INTRECCIARSI

Che il senso
della bellezza
della poesia il suono

intrecciandosi
vadano danzando
intorno a noi

che l’ondeggiare lento
della risacca
dove scontento

tocca la riva
porti conchiglie
d’eterno stupore

che tutto
nello splendore
dell’universo

faccia luce
come stella nova
al misterioso intreccio

che il tempo
compagno segreto
di silenzi e passioni

intorno ci danzi
leggero
e leggeri siano

i venti contrari
lasciando
le nostre mani

intrecciate
sempre,
l’assoluto cercando.


IN BARCA SUL TUO MARE

Il sole tremulo
Riflesso ammiccante
Dai tuoi occhi

Al mio anello
Si spande poi
Ineguale

Fra vento e gabbiani
Correndo sull’onda
Inseguendo la barca

Non è mio
Questo mare
Che la tua mano

Dipinge in volute
Puntando su isole
Quasi a volermene

Fare regalo
Non sei mio tu
Straniero elegante

Eros curioso
Che mi osserva
Ridendo

Né io tua
Mi sento
Seppure tu chiedi

Di avermi qui
Sul tuo mare
In barca, lontani

Da parvenze care
Senza ricordi
Che nostri siano

Solo colpiti
Da un riflesso di sole
tremulo.


 

Una voglia di poesia
Mi prende
Se il pensiero di te
Si fa materia

Come se già da tanto
Perso – rimani
E solo ritrovarti
Nella memoria

Desiderio di astrarmi
A volte, troppo,
Questo corpo
Alla terra mi lega

Bisogni e dolori
Che non chiedo
In lotta sempre, con me
Annullandomi

Lo so, la ricchezza
Di noi è in questo gioco
Sospesi, siamo
E tu

Non esisti per gli altri.
Desiderio poco o tanto
vissuto, ci inseguiamo
Tra momenti e momenti

Dove è la tua voce
Che grida il mio nome
Dove i tuoi occhi, la
Loro tristezza

Dove la tua ,
Intelligenza
Il tuo respiro
Che mi insegue

In questo tramonto
In questa tua terra
Che amavo con te
Che non amo senza te

Una voglia di poesia
Mi prende
E tuttavia
non mi accontenta

L.

La prima cosa che vedo, pensandoti, sono i tuoi occhi.
Grandi e neri. con lunghe ciglia che si aprono sulla loro espressione più spesso smarrita che consapevole.

Occhi ironici e malinconici insieme. Di loro vedo due particolari modi di guardare, soprattutto: uno ridente e sornione, di quando dici qualcosa di trasgressivo o provocatorio.

E rimani con una pausa nella voce , una sorta di sospensione. Per concludere la frase dopo qualche secondo, catturando il tuo interlocutore con un sorriso aperto ed i tuoi occhi ora dichiaratamente divertiti- Come dire: ecco, questo volevo comunicare , hai capito?

L’altra, più sfuggente e seria. Di momenti particolari. di quando stai amando qualcuno e vorresti farglielo capire ma non vuoi dirlo. Troppo scontato, troppo borghese affidarsi alle parole. Gli occhi allora diventano il centro del tuo mondo. e frugano la persona amata con la loro curiosità, la trascinano nel loro stupore di fronte a ciò che provi e la incantano con la complicità della tua voce che sopraggiunge , ora sì, con un tono caldo a completare l’opera di seduzione che per te, più che una tecnica, è una necessità.
Perché tu hai bisogno di conferme, spesso. Mi dirai, tutti ne hanno bisogno. Ma caro L.- non tutti allo stesso modo- tu ne trai quasi motivo di nutrimento, da queste conferme.

Spesso dici che non sei granché, come uomo. Ovviamente, da buon ragazzo del Sud, intendi solo come aspetto esteriore. Non potresti mai riferirti alle prestazioni. Quelle dalle tue parti non si mettono in discussione. Quando affermi che non sei bello, d’altronde, hai ragione. Ma sei di più. Direi che sei oltre. Eserciti una sorta di attrazione, sugli altri, che non viene tanto dal tuo modo di fare- che pure è particolare. Viene, forse, dal tuo io più segreto. Che ti tradisce rivelandosi molte volte a tua insaputa. Attraverso i tuoi occhi, appunto.

