come un afflato cosmico,

quando si attiva il contatto diretto

con la parte più interna del mio io,

la parola si fa respiro e vita.

L’avverto dappertutto

in quei rari momenti,

finché mi trasfiguro

in una dimensione di Assoluto.

Questo è il dramma, sentire dio qui dentro

e non poter confidarlo a nessuno,

ma neppure a me stesso.


 

Bellezza dell’Universo

Spirali di galassie, nebulose
nello spazio infinito punteggiato
da miliardi di sfere luminose,
la vita sulla Terra, un volto amato,
la forma delle foglie, le mimose,
il soffio verde di un bosco incantato,
le virate in canoa vertiginose,
tutto quanto mi ha sempre affascinato,
gli occhi dei cani, la voce del vento,
la superficie del mare increspata,
presenza eterea che avverto e non sento,
che voi chiamate dio, io mi accontento
di assaporala nella sconfinata
gioia di appartenere al Grande Evento.


 

 

La critica della ragione cosmica

 

Perché esiste qualcosa anziché il nulla?

C’era una chiara trama dietro al mondo,

una struttura immateriale e diafana

che reggeva la tela. Poi un giorno

cent’anni fa, di giugno, un tale Alberto

pensò la nuova struttura spaziale

fuori dal tempo, autosimilare,

che eliminava gli assoluti. Nacque

nella sua mente un modello diverso,

l’idea dell’Universo come un Tutto,

la piega dove il tempo si deforma.

La critica della ragione cosmica.


 

Verde come quest’ora tra le foglie

 

Per i quindici anni della morte di Lila

(dedicata alle nipotine che non hai mai conosciuto)

 

 

Verde come quest’ora tra le foglie

che accompagna la vostra età bambina.

 

Verde come il ruscello che si culla

ebbro per l’aria nella prima estate.

 

Verde come il mio colle punteggiato

da volteggianti voli parapenduli.

 

Verde come la luce nei tuoi occhi

che modula una vibrazione arcana.


 

Il canto dei petali del pesco

 

Un cielo tanto azzurro

non lo avevamo ancora visto mai.

 

Galleggiare nel nulla, sospirare

nell’estasi, così, lasciarsi andare

navigando nell’aria,

sfiorarsi e risalire,

assaporare la vita nei refoli,

assecondare il respiro del vento

senza chiedersi come né perché.

 

Vivere l’attimo, cogliere il presente

di un’esistenza senza dimensione.

 


La critica della ragione cosmica

 

Perché esiste qualcosa anziché il nulla?

C’era una chiara trama dietro al mondo,

una struttura immateriale e diafana

che reggeva la tela. Poi un giorno

cent’anni fa, di giugno, un tale Alberto

pensò la nuova struttura spaziale

fuori dal tempo, autosimilare,

che eliminava gli assoluti. Nacque

nella sua mente un modello diverso,

l’idea dell’Universo come un Tutto,

la piega dove il tempo si deforma.

La critica della ragione cosmica.


Il canto dei petali del pesco

 

Un cielo tanto azzurro

non lo avevamo ancora visto mai.

 

Galleggiare nel nulla, sospirare

nell’estasi, così, lasciarsi andare

navigando nell’aria,

sfiorarsi e risalire,

assaporare la vita nei refoli,

assecondare il respiro del vento

senza chiedersi come né perché.

 

Vivere l’attimo, cogliere il presente

di un’esistenza senza dimensione.


Il canto dei petali del pesco

 

Un cielo tanto azzurro

non lo avevamo ancora visto mai.

 

Galleggiare nel nulla, sospirare

nell’estasi, così, lasciarsi andare

navigando nell’aria,

sfiorarsi e risalire,

assaporare la vita nei refoli,

assecondare il respiro del vento

senza chiedersi come né perché.

 

Vivere l’attimo, cogliere il presente

di un’esistenza senza dimensione.