PETALI NEL VENTO DEI RICORDI

Racconto breve di Argentina Napoli

Non ero più tornata a casa dei miei nonni da quando nonna Carmela morì, ormai quasi quindici anni fa. Il vuoto della sua casa era il vuoto dentro di me. Non potevo guardare gli oggetti disposti con cura sugli scaffali senza rivedere la nonna che con amore li trattava come esseri animati. Animati dalle energie di chi li aveva posseduti e a lei donati: una fotografia, un soprammobile, un ciondolo…
Perché una settimana fa io abbia sentito fortissimo il bisogno di tornare a casa di nonna Carmela, non so spiegarmelo.
Ho cercato le chiavi in uno stipetto a casa di mia madre, dove sapevo che le avrei trovate. Non le ho detto delle mie intenzioni. Le azioni erano più veloci della mente, sembravano guidate da altro. Percorsi la strada in auto molto lentamente: rivedevo ogni casa, ogni albero, ogni pietra per la prima volta dopo lungo tempo e, ad ogni curva, mi assalivano miriadi di ricordi. Ripensai all’ultima volta che percorsi quella strada prima che la nonna morisse. Fui da lei nel giorno del suo compleanno. Le portai delle rose gialle, le sue preferite. Mi abbracciò e mi parlò della sua morte come se fosse imminente, ma io non volli ascoltare. “Cosa dici, nonna? Non voglio sentirti parlare così. Sei ancora giovane e io ho bisogno di te.”
Invece fu l’ultima volta che la vidi.
Quando la vegetazione si faceva più fitta e il cielo si intravedeva appena tra le foglie degli olmi, sapevo di essere ormai arrivata a destinazione. L’ultima curva. Ed eccola lì: casa Viviani. Intatta. Silenziosa. Sola.
Il cuore cominciò a battermi ad un ritmo sempre più veloce. Perché ero lì? No, non potevo entrare. Ingranai la retromarcia e stavo per tornare indietro, quando una lieve folata di vento portò sul mio parabrezza una rosellina gialla. Aprii lo sportello, uscii e la presi fra le mani.
“Nonna, sei qui?” Le chiesi. Ma lei mi aveva già risposto!
Chiusi l’auto. Osservai di nuovo la casa. Mi apparve più luminosa; guardai in alto e mi accorsi che, dalle nuvole bianche, una schiera di raggi filtrava ad illuminarne la facciata. Sentii che dovevo procedere. Percorsi i pochi metri che mi separavano dall’ingresso camminando lentamente. Mi guardavo intorno aguzzando i sensi affinché potessi percepire ogni segnale che mi guidasse nella direzione giusta. Sentivo i miei passi sulla breccia, il vento fra i rami degli alberi, il ronzio degli insetti, il profumo dei narcisi.
Varcai l’uscio, ma non chiusi la porta, finché non trovai l’interruttore della luce. Pensai di aprire le imposte. Quando tutto fu illuminato a giorno, serrai l‘ingresso. Restai ferma qualche istante, quasi a raccogliere le idee. Mi dissi che ero veramente sciocca a sentirmi così tesa e a credere ai fantasmi dei ricordi. Ma ciò che in realtà mi aveva sempre bloccato era la paura di ravvivare vecchi dolori e sapevo che rientrare in quella casa non avrebbe potuto preservarmi dal riprovare emozioni che negli anni avevo tenuto lontane. Nonostante ciò, decisi di proseguire la mia “visita”. Credo di aver pensato che fosse ormai tempo di crescere, di spogliarmi dell’alibi della sofferenza che mi teneva lontana da quella casa, dai suoi ricordi e , di conseguenza, dai miei nonni. Non era giusto. Ripensai a quanto erano felici di vedermi lì e a quanto il restare lontana invece li avrebbe addolorati e, forse, offesi.
Avanzai, dunque, ed entrai nel grande soggiorno in cui la mia famiglia ed io avevamo trascorso tutte le vigilie di Natale fino alla morte della nonna. Mi parve, per un attimo, di rivedere tutti attorno al grande tavolo quadrato di legno massiccio imbandito a festa, e sorrisi, ricordando che io prendevo sempre il posto accanto alla nonna, mia complice: tutte le volte che qualche alimento non mi piaceva, d’accordo con lei, lo mettevo nel suo piatto e lei, altrettanto furtivamente, lo mangiava (le sarebbe stato proibito da una rigida dieta).
Distolsi la mia mente dalla sala da pranzo e passai oltre: nella grande e calda cucina dove la nonna preparava le delizie con cui ci viziava; mi sembrò di sentire l’odore delle crocchette di patate e delle cotolette di pollo. A noi bambini sembravano le pietanze più buone del mondo. Era tutto così perfetto quando eravamo con nonna Carmela!
Guardai fuori dalla finestra. Nella verandina c’era ancora la vecchia gabbia di Giallino, il canarino che visse coi nonni per ben diciotto anni; morì quando, con il terremoto, dovettero trasferirsi per alcuni mesi. Col passare del tempo, il mio animo si acquietava e ormai ero solo ansiosa di tuffarmi nei piacevoli ricordi che ogni cosa mi rievocava.