La tua seconda espressione, quella seria, però, è anche sfuggente. Bisogna acchiapparla in maniera veloce. Come un volo di rondine, piena di spazio e determinata, ma rapidissima. Si sofferma istanti sull’altro, facendo , si vede benissimo, considerazioni profonde, e subito scappa altrove, apparentemente vaga.
Così hai catturato la mia attenzione. quella prima volta che ci siamo parlati, dopo anni di colloqui fantasiosi attraverso la finestra del tuo ufficio ed il mio balcone. Ricordo che gli occhiali da sole che ti mettevi ti davano un’aria diversa. Sembravi il solito ragazzo un po’ strafottente, un po’ presuntuoso, un po’ timido. Il solito ragazzo che vuole conquistare la donna al balcone che è venuta ad abitare proprio di fronte al suo ufficio- insomma questa qui perché esce sul balcone con la camicia da notte, a prendersi il caffè tutte le mattine guardando sempre verso la mia finestra? Allora provoca, e allora io la guardo, mi affaccio e la guardo fisso per lunghissimi minuti, tante vo1te al giorno, così capisce la sua provocazione. Però con gli occhiali da sole, la guardo. Anche quando l’ombra del pomeriggio invade il cortile, anche quando piove.
Chissà se con gli occhiali da sole poi mi riconosce, se mi vede per la strada, oppure ancora meglio se mi riconosce senza. Vorrebbe dire che proprio mi ha osservato bene ed è riuscita a capire anche la mia statura (piccola) se pure solo attraverso una finestra sul cortile, Già, in parte sembra un rifacimento del famoso film – solo che in questo caso non c’è un omicidio da nascondere, ma una simpatia nascente.

E poi il sorriso. Quel sorriso invitante , intrigante, dall’altra parte del cortile – dai, affacciati, vieni a stendere i panni proprio ora che io sono qui.
Finché la donna del balcone, da mistero, diventa una donna reale. E ti viene a cercare in ufficio, in quell’ufficio, dove sono stata ora per caso, per necessità, dopo tanti anni Quella stanza che hanno ridipinto, con la scrivania spostata, ma sempre quella finestra che guarda quel balcone. Né io né tu, siamo ancora allo stesso posto. Siamo ora veramente divisi – Lucio – ma la distanza di questi giorni in parte è divenuta così piccola per me. Io ti ho dentro, ti sento nelle vene, nella memoria, nella fantasia, e tu vieni a trovarmi nei sogni, e mai come ora, forse, siamo stati tanto uniti. Da quando il caso, o forse noi, senza esserne consapevoli, ci ha fatto amare per sempre- quel sempre che nel linguaggio umano, tanto limitato, indica fino alla morte fisica. Quel sempre che ha sposato le nostre due voci, che si sono cercate, si sono confessate tutto di noi, si sono divertite ed hanno promesso, promesso. E si sono dette addio, come dopo un abbraccio prolungato, estenuante, straziante. Come un abbraccio della madre al figlio morto. Come quello della persona amata prima di addormentarsi che teme di lasciare, col sonno, l’oggetto del suo amore. Come quello di tutta l’umanità che si chiede ancora il perché di tutto, e non può rispondere. E continuavamo a salutarci. E non ci stancavamo di sentire le nostre voci, e non riuscivamo a smettere di parlarci. E la distanza forse non ci pesava, quella sera, il telefono riusciva a sposare le nostre emozioni, ti sentivo proprio incollato a me, il tuo respiro sul collo. Percepivo perfino il tuo sguardo vagante su di me, quando mi hai chiesto come fossi vestita o spogliata in quel momento.Intensa la vibrazione della tua voce sui tanti “sogni d’oro” che ci siamo scambiati. Ora noi sappiamo perché. Ora gli altri credono di sapere di te. E credono di sapere di me. La verità è davvero tanto lontana dalla conoscenza , finché non entra in contatto con il “sempre”. Io so adesso, cosa cercavi quella sera. Io so adesso, perché non volevo smettere di salutarti. Me lo diceva l’istinto, quella parte animale di me che io da brava ragazza studiosa ho seppellito con la cultura.
Ora tutti si chiedono come mai avevi quel sorriso sul tuo viso già freddo. Eh, se ne è andato nel sonno, chissà cosa pensava o sognava……….
Lucio, ti rendi conto che ti sei portato nel mistero il suono della mia voce, quello che ti ho detto, la mia allegria, il mio desiderio? Sai tu che non posso perdonarmi di non avere ascoltato il mio istinto? Che ti ho perso per questo tratto di vita umana che rimane ? Che la mia voglia di conoscerti ancora, è rimasta intrappolata in questa sospensione ora tanto definitiva, che tu avresti amato , oh, sì, davvero l’avresti amata , questa sospensione della realtà, come amavi lasciarmi a metà con le tue frasi smozzicate.

Le tue mani. Subito dopo gli occhi, mi colpiscono le tue mani, Piccole, nervose, dure, con le unghie un po’ rosicchiate. Non sono mani nobili, non sono molto curate, non portano anelli. Le tieni aperte , spesso, e quando parli non le muovi troppo, se non per qualche gesto – due o tre- che ripeti a tratti. Come portarti il dito piegato verso la bocca, per indicare una sorta di riflessione, durante una discussione. O per prolungare verso la persona con cui parli, con il braccio , una sorta di gesto di conferma su un qualche argomento. Le ricordo, le tue mani, in momenti intimi. Curiose, improvvisamente aggressive, mai timide. Ma non sensuali. La scoperta dell’incontro con la donna, per te sempre misteriosa, nelle tue mani non assumeva toni di meraviglia. Solo esse divenivano strumento, non come per me un altro mezzo per amare. Le mie mani sono dotate di vita propria, in alcuni momenti. Per te, le tue mani non erano che un prolungamento della tua fame di conoscenza. Due piccole macchine perfette per esplorare, per toccare, per studiare.

