CRESCENDO INSIEME … IN SEGRETO

Erano gli anni dell’adolescenza. Piccole donne che crescevano con pudore, senza nemmeno conoscere il proprio corpo. Così nell’età tra gli undici e quindici anni la nostra vita in collegio diventò molto irrequieta. Eravamo un trio molto affiatato: io, Paola e Marilena. Il decimo compleanno di Marilena, la chiamarono in parlatorio e c’era sua madre ad aspettarla insieme al suo attuale marito. Le regalarono una bambola gigante, (il primo regalo che ricevette) vestita di rosso stile spagnola e dei dolci. Era molto coccolata dalla sua famiglia, tanto è vero che la madre superiora una volta riprese la madre perché non voleva che la figlia si sedesse sulle ginocchia del suo patrigno. La rimproverò dicendole che era sconveniente e ipocrita. Poi se ne andarono e le portarono via tutte le sue cose. Io e Paola la guardavamo con un po’ di invidia, perché la nostra mamma non veniva mai a trovarci. Quelle rarissime volte che veniva, i nostri visi erano raggianti di gioia, poi nell’arco degli anni, si rattristavano sempre di più. Le compagne che rimanevano, ci invitavano a giocare per non pensare alla nostra mamma. Non esistevano compleanni, Natale, Pasqua, si fece vedere soltanto il giorno della nostra Prima Comunione. Un giorno felice! Ricordo le sere che ci preparavamo per la notte; sedute sulla sedia a fianco al letto, posizionate e obbligate a guardare il muro, ci spogliavamo senza guardare le altre compagne. Il peccato era sempre lì … in agguato! Avevamo 12 anni, e il nostro corpo cominciava a trasformarsi. Notavamo questi cambiamenti e ci accorgemmo di questo perché i nostri seni ci facevano male, pulsavano ed erano gonfi. Questo, era motivo di preoccupazione perché non capivamo le ragioni della nostra trasformazione fisica. Ci toccavamo i seni come per lenirne il dolore e una volta successe una cosa per noi incomprensibile. Suor Eugenia, un marcantonio dallo schiaffo facile, vigilava tra le file dei letti a controllare ed accertarsi che le regole venissero rispettate. Vide il gesto della mia compagna e vicina di letto, si avvicinò alle sue spalle, e le diede un ceffone sonoro. Era vietato guardarsi, toccarsi, perché secondo loro era un peccato! Quanta rabbia e dolore dietro quel gesto incomprensibile; quanti sensi di colpa e vergogna che ci siamo trascinate dietro per una vita intera. Ancora oggi mi porto dentro questo pudore. In seguito ci inginocchiavamo ai piedi del letto per dire le preghiere serali, così anche il mattino alle 6.20 ora della levataccia. Una campanella suonava per andare a messa, colazione e via a scuola. Ricordo quando diventammo “signorine”, la paura di essere gravemente malate … io, lo confidai a Paola, mentre Marilena a suor Giulia, una suora molto dolce e comprensiva; era come una mamma per noi. Infatti, Marilena, tornando da una delle sue vacanze natalizie, mi raccontò che quella breve vacanza a casa di sua madre, sarebbe stata la più brutta esperienza della sua esistenza. Non vedeva l’ora di rientrare in collegio. Qualcosa era successo; era angosciata, preoccupata, doveva assolutamente parlare con suor Giulia; con sua madre si vergognava, poi non l’avrebbe capita… Arrivò suor Giulia, e cominciarono a parlare. La vidi prendere le sue mani e con le lacrime agli occhi le chiese: “Cosa ti sta succedendo bambina mia”? Le rispose che perdeva sangue da giorni e che a breve sarebbe morta… Vidi il suo viso illuminarsi e con suo stupore le disse che non era niente di grave e che avrebbe dovuto parlare con la madre superiora, perché solo lei poteva darle delle spiegazioni. A differenza di me, che lo dissi a Paola, mia sorella, fece il giro dell’istituto con conseguenze pesanti. Poi le fece un discorso confuso, ma non le fece capire che era diventata signorina e che non faceva più parte del gruppo delle “piccole” . Quello che era successo, doveva essere un episodio che si sarebbe ripetuto ogni mese, e che andava tenuto segreto, soprattutto con le compagne più “piccole”. Ci dicevano che la Madonna questo segreto, lo teneva chiuso sotto sette chiavi e che se lo avessimo rivelato alle compagne più piccole, avremmo commesso un peccato mortale. Da quel momento, tutto cambiò … Non esistevano gli assorbenti che si usano oggi, ma dei teli grezzi e i mutandoni. Ricordo una lavanderia molto grande e ogni mese c’era un cumulo di biancheria da lavare. Mamma mia se ci penso! Un altro episodio che mi lasciò sconcertata, fu quello della mia compagna e amica Marilena, che aveva una tosse insistente e che non le dava tregua. Era una notte di inverno e nel dormitorio faceva molto freddo. Quella sera, il silenzio dominava la camerata, si sentiva solo la tosse della mia compagna che rompeva la quiete e, più la tratteneva, più le veniva da tossire. Suor Eugenia, che dormiva in fondo al dormitorio dietro una tenda, le diede un ammonimento: “Smettila Marilena”! ma suora … non riesco, rispose lei … sto cercando di soffocare la tosse, ma la tosse le squarciava il petto e riprese a tossire. Nuovamente la richiamò: “Basta Marilena”… niente da fare! Suor Eugenia uscì dalla tenda e la trascinò giù dal letto e la portò nei bagni, con i piedi nudi e una camicia da notte molto leggera. Nei bagni, malgrado fosse inverno, le alte finestre basculanti erano aperte. Per punizione la lasciò