Sono tutti d’età

Sono tutti d’età
i bagnanti che presto la mattina
scendono in spiaggia.

Passeggiano da soli
qualcuno già si bagna
stanno qua e là
ma non stanno fra loro
come quei fiori di campo
che s’aprono presto al mattino
e sono già appassiti quando è sera.

Sono tutti d’età
i bagnanti che presto la mattina
scendono in spiaggia.

Siede qualcuno sulla sabbia
sfoglia un altro il giornale
c’è chi si tuffa e presto torna fuori
ma sono tutti lì di buon mattino
come sperassero che
ad allungare il giorno
potessero allungare un po’ la vita.

Sono tutti d’età
i bagnanti che presto la mattina
scendono in spiaggia.

A dirvi soltanto mi resta:
‒ Fui uomo – fui vile -
Eugenio Montale


Ho taciuto le mie viltà

Ho taciuto le mie viltà.
Come ogni uomo!
Come ogni uomo,
ho anch’io le mie:
Ne ho poche?
Ne ho tante?
Ma forse meno d’altri
e magari meno gravi:
temere la vita d’avventura
o di farmi del male,
non certo per paura
ma certo per campare.
Della morte, ad esempio,
mai avuto paura
ma mi dispiace tanto
di dover morire;
se si potesse all’uopo
qualcuno delegare …
o far qualche ricorso …
ma da quanto mi vien detto
ciò non è dato fare.
Strade ne ho fatte tante
ma non da esplorare,
intendo strade vere
o strade della vita.
Anche dei viaggi ho fatto
ma sempre con giudizio
e fra i più belli sempre sono stati
non quelli fatti
ma quelli immaginati.


Michele

Michele giunse trascinandosi sul terrazzo che sporgeva sul vallone. Era molto stanco, i due bidoncini dovevano pesare parecchio. Come ogni mattina, ripeté la strana operazione di svuotare nel sottostante vallone, uno alla volta, entrambi i recipienti. Sedette poi su un sedile all’ombra, tirò fuori da una tasca una mela e l’addentò. Ne mangiò anche il torsolo con morsi avidi e frettolosi, poi si pulì le mani su quella che doveva essere stata una giacca un tempo appartenuta a qualcuno molto più alto e robusto di lui.
Si appoggiò poi alla spalliera del sedile. Filtrando tra le foglie un raggio di sole lo ferì agli occhi. Quel guizzo di luce lo riportò indietro nel tempo: rivide la porta forzata, la polizia che irrompeva nella stanza, il sole che lo abbagliava dopo giorni di buio, la madre, morta da giorni, portata via, lui rinchiuso per qualche tempo in una casa di cura.
Dopo, sempre ad anfanare senza meta per la città; schernito e respinto da tutti; sporco, cencioso; sempre solo, sempre zitto.
Pensò alla sua vita, alle notti nel tugurio dove si riparava tra rifiuti di ogni genere, che andava raccogliendo per le strade. Dopo anni di silenzio, parlò: ‒ La mamma è morta. Che faccio ora?
Poi si alzò, prese i suoi bidoncini, tornò verso la città, già di nuovo ripiombato nel suo mondo.