Tratto “da Storie di Gatti” – 1995

“La Gattilografa”

Io uomo, anzi donna, e Penelope, gatto, cioè femmina di persiano color crema, di appena un anno. Tanti i racconti sulla nostra coppia, da non saper quale privilegiare, senza recar offesa agli altri. Sono qui, di fronte alla mia macchina da scrivere, pensosa sul tasto da premere per dare l’incipit alla storia, col foglio bianco innanzi, invitante, implorante quasi, a far presto, per srotolarsi da quella scomoda posizione.
Penelope non c’è. Si sarà cacciata in cucina, ad assaporare la pappa che le preparo, o non piuttosto i suoi amati croccantini, che preferisce, dispettosa com’è! Forse sarà a giocare in soggiorno col tappo della mia “bic”, che va puntualmente a finire sotto la vetrina, nella stretta fessura fra mobile e pavimento, lasciandola ferma lì, di guardia, che non scappi, finché io, come per magia, non glielo tiri fuori con l’aiuto di qualche arnese sottile, cosa che mi dà, su di lei, un senso di soddisfacente superiorità.
Oppure si sarà acciambellata, come una pagnotta di casa, sulla mia poltrona preferita, della quale ho perduto l’indiscussa proprietà dal suo arrivo, intrigante e impicciona come è subito stata!
Non c’è, ma verrà, dovunque si trovi, a saltarmi addosso, al primo tic del tasto che muoverò, per scoprire, curiosa, questo nuovo, misterioso, giocattolo.
Squilla il telefono: addio ispirazione! Mi sbarazzo al più presto del seccatore che, via cavo, chiede informazione sull’uso del computer proprio a me, negazione vivente di qualsivoglia diavoleria tecnologica, e corro alla macchina da scrivere, che emette rapidi ed inquietanti ticchettii.
Penelope è accovacciata sui tasti e da sotto spunta il foglio imbrattato: lettere accavallate, minuscole e maiuscole, virgole e virgolette, parentesi e accenti, trattini e lineette. Che composizione poetica! La “gattilografa” ha scritto da sé il suo racconto.

 

 

 

Tratto “da Storie di Gatti” – Messina 30 Ottobre 1998

“Cameriera perfetta”

Sostengo con parenti ed amici che in una vita precedente senza dubbio dovetti essere gatta, tali sono le affinità che mi uniscono a quest’animale.
Caratterialmente, una di queste è il piacere di lunghe e saporite dormite. Specialmente al mattino, dopo il suono della sveglia che ha messo in piedi il resto della casa, che gusto provo a rigirarmi, sbadigliando, sotto le coperte, sentendo affiorare, nel dormiveglia, la consapevolezza di poter prolungare questo dolce riposo, non avendo impegni che richiedono orari rigorosi!
Sento lo scalpiccio delle pantofole di mio marito dirigersi, attraverso il corridoio, alla cucina e, poco dopo, un fievole bagliore di luce elettrica penetra l’oscurità delle stanze, giungendo fino al mio letto.
Inizia così l’abitudine del mattino, che io vivo a metà fra il gioco ed il rito solenne.
Continuo il mio sonno, e possibilmente, il mio sogno, restando immobile, ad occhi chiusi, e aspettando. Cosa?
Avverto in lontananza i rumori cucinieri: svitamento, riempimento e riavvitamento della caffettiera, apertura del gas, accensione del fornello, tintinnio delle tazzine sul marmo del tavolo, rimestio dei cucchiaini, sono sequenze che conosco a memoria e ripercorro mentalmente ogni mattina.
Quando sento il gorgoglio del caffè nella caffettiera e l’aroma giungere fino a me, capisco che è giunto il momento.
Ma non sono la sola a saperlo. La mia gatta, fino a questo istante cacciata chissà dove, anche lei sonnacchiosa, anche lei vogliosa di rimanere ad occhi chiusi, pur controllando con sensi nascosti tutti gli avvenimenti familiari, arriva quatta quatta in camera mia, sempre, ogni mattina, nell’attimo in cui mio marito pronuncia, come in una scena teatrale ripetuta mille volte, la seguente frase: – Vieni, Penelope, portiamo il caffè a mamma! -.
Contemporaneamente al braccio di lui, che tende verso di me il piattino con la chicchera fumante, sento le zampette di lei, saltata con un balzo sul letto, che cominciano a ritmare sulla mia pancia una danza leggera e solletichina, speranzosa di carezze, che possano alimentare le fusa.
Come fare a negargliele?
Infatti non ci penso neppure e, sorbito il mio caffè in fretta, inizio tutto il rituale di moine, che la stendono a pancia in su per una buona mezz’ora, fino a quando, paga di tanta affettuosità, stiracchia le zampine, prima anteriori e poi posteriori, sbadiglia e si allontana ai piedi del letto, rilassata e pronta ad un sonno ristoratore.
Appena, però, metto i piedi a terra la mia fedele cameriera, subito sveglia, mi precede in cucina, per cominciare con me la nuova giornata.

 

 

 

Messina, 28 Aprile 1997

Mio Padre

Non furbo: l’astuzia comprende,
ma pur, lealmente, rifugge.
Non ricco: se stesso difende
dal luccichio che distrugge.
Né avaro: è pronto a donare
a chi il bisogno costringe.
Né iroso: prudenza sa usare
e con pazienza egli vince.
Né fama né allori persegue,
non podio più alto a scalare:
la strada di vita che segue
conduce a tranquillo campare.
Risalta tra mille persone
mitezza di gesti e di verba.
Orgoglio mi rende a ragione
d’un padre sì fatto superba.