Una serata di Giugno

Quelle serate di Giugno avevano da sempre il potere di scompigliarle i capelli in maniera vistosa, quasi qualcuno le accarezzasse il volto con strano desiderio. Lei a quel balcone amava affacciarsi quando la brezza quasi estiva raggiungeva il suo culmine e faceva abbastanza rumore da tenerle calmi i pensieri della giornata. Un leggero venticello che sapeva di poesia e in qualche modo leniva col suo placido soffiare i colpi più duri che la vita aveva deciso di darle anche oggi.
Ci si può far poco con gli animi come il suo: anche uno sguardo non corrisposto con la stessa intensità ferisce duramente. E lei era ormai consapevole di questa debolezza. Per anni si era costantemente domandata come migliorare questo terribile aspetto del suo carattere, come tenere a bada quei demoni che venivano a trovarla ogni qualvolta le cose sembrassero aver trovato la loro stabilità. Una persona cerca una vita intera di trovare una risposta e poi, chissà perché, si accorge che la risposta è partorita proprio da quel dolore che ti accompagna da sempre.
Lei a quel balcone stasera stava pensando a quello. A quanto dolore fosse stato necessario sopportare per capire che un animo come il suo può sanguinare con poco. E non c’è nulla di male ad ammetterlo a se stessi e agli altri. L’importante, poi, è riuscire ad avvicinarsi solo a quelle persone che non amano approfittare della sensibilità altrui.
Eh già, bel problema, pensò. A quel punto un gesto di stizza ruppe quell’incanto del vento che educatamente amava scompigliarle i capelli. Pensare a chi potesse starle accanto le aveva reso i pensieri più difficili da sopportare. Con fare deciso spostò la lunga chioma su una sola spalla e prese a tenerla con la mano per evitare che i boccoli le facessero il solletico mentre osservava il mare disteso a riposare davanti a lei.
Un vociare di passanti che chiacchieravano giocosi lì sotto, lungo la strada del paese, la fece ritornare a quel balcone dove ormai il corpo era rimasto solo mentre la mente era volata un po’ più in là a cercare qualcosa di interessante.
È strano come le cose ci appaiano diverse quando a farle sono gli altri, mentre non sanno nemmeno che tu li stai guardando. Quel gruppetto di persone passò velocemente sotto casa ma il tempo che impiegarono le bastò per credere che tutti e quattro fossero di gran lunga più felici di lei. Non foss’altro che le loro risa sapevano di quella leggerezza che a lei poteva dare solo il caldo venticello delle serate estive.
Che poi, pensò, ridere non significa per forza essere felici. Quante volte aveva visto ridere il suo bellissimo papà credendo fosse sereno per poi accorgersi che quel sorriso era frutto di un amore smisurato nei confronti della sua bambina e non di vera felicità. Sorridere aiuta chi ti è di fronte, pensò. E annuì con la testa quasi volesse tenere bene impresso nella mente questo consiglio.
Nel frattempo la luna di Giugno stava alzandosi in volo per rischiarare la serata. Sembrava fosse tutto perfetto: il mare calmo, il vento leggero, quel chiarore sempre più intenso e la solitudine ideale di chi vuole parlare solo con se stesso. Temendo di essere già troppi.
Il problema quella sera era lo stesso della sera prima e di quella prima ancora: la fiducia.
Rosemary l’aveva vista andar via con le sue gambe, quella fiducia, senza fare più ritorno. Sembrava come aver perso un braccialetto al quale si era affezionati, la pagina più interessante del giornale che si stava leggendo, sembrava come il cubetto di ghiaccio che mancava alla limonata da offrire agli ospiti. Caspita, è estate, il ghiaccio è necessario!
Passò sul terrazzino il suo cagnolone. La vide così pensierosa, affannato e contento le passò frettolosamente la testa sui polpacci e corse dentro, anche lui preso da altre cose. Lei non ebbe il tempo di accarezzarlo ma le restò sul viso quel sorriso sciocco di chi ha visto un batuffoletto di peli e vorrebbe stritolarlo di baci. Il pelosetto restò al suo fianco un battito di ciglia, il tempo necessario a ricordarle quanto gli animali sappiano essere più fedeli degli uomini. E a lei bruciava troppo quella sera proprio il fatto che gli uomini avessero una certa ritrosia al significato autentico di fedeltà. Per giustificare colui che tanto la stava facendo soffrire, pensò che in fondo l’uomo è in ogni caso un animale, un essere bestiale molto più dedito agli istinti che al ragionamento. Poi però corrucciò la fronte e si rese conto che no, non era proprio il caso di giustificare ancora chi l’aveva spenta a quel modo.
La fiducia, si ripeteva. Avrebbe voluto afferrarla con forza e dirle “basta, ti obbligo a restare qui!”. Ma lo sapeva, lei lo sapeva bene che quella cosa lì mica la fermi. È come il vento, in fondo. Se lui ha deciso di scompigliarti i capelli anche se tu non vuoi, perché lei dovrebbe tornare anche se qualcuno l’ha cacciata via? Anche la fiducia avrà il suo benedetto orgoglio. Orsù!