Cominciai quasi freneticamente ad aprire stipi e cassetti, a toccare, indugiando lungamente, tessuti, tazze, stoviglie… Mi diressi poi al piano di sopra, nelle camere da letto: erano due; in una dormivano gli ospiti e nell’altra i nonni. Entrai nella prima dove spesso avevo dormito anch’io. C’era un antico cassettone di legno col ripiano in marmo bianco. Aprii con qualche difficoltà il primo cassetto. Vi trovai, disseminati alla rinfusa, dei vecchi ninnoli: due braccialetti d’osso, un orecchino di metallo scurito, una mascherina d’argento, un rosario … e anche un anellino d’oro con una foglia che la nonna mi aveva regalato non ricordo più quando. Come avevo potuto dimenticarmene? Lo presi per portarlo con me. Stavo per metterlo in un taschino interno della borsa, ma poi lo infilai all’anulare e guardai la mia mano con quell’anellino: mi sembrò più piccola, più giovane, la mia mano di tanti anni prima.
Su un’étagère tanti oggetti noti e tante foto di noi nipoti, da neonati ad adolescenti. Alla parete – incredibile! – incorniciati, alcuni miei dipinti su vetro, realizzati quando ero alle scuole medie. La nonna era sempre stata una mia sostenitrice.
Per ultima, la stanza da letto dei nonni. Era quella che mi rievocava i ricordi più tristi: evitavo di guardare il lato del letto in cui avevo visto giacere il corpo esanime della nonna. Vi entrai perché mi sembrò quasi un dovere, ma pensavo che ne sarei uscita velocemente. Uno sguardo al comò: tutto era come lo aveva lasciato lei. Sui comodini, nulla. Mentre stavo per uscire, lo sguardo mi cadde su un vecchio trumeau seminascosto dall’armadio. Mi incuriosì. Mi avvicinai chiedendomi cosa contenesse, anzi, cosa avesse contenuto prima, quando i nonni erano in vita. Incredibile come un mobile, più o meno piccolo, potesse avere tanti cassetti, antine, ribaltine. Ma nulla! Mi sembrava inverosimile che fosse così vuoto. Aveva destato in me tanta curiosità e, invece, non c’era niente. Riguardai nelle antine in alto. Con una mano toccai i pannelli interni di legno più sottile e mi parve che uno di essi si muovesse. Ebbi un sussulto pensando di aver rotto qualcosa e la mia mano spinse bruscamente il pannello facendolo cadere in avanti. Sorpresa! C’era un doppio fondo! Celato, un cofanetto d’avorio posto in posizione verticale, in modo da entrare nel ristretto vano segreto.
Restai immobile. A scrutare, nella penombra, quell’oggetto misterioso. Potevo prenderlo? Era giusto spiare nei segreti di chi ormai non poteva più proteggerli? E se non fosse stato un caso che proprio io, quel giorno, avessi trovato quello scrigno? Se fosse stato proprio quello il motivo per cui tutto mi aveva ricondotto lì dopo tanto tempo? Allungai esitante la mano. Dapprima sfiorai l’esterno della scatola, poi, decisa, l’afferrai estraendola dal suo cunicolo. Era un cofanetto molto elegante, di forma rettangolare, completamente intarsiato a motivi floreali stilizzati. L’aprii. All’interno del coperchio, vi erano incisi dei versi:
Negli esili fili di grano,
celati i pensieri del fiorente amore
Cartoline. Cartoline comunissime. Molto vecchie, ma non certo delle rarità. Tutte indirizzate alla famiglia Varriale, la famiglia della mia bisnonna. E le frasi scritte? Banali: “Cari saluti. Giuseppe”… “Auguri di Buon Natale e Buon Anno. Giuseppe”…Erano una ventina. Giuseppe doveva essere il mio bisnonno. Sapevo dai racconti della nonna che nonno Peppino aveva conosciuto da giovane la famiglia della sua futura moglie, quando lei era solo una bambina: aveva undici anni. Era un giovane ufficiale e girava l’Italia, ma mantenne vivi i rapporti con la famiglia Varriale finché, tornato a Sorrento, dove vivevano, chiese la mano della nonna Angelina. Quelle cartoline dovevano essere molto care a nonna Carmela, ma perché tenerle nascoste? E quella frase all’interno del prezioso scrigno? Cosa voleva dire? Ripetevo nella mia mente quei versi cercando di capire cosa nascondessero e, soprattutto, quale nesso avessero con quelle cartoline. Forse la scatola era stato un regalo del bisnonno alla sua amata: il “dono del fiorente amore”. Ma cosa c’entravano i fili di grano?
Cosa fare a quel punto? Rimettere lo scrigno dove lo avevo trovato? Portarlo con me? E con che diritto? Cercai, così di rimettere tutto com’era, compreso il pannello di legno che custodiva quello che ora era anche un po’ un mio segreto. Mi chiesi se qualcun altro prima di me aveva trovato quella scatola, ma poi mi dissi che non avrebbe avuto senso rimetterla lì. E tuttavia io lo stavo facendo!