lì al buio, seduta per terra al freddo e a tossire per tutta la notte. Suor Eugenia si arrabbiò violentemente e le mollò uno schiaffone facendole uscire sangue dal naso. Mi alzai per difenderla, ma a mia volta presi un ceffone e me ne tornai a letto piangente. Quella notte non chiusi occhio per ciò che avevo visto. L’indomani, la poveretta si ammalò di bronchite. Di nascosto dalle suore, andavo a trovarla nel dormitorio, ma spesso la trovavo che dormiva, era febbrile. Dio sa i maltrattamenti subiti da questa suora così cattiva e crudele, senza un minimo di umanità verso di noi così piccole, indifese e gracili. Una domenica, quando venne la mamma di Marilena a trovarla, le raccontò l’accaduto e lei si mise a piangere e volle parlare con la madre superiora. La ricevette nel suo ufficio Insieme a suor Eugenia che, di fronte al suo racconto, ammise tutto e la madre superiora le fece una lavata di testa! Finalmente eravamo soddisfatte del suo richiamo. Erano altri tempi in cui i maltrattamenti e i soprusi venivano concessi; al giorno d’oggi invece, un tale comportamento, sicuramente sarebbe stato denunciato. Ci sono stati anche momenti in cui combinavamo delle marachelle. Come una sera, approfittando dell’assenza di suor Eugenia, mentre tutte le compagne dormivano, io e Marilena a gattoni andavamo a salutare Rosalba e Paola, che si trovavano in fondo al dormitorio. Improvvisamente entrò lei, suor Eugenia, ci colse di sorpresa, come se si fosse nascosta per vedere cosa facevamo; infatti ci mise in castigo per una settimana in cucina a pelare le patate da suor Cesira, la cuoca del collegio, una suora robusta e brava. Per noi, andare in cucina ad aiutare, ci rendeva felici perché c’era la dispensa aperta e potevamo andare a rubare il pane e lo zucchero. Un giorno la cuoca si allontanò e lasciò una bottiglia sul tavolo e Marilena la prese e si mise a bere, ma era aceto … tossì per un’ora! Quando sbattevamo le uova, che erano tantissime, forse una cinquantina, era più quello che mettevamo in bocca che quello che rimaneva. Suor Cesira, non si accorse mai di ciò che mancava. Un giorno entrò in cucina e ci vide mangiare il pane e assaggiare dai pentoloni la pastasciutta delle suore, non sapevamo più come fare per evitare un altro castigo, ma la cuoca era brava e cercava di coprirci. Ricordo, quando veniva il Vescovo a farci visita, eravamo tutte in divisa, con i gambaletti bianchi e le scarpe di vernice nere, come civettuole dovevamo recitare le poesie davanti a lui, mentre le più grandi apparecchiavano la tavola per noi con ogni ben di Dio: dalle lasagne al risotto; dall’arrosto … alle polpette; poi dolci, frutta … poi quando se ne andava, portavano via tutto. Quel giorno andammo a sbirciare nella porta del loro refettorio; c’era tutto quello che avevano portato via da noi per mangiarselo loro. Già … dovevamo fare bella figura con il vescovo! Quando arrivava il Natale, si sentiva nell’aria un’atmosfera festosa, fatta di luci e di suoni. Alcune di noi aspettavano tutta la notte questo momento per ritornare a casa e trascorrere qualche giorno con i propri familiari; altre, come me e Paola, meno fortunate, avevamo il cuore gonfio di tristezza perché sapevamo che non sarebbe venuto nessuno a prenderci. Quella tristezza che ci ostruiva la gola, durò solo il tempo della partenza delle nostre compagne. Rimanevamo in poche ed il Natale lo sentivamo ancora di più. Marilena, era più fortunata di noi. Mi raccontò che quando sua madre venne a prenderla, la portò in una casa di ringhiera a Milano. Mi disse che la sua camera era pulita e profumata; sui due letti c’erano i copriletti celesti con sopra due bambole che sembravano aspettarla. Un’altra compagna, per punizione, non la lasciarono andare a casa dalla sua famiglia a causa della brutta pagella che aveva preso. Il giorno di Natale ci facevano cercare i regali fatti dai benefattori e dovevamo cercarli in tutte le stanze del collegio, poi trovammo la stanza chiusa a chiave e lì c’erano custoditi i giocattoli. Guardavamo nel buco della serratura e li vedevamo. Finalmente aprirono la porta e ci fecero entrare a giocare. Eravamo felicissime! Trascorso il Natale, ci ritiravano i giocattoli per non vederli più fino al Natale successivo. Che tristezza! Che desolazione! Poi arrivò la fantastica notte che precedeva il 6 gennaio. Alla sera ci facevano mettere fuori dal cancello del collegio, dei contenitori d’acqua, il latte e il sale per i Re Magi e la mattina correvamo a vedere se erano passati e trovavamo le ciotole vuote e rovesciate. Noi, credulone e ingenue, piene di stupore ci guardavamo in giro per vedere se erano passati da poco. Riimanemmo sempre più stupite. Mamma mia, come erano belli i nostri Natali, non avevamo niente, eppure lo sentivamo tantissimo! Coi tempi di oggi, il Natale è considerato più come un business che non una festa sacra; chi vende di più per guadagnare di più. E’ diventato una corsa allo shopping, al consumo, allo spreco … non più con lo spirito di una volta, ingenuo e innocente. Sono certa che, le persone della mia generazione, apprezzavano il Natale con gioia ed entusiasmo, come lo vivevamo noi in collegio, con la gioia di vedere nascere il bambinello dentro una capanna. Erano davvero tempi felici, dove ogni ricorrenza era davvero una festa.