Era ormai in piedi da tempo, poggiata a quel parapetto dal quale riusciva a godere di uno spettacolo impagabile. Decise di andare a sedersi per evitare che le gambe non la reggessero più. Attendeva ormai senza più pazienza che lui la chiamasse, che le dicesse quanto stupido fosse stato il suo comportamento, che senza di lei non poteva vivere. Rosemary avrebbe risposto un secco no, avrebbe fatto l’offesa e l’avrebbe lasciato solo a pensare ai suoi errori ma lei pretendeva il dolore di chi la stava facendo stare così male. Un po’ di mea culpa, pensò, giusto il tempo di fargli capire che ha davvero sbagliato. Non lo avrebbe mai lasciato solo, questo lo sapeva, però voleva che lui tornasse con la consapevolezza che tutto può finire e che è molto meglio apprezzarlo per tempo cercando di tenerlo stretto a sé prima che sia troppo tardi.
Fortunatamente lui era semplice sì, ma non stupido. Capì che qualcosa andava fatto, e subito, ma non capì bene come farlo. La chiamò dicendole “Passo a prenderti tra poco” e lei ci rimase decisamente male. Lui era già passato oltre, convinto che un litigio come quello della sera prima fosse bastato a chiarire il tutto e che le ventiquattro ore successive fossero state un tempo abbastanza lungo per metabolizzare l’amarezza.
Quello che proprio nessuno voleva capire era che quando la fiducia fa le valigie e parte, manda a suo nome e per suo conto la delusione, un’amica amara e di poca compagnia. Rosemary stava facendo i conti con quest’ospite indesiderata rimpiangendone un’altra che era andata via senza preavviso.
Sentì il cuore sconquassarsi. Lo sentiva sempre fare così quando pensava a lui con un’altra. Provava a ricacciare dalla mente quell’immagine non vista, sperando che la sola idea non le rimanesse impressa così vividamente per troppo tempo. Ma niente, proprio niente, la faceva star male come la menzogna che aveva ricevuto.
Corse dentro a guardarsi allo specchio. I lunghi capelli neri, la pelle così chiara e quelle guance un po’ paffutelle non caricavano il suo ego di tutta l’autostima della quale c’era bisogno in casi come questo. Passò una mano su suoi fianchi burrosi al punto giusto e tirò un po’ la pancia in dentro mettendosi di profilo per capire se il vestito le facesse difetto. Nel complesso si sentiva accettabile ma non eccezionale e questa mediocrità per lei che era stata appena tradita era un cruccio insopportabile.
Cosa avrà avuto un’altra donna più di me? Fu questa l’assordante domanda con la quale uscì fuori di casa per tornare a riammirare il panorama. Ma tutte le stelle del cielo non sarebbero state in grado di darle una sola risposta che le mettesse l’animo in pace.
Aveva la sensazione quasi fisica che una spina le si fosse conficcata nel petto. E, quel che è peggio, che non se la fosse ficcata lì da sola ma che qualcuno del quale lei si fidava oltremodo lo avesse fatto con cattiveria. Lui le aveva conficcato nel petto quella spina così dolorosa semplicemente ignorandola, dando ad un’altra le attenzioni che avrebbe dovuto rivolgere solo ed esclusivamente a lei. Mica un pensiero da poco.
La luna era ormai alta in mezzo al cielo. Saranno state le dieci quando suonò il campanello. Sarà lui, pensò, e decise stranamente di non aprire. Mai avrebbe creduto che il suo orgoglio avrebbe potuto superare il suo amore ma una forza inspiegabile la tenne attaccata a quel vento caldo di Giugno che non la spinse di un solo millimetro verso il portone.
Il campanello risuonò poco dopo. A quel punto pensò bene di sedersi mentre il cane, ormai esasperato, prese ad abbaiare contro l’ignoto che disturbava la sua quiete. Fu il turno del telefono, che cominciò a squillare senza sosta. Ma lei non aveva proprio più parole da dedicargli e così decise di non rispondere.
Più i minuti passavano impietosamente lenti, più lo stupore si impossessò di lei. Lo stava respingendo, per la prima volta in vita sua gli stava negando una possibilità. Forse per l’emozione della novità, questo nuovo comportamento l’aiutava molto più che guardarsi allo specchio per piacersi. Spense il telefono convinta che più nulla potesse fermare questo suo momento di euforia ed aspettò pazientemente che anche il campanello smettesse di suonare. Quando sentì l’auto partire a tutta velocità ebbe la conferma che lui e la sua poca pazienza erano andati via destinati chissà dove.
Forse lui sarebbe andato da quell’altra, e questo pensiero la colpì dritta alla pancia come se qualcuno l’avesse appena sparata, ma ora non era importante.
Devo ritrovare la mia serenità e l’amore per me stessa, pensò a voce alta, e questo pensiero aveva il sapore di una conquista.
Corse dentro a prendere della carta e una penna blu e tornò fuori per scrivere la lettera più importante della sua vita. Si sedette composta su una delle sedie che circondavano il tavolo ricoperto di graziose mattonelline dipinte a mano, guardò per un’ultima volta la silenziosa luna che la illuminava, tirò un profondo respiro e si buttò a capofitto nel flusso dei suoi veloci pensieri.

