La foglia

Un giorno, sul ramo di un albero, spuntò una piccola foglia. Crebbe, crebbe, fino a diventare bellissima e verde tra i fiori. Passò la primavera e arrivò l’estate, col suo sole caldo che la rinvigoriva. Ma arrivarono anche le farfalle, che deposero uova, che si schiusero. I nuovi nati iniziarono a brucarla,e rimase tutta mangiucchiata. Mentre essa si faceva sempre più debole, arrivò l’autunno. La foglia resistette, ma alla fine da un bel verde ormai sbiadito, divenne rossa, poi marrone, si staccò e cadde dal ramo. Ma il destino ebbe per lei sorte diversa da quella delle sue sventurate compagne: difatti un gatto che passava di lì, decise di donarla al suo anziano padrone. Il vecchietto prese tra le mani la foglia ed esclamò: “oh, sventurata amica, la tua stagione, come la mia, è quasi finita!”. E, così dicendo, la conservò in un libro, dove essa rimane, tra le pagine sbiadite di un vecchio romanzo d’amore.


Una leggenda racconta che, in un’epoca molto lontana dalla nostra, fatta di spade forgiate e castelli assediati, vivesse una principessa molto amata dal re, suo padre. Sul letto di morte, il padre le strinse la mano, la guardò negli occhi e le lasciò il compito di governare con giustizia e onore, e le disse che finché avesse seguito questa strada, il suo spirito l’avrebbe protetta. Le disse poi che, quando fosse giunto il tempo, avrebbe dovuto scegliere un re giusto che la affiancasse in questo gravoso compito, e di sceglierlo con molta attenzione, perché ne sarebbe dipesa non solo la felicità del suo popolo, ma soprattutto la sua.

Gli anni passarono, e la principessa venne incoronata regina. Di giorno regnava, ma di sera, quando nessuno la vedeva, con il suo fidato maestro si allenava per diventare una temibile guerriera. Voleva mantenere segreto questo aspetto della sua formazione, poiché credeva che il suo regno non sarebbe stato attaccato, se non fosse apparso come una minaccia, e quindi si sforzava di comportarsi come se non sapesse condurre un esercito in battaglia. Sempre in segreto, manteneva allenate anche le sue truppe, perché non divenissero oziose per la mancanza di battaglie.

Un giorno iniziarono a presentarsi al castello degli emissari di regni vicini, che la chiedevano in sposa in nome dei loro re. La regina temeva quel giorno, poiché il padre l’aveva avvertita che dalla sua scelta sarebbe dipesa la prosperità o la disfatta del suo regno. Allora disse che, per essere giusta, avrebbe indetto un torneo, nel quale avrebbero dovuto combattere i sovrani in persona, e che avrebbero dovuto battere il suo campione misterioso. Il vincitore avrebbe ottenuto la sua mano e l’unificazione dei due regni. Tutti gli emissari tornarono dopo qualche settimana per accettare la proposta, e venne fissata la data del torneo. Essi però non sapevano che il misterioso campione era proprio la regina, che aveva deciso che un uomo capace di batterla, sarebbe stato anche capace di regnare al suo fianco.

Il torneo ebbe inizio, ed uno dopo l’altro, i sovrani persero la sfida contro il misterioso guerriero. Alcuni dicevano che fosse dotato di un’armatura magica che deviava i loro colpi, altri che fosse un imbroglione, e così gli animi si inasprirono. Uno dei re stava quasi per dichiarare guerra contro la regina quando un ultimo cavaliere, impolverato, con gli abiti logori e l’armatura arrugginita, giunse al castello, e, nella corte polverosa, scese da cavallo. Si rivolse poi a tutti dicendo di essere un cavaliere errante a cui era giunta notizia di un guerriero invincibile, e che era venuto per confrontarsi con lui. I sovrani sconfitti risero della sua stoltezza. La regina, che già si stava spogliando della sua armatura, quando seppe del cavaliere decise, nonostante la stanchezza, di accettare la sua sfida. Si confrontarono così prima a cavallo, e poi a terra, le loro spade che scintillavano, il sudore che scorreva sulle loro fronti coperte dall’armatura in un caldo pomeriggio d’estate. Alla fine, con un colpo deciso, il cavaliere errante atterrò la regina. Tutti si aspettavano che la finisse, ma egli le porse la mano e l’aiutò ad alzarsi. La regina si tolse l’elmo, e ci fu un boato di stupore. Allora gli disse: “Cavaliere, avete provato il vostro coraggio e la vostra abilità, vincendo il torneo e quindi la mano della regina, che sono io.”  Il cavaliere, attonito, s’inginocchiò ai suoi piedi e disse “sono il vostro servo, fate di me ciò che desiderate. Sono un re di un paese lontano, che oggi non esiste più, distrutto ormai dalla guerra. Erravo per le montagne e i boschi, e mi è giunta voce di questo torneo. Ho deciso di parteciparvi senza conoscere il premio in palio, ma adesso vi offro i miei servizi e il mio cuore, se lo volete.” Le prese la mano e gliela baciò, allora la folla, che amava molto la sua regina, andò in visibilio, e tutti impararono che per essere degno non conta l’armatura, ma quello che essa contiene.