Per te

Ben arrivato, esserino tutto tondo…

t’abbiamo aspettato con trepidazione,

ora, mamma e papà, spaccheranno il mondo,

sperando di donarti la loro emozione,

cosicchè si riempia la tua vita,

del tumulto di una dolcissima rivoluzione.

A pensarci bene, però, l’impresa appare ardita,

forse perché chi è bimbo sa già cosa vedere,

con quali occhi affrontare questa gita,

quando è giusto mettersi a sedere,

quindi ahinoi, sarai tu il vero maestro,

che ci insegnerà qual è il nostro dovere.

Avrai il coraggio di un cuore maldestro,

che non avrà timore di battere con forza…

avrai la fiducia di mostrare il tuo estro,

segno che già dura è la tua scorza….

avrai l’abitudine di mostrare i sentimenti,

e vedrai che quella fiammella nulla la smorza.

Quindi, figlio mio, grazie infinite per i tuoi insegnamenti,

che di già stanno colmando il nostro cuore,

e che di null’altro saranno parimenti,

se non dell’infinito mistero dell’amore.


Ad occhi chiusi

Or quando la goccia, del cielo il pianto,

all’erbosa terra rivolge la via,

di un sol grido riempie lo canto,

del cuor mio – Sincero che sia – ,

nell’animo profondo del pensar d’amore,

colmo sì di dolce malinconia.

Volsi gli occhi a quel candore,

che l’incrocio di mano speranza,

agl’occhi del sole, eterno torpore,

s’appresta a far giudizio di celeste danza,

per due vite in tal modo accostate,

da lasciar a la vista la lor costanza.

Tremor di sogni, che nel cuor state,

ammirate l’amor di desiderio intriso,

allo sbatter di ciglia lo sguardo scostate,

che ne lo petto mio non rimanga inciso,

lo passato, giammai così lontano,

che tutt’or m’accarezza il viso.

Grigio torpore c’abbui invano,

fermar non puoi li rai raggianti,

che squarcian’or lo cielo nostrano,

sicchè di nuovo colore di fiori i manti,

su l’altrui riva, tormentosa e greve,

s’allumi il viso di chi ancor canti.

Soave candore, d’infanzia lieve,

de la fantasia eterno prigioniero,

rincorri or su le sponde Pieve,

che la fonte dal cuor guerriero,

la cima del mondo sì comanda,

affinché d’amor tu sia sempre fiero.

E le dolenti brine che l’occhio manda,

ferir non può chi d’impresa vive

– ….o giovine,che al cuor domanda…. –

e lo ricordo de le stanche rive,

trovi in mente teco il suo rifugio,

a render le gocce giammai tardive.

Di vita mia lo libro non più indugio,

che la penna mai stanca di siffatta speme,

ricolmi lo vuoto d’anima il pertugio,
che il destino –oh si,ancor teme…-

non volterà da lo sguardo eterno,

del celestiale volo che mai geme,

nel freddo cuore de l’inverno.


Di gente e di tormenti

Non basta, per essere re, aver su la corona,

come se a far si che uno sia degno,

sia sufficiente esser seduti sulla poltrona,

da cui è possibile sì guardare tutto il regno,

ma senza gli occhi di chi è il vero padrone,

che invece strugge in fiero contegno.

Troppe volte la mano che ha in sé la decisione,

spinta da fragili sogni di grandezza,

si scaglia contro l’uomo con presunzione,

come se ciò che gratifica la fierezza,

sia solo il pianto di chi ardentemente,

brama solo di vivere con dolcezza.

Ma non esistono potenti nei palazzi e fra la gente,

in grado di sopraffare il tiepido candore,

di un cuore puro e di beltà splendente,

che sappia lottare contro ogni dolore,

oltre l’infamia e la moderna crudeltà,

di chi crede di spezzare il cuore,

ma che mai capirà d’amore la realtà.