Ma a volte, attraverso quella loro pelle non idratata da alcuna crema, quei nodi fra le falangi un po’ sporgenti, passava un desiderio di vita e di piacere e quasi una rabbia , per non potere avere tutta la dimensione di un senso “altro”, di un’emozione. Per non potere capire tutto, di una donna che ti stava davanti e non si faceva controllare da quelle due piccole ricercatrici instancabili. Allora divenivano frenetiche, provocanti, forse, qualche rara volta, insopportabili.

E ti penso e ti ricordo. E con i tuoi occhi e le tue mani, ti sento con la tua voce calda. Una voce da attore ti dicevo, ricordi? Tu ridevi, pensavi ad un mio modo di sfotterti: era vero, L., una voce da attore, penetrante, con sfumature dolci, non tanto bassa, ed ogni tanto un leggero timbro nasale . Già, il tuo naso. Piccolo, proprio piccolo. Che invidia, io che ho un naso importante! Piccolo e dritto, carino, sopra quella barba che ti ha accompagnato tutta la vita. Sopra quella bocca carnosa, sempre in cerca di contatto .

Spesso ci stringevamo le mani come due ragazzi quando hanno vinto qualche scommessa, quel gesto di complicità di farle scontrare al di sopra del tavolo e poi congratularsi . Già, il segreto del nostro rapporto , strano, era anche questo. Quasi un ‘amicizia fra due ragazzi, un capirsi alla pari, uno scherzare senza barriere, con l’aggiunta del mistero attrattivo della “differenza”. Perché io un ragazzo non sono, sono una donna. Ma una donna che ama mettere da parte la femmina, in qualche caso. Come nello stare con te, se non per ritrovare il segreto del mio essere femminile all’improvviso, quando in pochi secondi cambiavi espressione, e iniziavi la tua strategia seduttiva.

E’ stato sconcertante, rivederti dopo tanto tempo. Ritrovare lo stesso sguardo, le stessi mani, la identica complicità, ma in piccolo signore ingrigito, leggermente sconfitto dalla vita. Scontrarsi con le tue esperienze tutte raccontate sul filo della tristezza, e un tantino apatiche. Dire a me stessa “quasi avevo previsto tutto” mentre ti raccontavi con quell’aria vagamente di resa, e cercavi in me quella identica provocazione del balcone di anni prima. E la trovavi. Ed ecco, la catarsi – scatta qualche segreto pulsante nella tua arrendevolezza alla vita di questi ultimi tempi; ecco, non sei più ora un piccolo signore ingrigito e stufo, sei Lucio . Quel Lucio che mi cercava nel capanno di legno sulla spiaggia dopo la manifestazione insieme agli operai , quel ragazzo laureato in filosofia che lavorava in banca per sbaglio, per necessità. Quel tipo che mi scrutava dall’ufficio dimenticando le sue scartoffie, quel signore in elegante giacca e cravatta che mi abbracciava davanti ai colleghi e mi implorava di ridargli la voglia di vivere. Quel mancato compagno che avevo immaginato di amare, e – scopro ora – avevo veramente amato. Quel “terziario avanzato” come definivi te stesso e noi altri- specificando “avanzato” nel senso che siamo avanzi della società – col quale passeggiavo a Villa Borghese poco tempo fa, o tanto tempo fa, vicino al laghetto. Nella mia Roma. Che mi sedeva vicino sulla panchina e mi confessava la sua incapacità a rendere felice una qualunque delle donne che aveva incontrate. Ed io là, a guardarlo con rinnovato stupore, a scoprirmi felice con lui. A non poterglielo dire. A desiderare di dargli quella bambina che avrebbe voluto. Sì , L., dicevamo – ricordi – una figlia femmina sarebbe stata l’unica donna contenta di stare con te a lungo.

Quell’uomo che ha fermato il suo cuore, la sua vita quaggiù, sul suono della mia voce, legandomi ad un sempre con lui che gli altri non potranno immaginare. E che se ne è andato dai nostri sensi così, non salutandoci. E che torna adesso nelle mie notti piene di sogni, fantasma concupiscente come quello della Dona Flor , romanzo che mi aveva regalato proprio lui, tanti anni prima. Con grande senso di preveggenza, direi. E solo adesso lo sento mio compagno, davvero vicino. Ormai una cellula di me, dei miei desideri. E come Dona Flor, possiamo amarci in una dimensione fantastica.
La prima cosa che vedo, pensandoti, è questa romantica unione con te che ora, davvero, non si può cancellare.