Poesie
Questa non è una mia poesia
È di un’artista di cui non so e non voglio sapere il nome
La sentii recitare una notte, in una piazza, davanti a decine di piccioni attenti
Affascinata, planai vicino un secchio, mi posai, presi un pezzetto di carta, una piuma e iniziai a scrivere
Questa non è una mia poesia
È di un’artista di cui non so e non voglio sapere il nome
La sentii recitare una notte, in una piazza, davanti a decine di piccioni attenti
Affascinata, planai vicino un secchio, mi posai, presi un pezzetto di carta, una piuma e iniziai a scrivere
Anzi, avrei voluto iniziare a scrivere
Non avendo calcolato che il mio planare avrebbe generato un spostamento d’aria non indifferente e conseguentemente scaraventato via chiunque nel raggio di 500 metri, rimasi sola
Sconfitta dalla mia stessa sbadataggine piansi
Piansi e urlai molto forte
La luna mi ascoltò e così recitando rispose
Questa non è una mia poesia
È di un’artista di cui non so e non voglio sapere il nome
L’ho sentita recitare una notte, in una piazza, davanti a decine di piccioni attenti
Affascinata, planai vicino un secchio, mi schiantai e morii
La mia anima, non contenta, rimase a vagare sulla Terra, alla ricerca della verità su questa poesia
E tu? Anche tu vuoi una risposta? Disse il poeta
La verità è che non esiste
Non la poesia! La verità!
Pensavo fosse il contrario, dissi io
È come credi che sia, disse un piccione.
Suicidio
Seduto
Rinpiango il giorno in cui correvo
Non sono vecchio ma sono malato
Sono stato derubato
Mi hanno portato via la possibilità di essere un bimbo che ride, piange, corre
La malattia non è dentro, è intorno a me
Ma forse non c’è differenza
Con un ultimo sforzo mi alzo, apro la finestra e volo
Sono guarito
Guarito da questa malattia mortale chiamata vita
Con stupore mi guardo intorno e rido
E piango
E corro
So già che mi stancherò di nuovo
E vorrò un altra sedia
Ma ora non voglio pensarci
Spero di avere la forza di aprire sempre una nuova finestra
E uccidermi.
Poesia per un compleanno
Il marmo, i mattoni, l’asfalto, le strade
Oggi? non so, forse… Si! Qualcosa accade!
Le case, i palazzi, gli edifici e le persone
Guarda! Dove? Hai avuto una visione?
Possibile, probabile, ammissibile, plausibile
Domani, ieri l’altro, fra cent’anni o nel paleolitico
Mi capita a volte di essere invisibile
Ed è anche più facile di essere simpatico
Termine, confine, limite, morte
Parole volute solo da uomini storti
Voliamo più forte che possiamo
Non voltiamoci indietro e non guardiamo avanti
Esistiamo esclusivamente negli istanti
Prendiamo la rincorsa, decolliamo e voliamo
Con i pugni nelle mano
A bordo del nostro meraviglioso catamarano.
Mangiare bene
Voglio un cucchiaio di plastica. Voglio un cucchiaio di plastica. Volevo un cucchiaio di plastica. Ho voluto un cucchiaio di plastica 5 minuti fa. O meglio, 5 minuti prima di scrivere questo testo. Ho pensato che un cucchiaio di plastica fosse più adatto per lo scopo prefissatomi. No, non è vero. Sarebbe andato bene anche un cucchiaio di metallo tuttavia non sarebbe stata la stessa cosa. Principalmente per due motivi: uno, il risultato finale sarebbe stato diverso, due, i due cucchiai sono di materiale diverso. Ovviamente le differenze fra le reazioni causate dalla scelta dell’uso di uno dei due cucchiai possono essere diverse, forse infinite, forse finite ma non è importante. Non voglio che ora sia importante. Volevo un cucchiaio di un materiale che deteriorasse il meno possibile la padella in cui avevo intenzione di mangiare con l’azione di entrare in contatto con essa per poi portarmi il cibo in bocca. Non ho pensato di poter usare le mani. Lo sto pensando adesso. Mentre sto scrivendo questo testo. Mangiare con le mani mi diverte. Mi sporco. Torno bambino. Rido. Mi immagino una bestia affamata. Ma mangio lentamente. Per godere di più del momento presente. Quel cibo in padella è un presente donatomi dal mio universo circostante. Chiudo gli occhi beatamente. Si affievolisce la mente. Entro in quello stato in cui tutto quanto esiste e non esiste contemporaneamente. Provo a dissolvermi nello spazio e nel tempo ma brevemente capisco che non sempre riesco a deformarmi come una lente. Piango. Mi sento pesante. Mi preparo a sprofondare nell’abisso del totale ignorante. Termine che uso per indicare un essere umano ignaro del mondo e per questo forse con esso più unito. Ed è probabilmente ciò che è un bambino. O un folle. O qualunque altra manifestazione della realtà che non pensando non si distacca da questa rete di fili infinita che chiamo vita. È forse meglio? È forse peggio? È forse uguale? Sono gusti. Forse è sempre e solo tutto quanto una questione di gusti. Come quel cibo in padella che volevo finire. Usare un cucchiaio di metallo avrebbe potuto creare vibrazioni negative. Il raschiare e il leggero rovinare la padella avrebbe potuto far suscitare in mia madre numerose ire. Sempre se avesse percepito con gli occhi, con gli orecchi e/o con altri recettori il mio fare. Il cibo era buono.