Come fiore a primavera

Tu Appari e nel tuo splendor mi perdo.
Di azzurro mi accechi l’anima,
amorini invii senza sosta.
Ai confini dell’anima si spengono
Come stelle cadenti nel cielo infinito
Nell’immaginario romantico di un
quieto paradiso dove sogni e realtà
si intersecano senza sosta
Ti cercai, mi cercasti e un giorno fu.
Ora mi godo questa gioia infinita
che non voglio finisca
Grazie Marilena.


Un amore molto speciale

Il tocco delle tue mani
sfiora lievemente rapido e discreto,
tal che nessun altro sospetta
quanto rassicurante è.
Tu come giardino profumato,
tu e solo tu mi fai sentir vivo.
Si dice di uomini che hanno visto gli Angeli,
io ho visto te.


Una storia di nome Lucia

E’ stato quasi un miracolo, una di quelle storie che possono capitare solo una volta nella vita.
Una circostanza da far pensare, riflettere e ci porta a credere che anche le cose impossibili si possono, talvolta, avverare.
E’ una storia della quale vado veramente fiero.
Mi piace poterla scrivere così, esattamente così, come veramente ed esattamente accaduta.
Era l’anno 1961, avevo 21 anni e vivevo in un paesino alla periferia di Milano: Calderara. Erano anni difficilissimi e soggiornavo, condividendo la cameretta assieme ad Esposito, un operaio di professione muratore, che regolarmente, tutti gli anni, metteva incinta la moglie. Impossibilitato a mantenere dignitosamente i figli, li spediva tutti in orfanotrofio.
Ben 10 fratelli erano sparpagliati a Milano e dintorni, presso suore o istituti che provvedevano al sostentamento di quella sfortunata e numerosa prole.
I miei genitori vivevano in Umbria e più precisamente a Terni. Mia madre di professione casalinga, aveva più volte tentato inutilmente di darmi una sorellina, ma i ripetuti tentativi erano falliti.
Restava in lei il grande desiderio e sogno di fare la mamma di una dolce bambina e non ne faceva mistero, al punto che, tutto il rione di viale Brin, nelle vicinanze delle famose Acciaierie di Terni, dove abitava, ne era al corrente.
Ebbi l’idea di proporre ad Esposito la possibilità di affidarmi per quattro giorni una delle sue bambine per portarla in vacanza a Terni, certo che la piccola avrebbe avuto tutte le cure e l’amore riservato a bimba prediletta.
Il mio amico non ci pensò due volte e con l’approvazione della moglie, acconsentì alla mia richiesta, proponendomi di affidarmi la piccola Lucia che si trovava in un orfanotrofio delle suore a Milano, in via Riberto.
Ricordo quando mi recai a trovare Lucia all’orfanotrofio per fare la conoscenza, ho ancora negli occhi la timidezza e la tristezza di questa piccola creatura che a quel tempo aveva solo sei anni.
Prenotai il viaggio in treno Milano-Terni con coincidenza ad Orte, era la prima volta che prenotavo anche una cuccetta, ma l’evento era per me importante e non dovevo assolutamente creare turbamento a Lucia con un viaggio notturno, che se non fosse stato confortevole, l’avrebbe potuto traumatizzare. Partimmo verso mezzanotte e dopo un viaggio di circa otto ore, durante il quale ho continuato a passeggiare su e giù per il corridoio, allo scopo di lasciare posto confortevole a Lucia, verso le otto del mattino, siamo arrivati ad Orte. Da lì cambiammo treno e proseguimmo alla volta di Terni con un accelerato che si fermava ostinatamente in tutte le stazioni, incurante della nostra stanchezza e del desiderio di arrivare presto a destinazione.
In autobus ci trasferimmo dalla stazione ferroviaria all’abitazione dei miei genitori in via Benedetto Brin al n. 206, dove mamma Assunta e papà Fernando avevano preparato la cameretta per Lucia.
