Poesie
ODE A GIUSEPPE FRICCHIONE
Sento ancora i tuoi passi felpati
Ora discreti ora quasi immoti,
attraversar le mute stanze e vuote
dopo la rovina.
Il fruscio del vento autunnale
coglie il mio pensiero ad ascoltare,
quasi vero, il rigirar di carte tormentate e care,
e te chino alla lettura mormorar
ricordi dolorosi e tempi avversi.
Là tra le deserte dune con indomita fierezza
senza gioia di casa e di famiglia,
pur si bruciava già la giovinezza
al sole d’altrui illusione d’impero e di grandezza.
Ora in quella casa, cui da lontano
offristi l’ultimo respiro
ché piacque a Dio così provar tua fede,
privandoti di morir dove nascesti,
sento la tua presenza ancora intatta
e il tuo parlar quieto e forte.
No! Tu non sei morto
se per morir s’intende oblio,
anzi il tuo muto colloquiar meco
m’eterna le parole.
La voce non ha ruolo
se nel silenzio il traspirar dei tuoi pensieri
s’impone alla ragione
e m’invita a meditar profondo il senso.
Oh! Risento l’eco del tuo parlare
ma già si trasfigura il tono,
e l’incompreso borbottar tra i denti
ora m’è chiaro.
No! Tu non sei morto,
ché se la morte è legge di natura
l’oltrepassarla è pur divina cosa;
per cui se il poeta scrisse che l’affetto
solo strappa l’uomo da sicura morte,
d’affetto hai fatto ognuno ereditiero.
Non ricchezze ai figli e oro
ma d’umanità sensi profondi.
A tutti un grande raggio
d’amore e di virtù
perché la vita è fede
e fede un atto di coraggio.
No! Tu non moristi nell’Africa lontana
eppur ne vedesti il soglio,
né t’ha fiaccato la lunga malattia,
né gli anni erano di peso a tua persona,
ma pago di te il Gran Divino
ti addormentò alla quiete eterna;
ed il tuo spirito ora e il tuo dire
muta fonte sublime di conforto
ad ogni mio tormento,
a me ti fa vicino e vivo,
e libero è il mio cuor da ogni cura
all’ombra del cipresso solitario.
ODE AD ANNA MARIA BAVOSA
Le braccia di colei che ti donò alla luce
Ora t’accolgono nell’altra vita
e cullandoti, figlia ritrovata,
proteggono l’eterno tuo dormire.
Il cammino terreno ormai s’è infranto
e invano io tendo l’orecchio alla tua voce,
allor mi studio nella mente il timbro
che risuonò più volte in ore liete,
quando alle facezie mie tu ridevi,
allontanando dalla mente le gravi cure
tormento alla tua vita;
fardello certamente grave
nell’ora in cui impietosa
la Parca tagliò silenziosa il filo
e ti staccava senza clamore al mondo.
L’alba già sbiadiva il buio della notte
e tu madre dolcissima,
a noi strappata senza presa di coscienza,
traevi l’ultimo respiro
e si taceva per sempre lo spasmo,
compagno atroce della fine.
Invano coi figli adorati e la sorella
gridammo preci all’orecchio sordo ad ogni voce.
Ormai non eri più con noi
per sempre ricongiunta all’infinito,
né il tempo t’era più valore.
Eternalmente già percorrevi i campi Elisi
e nella luce trovavi la tua pace.
A noi, e tu lo sai, un vuoto l’animo avvolge
e opprime il cuore, mentre la casa ci riceve tutti
come fuggenti pellegrini,
un tempo luogo d’incontro festoso
d’amici, di parenti e di nipoti.
Ogni oggetto, in silenzio, ci racconta
la tua vita e le mille e più opere intraprese,
mentre nell’aria, ad ascoltar, quieto s’ode
ancora il ritmar del tuo respiro
e arcanamente torni fra noi viva,
pronta quasi ad apparire
nel riverbero d’una fiamma di candela.
Allora muti in una dolce pace
tutti stiamo ad ascoltare
te che ci parli e benedici.
IN RICORDO DI NATALE BULDO
I tuoi occhi esprimevano la voce
dando luce alla tua parola muta,
mentre ragionavi con me
senza parlare.
Ora taci per sempre
e l’eco del silenzio pesa,
ma i tuoi occhi spenti al mondo
non tacciono al mio cuore.
Berrò con te un bicchier di vino questa sera,
ripercorrendo coi miei pensieri
l’eco del tuo dire,
e nel silenzio accarezzo il mio dolore.