*****

E’ trascorsa una settimana e le parole incise in quel cofanetto mi ritornano in mente continuamente, come una di quelle canzoni che ti entra in testa e non riesci a smettere di sentirla risuonare nella tua mente: “negli esili fili di grano…” Chissà se si intenda il grano grano o se si tratti di una metafora. Ma perché poi i fili di grano sarebbero “esili”? Forse si tratta di un parallelo fra il grano tenero, non ancora maturo e l’amore sbocciato precocemente. Ma allora perché custodire dentro quel piccolo forziere delle cartoline illustrate senza alcun valore? Certo, un valore affettivo c’è, ma non giustifica che esse siano state celate nel doppiofondo di un vecchio mobile. Qualcosa mi spinge a non abbandonare il pensiero di quelle missive. Non capisco perché. E’ come se avessi lasciato qualcosa in sospeso.
Ho deciso: ci tornerò. Tornerò a casa della nonna e controllerò meglio quelle cartoline. Deve essermi sfuggito qualcosa, lo sento.

*****

Eccomi di nuovo qui. Non so che ore sono, ma il sole sta calando e voglio far presto. Comincia anche a far freddo. E’ meglio entrare subito in casa. Ormai so dov’è l’interruttore e … Cos’è questo profumo? Strano! Qui l’ultima volta sentivo solo odore di chiuso e di umido. Ora c’è un aroma di fresco, delicatamente dolce… Ecco il vecchio trumeau. Lo apro decisa e cerco di togliere il pannello; questa volta di proposito, quindi devo forzare un po’. Bene, ci siamo!
Le cartoline sono come le ricordavo: paesaggi per lo più; ce n’è una con un mazzo di fiori e un’altra con delle persone a passeggio. Le frasi: tutte uguali o comunque molto simili. Da dove arrivano? Ci sarà un timbro postale. A fatica riesco a leggere alcuni luoghi di provenienza: Pordenone, Bordighera, Lucca… Ce n’è uno che non si legge, si confonde con la filigrana del francobollo. Filigrana? “Fili-grano”… Forse è nei francobolli la risposta al mio enigma. Io però di filatelia non capisco nulla, ci vorrebbe un esperto. Non mi va proprio di portare via queste cartoline da qui senza essere sicura che ce ne sia una valida ragione. Farò così: proverò a staccare un solo francobollo e lo porterò con me.
Strano! Non è ben incollato, viene via con facilità…ma cosa c’è scritto qui? Nel riquadro della cartolina, dove va apposta l’affrancatura, ci sono delle parole minuscole, scritte con la stessa grafia delle frasi di saluto.
Angelina, amor mio…penso sempre …a te
…Tuo Giuseppe
Un messaggio segreto! I pensieri del fiorente amore! Guardo gli altri. Mi tremano le dita, devo stare attenta a non strappare nulla. Mi fermo un istante. Faccio un respiro profondo e proseguo, cercando di leggere i minuscoli caratteri lasciati con tanta devozione in un tempo così lontano da avvicinarsi al sogno…
Il gelido inverno… sta per finire …
ed anche il …grigiore della mia anima…
Ti riabbraccerò presto.
Stringo un tesoro fra le mani! Sono confusa. Io, testimone dell’amore dei miei bisnonni, e ancora complice di nonna Carmela. Prendo la scatola e vi ripongo con cura le cartoline. Da questo momento le custodirò io.
Cammino a passo spedito verso l’uscita, mentre sento che, stranamente, l’aria diventa più tiepida. Mi volto un istante: un ultimo sguardo a quella casa per me così ricca di emozioni sempre vive. E’ ora di andare. La luna è già visibile nel cielo ancora azzurrino e una stella brilla appena. Di nuovo sento quell’intenso profumo. Un soffio di vento solleva petali di roselline gialle; uno si ferma tra i miei capelli. Lo prendo e lo metto nel cofanetto d’avorio, fra le preziose cartoline, mentre lo sguardo mi cade su un’ultima frase:
Mia adorata, una grande distanza cu separa,
eppure posso sentire il profumo dolce dei tuoi capelli


Armonici disaccordi

E come stille
cadono le ore
sfinendo i miei respiri.

Accordi dissonanti
accompagnano in trionfo
una novizia razionalità

mentre all’esterno
tutto appare ignaro
sordo alla mia musica.

E proseguono i miei passi
uno avanti all’altro
a seguire un ritmo regolare

mentre una terzina scandisce
i miei pensieri:
tempo irregolare gestito con abilità.

E come stille
cadono le ore
sfinendo i miei respiri.


Fusione

Carezzevoli sussurri
risuonavano nel sogno
il respiro vinto
le labbra schiuse…
Intrappolato il corpo
In un desiderio vivo e sveglio.