Bambole che mia madre aveva amorevolmente custodito e con le quali qualche volta parlava, erano sparpagliate in un ambiente semplice e confortevole. Naturalmente anche il vicinato era informato e il ricevimento di Lucia avvenne con solennità, quasi a renderla confusa in un ambiente nuovo dove lei era sorpresa ed al centro delle attenzioni di tutti.
Dopo un pomeriggio lunghissimo e pieno di coccole, tutte riservate a Lucia, tutti a nanna. Non credo che quella notte mamma Assunta abbia chiuso occhio, ansiosa com’era di andare a fare le spese in centro alla Upim, per dare dignitoso vestiario alla piccola Lucia: un gioiello messoci a disposizione temporaneamente. Lucia era timida, smarrita, ma visibilmente felice in un ambiente nuovo e pieno di sorprese.
Alle nove in punto tutti e quattro eravamo alla Upim di Terni e vedemmo finalmente aprire le saracinesche. Avevamo già adocchiato alcuni abiti, ma una volta entrati, mia madre, comandante di vascello, decise di tutto e di più, mentre papà Fernando acconsentiva e forse accettava come al solito.
Lucia era sempre più smarrita. Devo dire che mia madre ha usato tutta la sua autorità per imporre colori e tipologia di vestiario che Lucia ha comunque condiviso e accettato. Il risultato è stato eccellente perché Lucia, con sorpresa di tutti, ora era una piccola bambolina dai colori vivaci e smaglianti. L’ultimo tocco, ma anche decisione azzardata, fu quello di mamma Assunta che coraggiosamente decise di tagliare personalmente i capelli e fare due ciuffi che, con adeguate ciocche, raccoglievano due mazzi di capelli sopra le orecchie, che finalmente venivano ad essere scoperte.
Abbiamo trascorso quattro meravigliosi giorni a Terni. Passeggiate in centro per pavoneggiarci e tutti ci dicevano: “avete una nipotina?” mia madre avrebbe voluto sentirsi dire: “avete una figlia? Ma che bella!” sentirsi dire le cose impossibili: quelle dei sogni che si desiderano, ma non si avverano mai, sono tante…
Io avevo una macchinetta fotografica, una Comet Bencini che naturalmente faceva foto in bianco e nero, me lo ricordo ancora, perché me la regalò mia zia Irma nella circostanza in cui dovevo essere operato di peritonite, ma non volevo. Solo la promessa di mia zia Irma, di farmi quel regalo, mi convinse di accettare ed affrontare con serenità l’intervento chirurgico.
In quei pochissimi giorni feci pochissime foto, perché gli sviluppi a quel tempo erano costosissimi. Le foto scattate ritraevano Lucia sempre con le braccia rigide ai fianchi, il classico e tipico atteggiamento a mostrare rispetto in una posa ricercata a tutti i costi; forse abitudini di collegio.
Venne il momento del distacco e lascio immaginare quanta tristezza ci avvolse, ma questo è il destino delle cose belle: non sono durature. Rientrati a Milano, Lucia tornò all’orfanotrofio di via Riberto. Questo fu un momento che non dimenticherò mai e che non voglio descrivere. Dopo circa due mesi conobbi Lidia e fu un amore a prima vista, ci fidanzammo e subito i nostri modi di pensare ed i sentimenti collimavano al punto tale che decidemmo di continuare a dare affetto alla piccola Lucia.
Ogni quindici giorni facevamo visita all’orfanotrofio, portando alla nostra pupilla doni che la rendevano felice.
Anche ad Angela, sua sorella, che veniva ospitata nello stesso istituto, portavamo doni e leccornie. Ricordo che in occasione di una ricorrenza pasquale, Angela si lamentò perché il suo uovo era più piccolo di quello di Lucia. Per noi tutti questo era logico, ma per Angela questa era una grande ingiustizia. Oggi penso proprio che avesse ragione.