“Caro amore,
nulla, ma proprio nulla, mi è più caro del sentimento che ci lega. O che, per essere più sinceri, ci legava prima che tu decidessi di spezzare questo nostro filo.
Senza averlo nemmeno chiesto, in troppo poco tempo ho avuto la conferma più amara che tu potessi darmi: l’amore ha un limite. Come tutto, come la pazienza, come la velocità da tenere quando guidi, come la gioia, come il dolore. Arrivi ad un punto, ti fermi e dici “no, basta. Oltre questo passo non ne farò più altri nella stessa direzione”.
Forse il tuo limite non ha necessariamente le sembianze di un’altra donna. Forse lei era proprio ciò che ti aspettava già al confine col tuo amore, limitato, nei miei confronti. Non lo so cos’è che è stato. So solo che all’improvviso tutto è crollato ma tu non eri lì con me sotto le macerie.
Avrei potuto aprire quel portone, ascoltare, forse, le tue scuse, lasciarmi baciare da quelle labbra che ho desiderato ogni sera per tante sere. Avrei potuto rispondere al telefono, dirti che ero pronta e che tra qualche minuto sarei venuta giù. Avrei potuto, ma non l’ho fatto. Incredibilmente, non l’ho fatto. Tu sei andato via dopo poco, a riconferma del fatto che indugiare sulla soglia dei propri limiti non ti permetterà di certo di superarli.
Ho tante idee nella testa e poche nella penna. Continuare a scrivere quasi mi sembra banale visto che tu sei fuori chissà dove ed io, patetica, provo a farmi capire lasciandoti un segnale muto come queste parole sulla carta. Il vero problema è che tu non capiresti in ogni caso. Tutte le parole del mondo non servirebbero a dirti come sto e non servirebbero a spiegarmi perché sia successo tutto questo.
Ma di una cosa sono certa: non aprire al portone è il più chiaro ed evidente segno che il tuo amore ha un limite e la mia dignità no. Per la prima volta mi sono sentita bella senza che tu, mentendo, lo dicessi. E, credimi, questo è il migliore complimento che tu col tuo silenzio ed io con la mia forza potessi farmi”.

Smise di scrivere e quasi trasalì guardando il foglio, bianco fino a pochi minuti prima, che incredibilmente si era colorato del blu della notte. Chiuse in due il foglio e lo lasciò sul tavolo, si alzò sbarazzina e dopo un ultimo colpo d’occhio a quella strana serata decise di uscire. Da sola, in strada, tra la gente. Perché voleva essere in quel flusso che finora aveva solo guardato passare. Voleva essere tra le risa dei passanti, incurante del rumore che il cuore fa quando lo lasci, solo, in una serata di Giugno.


Saziami,

saziami l’anima affamata di emozioni
come un fiore appena sbocciato nella calura dell’estate
che aspetta, inquieto, la brezza serale del tramonto.

Saziami il cuore,
sazia la sua fame d’amore,
disseta il mio essere
che attende di annegare nel mare scuro dei tuoi occhi.

Porgi la tua mano alla mia mano,
ammira l’incredibile estasi delle notti calde,
torride di passione,
ardenti dall’attesa infinita.

Saziami,
saziami l’anima trepidante.
Assaggia la sua voglia,
prendila a te senza memoria
né progetto, né promessa.

Accogli questo amore senza speranza,
donagli sussurri e gemiti,
carezze e brividi.
Lascia che io perisca sulle tue labbra
e sulle mie labbra leggi l’etereo conforto dell’amore.


La notte

Seduta nella notte
A rimirare il mistero oscuro della tua assenza
Dolce è la compagnia di questo mare tutt’attorno
Che m’accarezza i pensieri
Come la culla fa col dolce sonno del bambino.

Tu mi chiedi perché ed io perché non ho
Non ho che darti
Se non le mie incertezze
Non ho che offrirti
Se non le mie paure.

Leggo l’oscuro di questa vita
Nell’immenso chiarore della luna di stanotte
Che illumina questo mare quieto e dormiente
Come io vorrei tu illuminassi le mie domande mai spente.

La brezza di questa sera così viva di magia
Trabocca dalla coppa della mia impazienza.

Tu, vivida presenza dei miei ricordi,
sei così vivo nella mia nostalgica notte
e da essa trasudi come rugiada sulla rosa
mentre a coglierla questa mano si ferisce.