Poesie
Vorrei
Vorrei assaporare
un’inebriante esistenza
fatta di broccati e profumi corposi
di feste parigine al calar del sole
e caroselli napoletani odorosi di vita.
Vorrei volare immersa nell’infinito
viaggiando in tempi remoti
sulla coda di un neutrino
sfiorando le stelle
di un passato glorioso.
Ma io non sono questo
sono un dantesco inferno
di fuoco e ghiaccio
di battaglieri pensieri
tra animo e raziocinio.
Ed io
che nello specchio mi guardo
scopro il riflesso
di cristallini pensieri
cristallizzati in infiniti universi
del mio pensare diverso.
Crepuscoli
Crepuscoli improvvisi
si accendono nei miei pensieri
inondando di livida luce
il mondo circostante.
L’interruttore mio cerebrale
d’improvviso scatta
rendendo la realtà
spaventosamente sconosciuta.
In quell’eclissi di vita
che percepiscono i miei neuron
i vivo segmenti
di scie temporali.
Qualcosa di tensivo
sulla pelle spaventata
che d’innanzi al senso
scappa nel profondo.
Quei volti sconosciuti
cerco d’interpretare
nelle espressioni
di enigmatiche configurazioni.
E nel quotidiano risveglio
di infinite mattine
risorge sfinente
la pena del troppo sentire.
Ho bisogno…
Ho bisogno
di farfalle e girasoli
aquiloni e schiuma di mare
di sorrisi bambini
e biscotti fragranti.
Ho bisogno
di fate boschive
e iridescenti pensieri
come specchi frantumati
lanciati in cieli diversi.
Ho bisogno
di arte e favole
di sorrisi luminosi
di risa cristalline
e odorosi profumi.
Ho bisogno di pensarti
come cuore pulsante
all’unisono con il mio
in un’elegante danza
dipinta nei cieli.
Ho bisogno di guardarti
nei miei vividi sogni
di toccare il tuo corpo preciso
di assaporare il tuo respiro
ed immergermi in te.
Amiche
Noi,
nella brezza del mattino
con i capelli scomposti
osserviamo l’alba nascente
nei colori del sogno.
Appoggio il mio cuore
sulla tua spalla materna
respirando
l’aria salmastra
di un giorno rinato.
Noi,
confidenti e dolenti
che di vita e rabbia
ci nutriamo
stringiamo le mani
con forza ancestrale.
Nella temperanza
di ciò che ci unisce
ti sussurro
confidenze lontane
di chi dell’amicizia
fa il suo nutrimento.
Madre
Come cucciolo dormiente
appoggi dolcemente
il tuo volto bambino
nell’incavo mio morbido.
Ti accolgo nel mio ventre
cullandoti
accarezzandoti
baciandoti
sulla tenera fronte.
Io, selvatica madre
ti annuso olfattiva
imprimendo nella memoria
l’essenza tua infantile.
Sai di giochi
sai di sogni
sai di vita
sai di buono.
E nel silenzio vellutato
della tiepida notte
carezzo il tuo profilo
nell’infinito mio amarti.
Sorelle
I romanzi di un tempo
descrivono veritieri
ciò che fummo
e nella tragedia
del sangue versato
violente ci immergiamo.
Come per la regina bianca
e della sua rossa sorella
sale violenta
l’incomprensione feroce.
E dalle viscere profonde
del dolente pensiero
mi cingo afflitta
le livide membra.
In cuor mio anelo
che quei fragili fiori
rifioriscano
sui cuori laceri.
Siamo eco
di ciò che fummo
ed in cuor mio
di quella sembianza
speranzosa
mi vesto.
Il tempo della neve
Ci sono sensazioni intense come il vino caldo aromatico, la pioggia gelata sul volto, il pane fragrante del mattino. Ci sono sensazioni profonde, empatiche, viscerali, diverse, come sentire la neve. Io sento la neve. La sento arrivare prima del cielo plumbeo, prima del vento sferzante, prima del suo tempo. La sento come un freddo profondo nelle gambe, una morsa sottile che sale dai piedi e che mi mordicchia le caviglie fino a diventare inverno. In quella notte stellata in cui il cielo riluceva di scintille diamantine nulla si muoveva, nulla presagiva l’arrivo della neve. Eppure quella sensazione conosciuta di freddo e gioia mi assalì come un cagnolino festoso e scodinzolante. Lei stava arrivando, ne ero sicura, ne erano sicure le mie gambe, ne era sicuro il mio cuore. Cosa potevo desiderare di più in quella notte luminosa e silenziosa avvolta di velluto e stelle, avvolta di magia? Avere la neve la viglia di Natale. Appoggiata alla finestra ammiravo quello splendore, quel sogno, quel desiderio, ammiravo la grazia di una notte perfetta. E poi arrivò. Timida, leggera, suadente cristallo per cristallo, lenta come il tempo dei vecchi, delicata come i sogni dei bambini, e mano a mano che scendeva la magia si compiva, dapprima in una lanugine delicata, poi come coltre pesante e compatta, appiccicosa e perfetta. La notte passò in un baleno sotto il peso di quella candida magia il cui potere trasformò il paesaggio in un sogno fatato. L’alba si alzò vestita di bianco come una fata di cristallo volteggiante in cielo, sorridente e felice, danzante e luminosa. Natale era lì, rinato, rinnovato, splendente, ed io spalancai le finestre respirando quel freddo gioioso e pungente, salubre e profumato di buono. Natale era tornato, melodioso e bellissimo nel suo morbido manto. Mi tuffai in quel mare candido, sirena ammantata di cristalli, e pensai che in fondo anche quella era la felicità.