Il tempo spesso distrugge anche le cose più belle, al punto che, certe abitudini si perdono. I nostri impegni ci distrassero al punto di non trovare più gli stimoli per proseguire la nostra opera di solidarietà con queste creature che spesso non chiedono regali, ma solamente Amore.
Passano gli anni e ci troviamo nel 2004, quando Lucia è quasi cinquantenne. Mia moglie Lidia è appassionata ascoltatrice della trasmissione “Chi l’ha visto?” mentre io la seguivo molto raramente. Stranamente, quella sera, eravamo tutti e due all’ascolto e visione di questa puntata. Lucia aveva deciso di andare in trasmissione per cercare i fratelli e anche per capire se era possibile rintracciare i suoi amici che non ricordava esattamente, ma di cui aveva in mente solo alcuni piccoli particolari. Alla vista della signora Lucia, per noi non è stato possibile fare nessun collegamento fisionomico, perché tanti anni erano passati, ma elementi come: dieci fratelli e soprattutto il fatto che assieme a lei, in orfanotrofio, soggiornava anche la sorella Angela, ci hanno fatto capire che forse eravamo sulla strada giusta. Fu così che decidemmo di chiamare la redazione di “Chi l’ha visto?” che, a sua volta, diede il nostro numero di telefono a Lucia. L’indomani ricevemmo la telefonata da Lucia e lasciamo alla vostra immaginazione quanta felicità entrava nei nostri cuori.
Lucia felicemente sposata e con tre figlie vive a Chieti con il marito Roberto.
I nostri contatti telefonici divennero frequentissimi con scambi di fotografie per ricordare quei tempi, ma anche per darci quelle certezze di cui sentivamo il bisogno: “Ma è proprio vero?” ci chiedevamo.
Purtroppo il destino alle volte è crudele e in questa storia ha voluto che Lidia mancasse ancora prima di incontrare Lucia. Quando Lucia ricevette la notizia, rimase tremendamente scossa. Nella primavera del 2006, Lucia venne a trovarmi a Dolo e restò con me, assieme al marito Roberto e alla figlioletta più giovane. Devo dire che il marito di Lucia sembra fatto apposta per lei. Abbiamo trascorso momenti bellissimi pieni di reciproco affetto. Nel maggio 2007 decisi di andare a trovare Lucia che, con il marito Roberto, mi ricevette come un papà che viene da lontano, ma che è vicino da sempre.
Sono rimasto a Chieti solo per un giorno, loro ospite, nella cameretta che generalmente ospita la figlioletta minore di Lucia. Una cameretta piena di bamboline di tutti i tipi, forse i ricordi di mamma Assunta hanno influenzato e lasciato tracce. L’indomani partivo in treno per Roma dalla stazione di Chieti.
Non credo che Lucia quella notte sia riuscita a chiudere occhio, tanto che alle 4 del mattino era già pronta per portarmi alla stazione. Il treno per Roma partiva alle 8:30 e nella lunga sosta, seduti sulla gelida panchina della stazione, Lucia ricordava: “Cesare, io vivo il ricordo di quel lungo viaggio in treno e di qualcuno che mi ha tagliato i capelli”. Ricordando esattamente i fatti, ho confermato che ciò era veramente accaduto.
Alle 8:10 sono arrivati alla stazione di Chieti il marito Roberto, la figlioletta minore di 12 anni e le due figlie maggiori con le loro famiglie. Nove persone mi hanno salutato con quell’affetto che ricorda altri tempi che a me sembravano passati: quando il treno aveva il significato di grande distacco e dolore per una partenza lunga e piena di incognite. Oggi queste emozioni sono rarissime, quasi sconosciute.
Non dimenticherò mai quel saluto sincero alla stazione di Chieti, come si dedica a chi va lontano e si assenterà per molto tempo. Non sarà questo il caso, perché ho intenzione di rivedere presto questi grandi amici. Ci sentiamo telefonicamente ogni 15 giorni, giorni che sembrano un’eternità.
Grazie a “Chi l’ha visto?”.