Rime di Speranza…

La collina dei ciliegi.

Io e te…sdraiati sull’erba ad ascoltare
la musica dei grilli e gli uccellini cantare.

Farfalle, dai colori variopinti…
si posano dolcemente sui nostri vestiti.

Il profumo dei fiori…annuncia la primavera…
giornata splendida fino a sera.

Il sole caldo …illumina i nostri volti…
riscalda i nostri cuori.

E’ la magia della natura…
che il Signore ha creato con cura.

Io e te…da soli…abbracciati
sulla collina dei ciliegi.


Rime di Speranza…

Piove…

Le strade son bagnate…
in giro non c’è nessuno.

Solo io e te…sotto l’ombrello…
a passeggiare a braccetto.

Si ode il canto degli uccelli
e il profumo della primavera fiorita.

Una pioggia fitta e battente
concilia il momento più eloquente.

Belli e romantici…l’atmosfera…
ci regala dei momenti fantastici!


Rime di Speranza…

Al sorgere del sole.

Veglierò su di te…
quando l’alba annuncia un nuovo giorno…
mi addormento insieme a te al tramonto.

Veglierò su di te…
quando le forze ti verranno a mancare…
per stare vicino a te ed amare.

Veglierò su di te…
finché le mie energie lo permetteranno…
insieme a te volo cantando…


Rime di Speranza…

Io rinascerò…

Se io rinascerò…
vorrei essere una farfalla
che vola libera per posarsi sulla tua spalla.

Poi volare e volare…sopra i fiori
per lasciare un ricordo
dei nostri giorni.


Rime di Speranza…

Un cuore oltre l’oceano.

Dall’altra parte del mare
c’è un cuore che vuole amare.

Ci divide l’oceano
mi sveglio col suo pensiero.

Amare a distanza…
è una forte costanza.

Si rivivono momenti magici
la distanza del mare ci rende nostalgici…