Il pianista

Nemmeno le palpebre,
che invocano un lungo sonno di pace,
potrebbero farmi desistere
dal raccontare storie incredibili.

Chi sono io?
Un pianista che stringe a sé il suo caro spartito,
segnato in ogni pagina dai colori delle correzioni,
e fissa i tasti ingialliti di uno strumento vecchio e stanco,
illustre conoscitore dei più grandi talenti.

Suonerà nuove melodie
e tornerà agli antichi splendori.
Il potente sonnifero dell’abitudine
cede ormai di fronte alle lusinghe
di un pianoforte a coda;
alle spalle di un uomo si dipinge l’orchestra.

Danzando sulle note di Chopin,
vedo orizzonti che attendono impazienti il mio ritorno.

Mi perdo nell’incanto di un disegno realizzato
da chi racchiude in sé ogni capolavoro.

Nostalgia s’insinua tra gli arpeggi…
Questi sconosciuti arcobaleni
diverranno presto ponti sicuri
tra mondi lontani, eppure così vicini.


Pellegrinaggio

Pensiero, rumore dei passi:
accovacciarsi in un cratere lunare.

L’uomo è imprigionato nell’asfalto bagnato,
il mistero s’infittisce
mentre scivola via la patina malinconica.

Saggezza nel vegliare,
nuova offerta di verità,
antica richiesta di testimonianza.

È tempo di sincero pentimento
per chi è annegato nelle vanità.
Non recano alcun vantaggio sotto il sole.

Le impronte lasciate oggi
scrivono la storia di domani.
E non è assurdità
voler incidere sulla corteccia dell’albero:
“Io non temo perché ora so
a cosa tendono le tue fronde”.


La storia di Dudu

Ciascuno segue il proprio cammino, trovando spesso in una vita difficile più spine che fiori. Non serve lamentarsi, dato che nascere, vivere e morire costituiscono la nostra eredità naturale. Era questa l’essenza del pensiero del grande poeta del sertão Patativa do Assaré, che aveva ispirato tanti artisti con i suoi versi. Eduardo, un ragazzo diciottenne del Morro da Conceição che tutti chiamavano Dudu, osservava con attenzione la moltitudine di piccoli libri colorati disposti con ordine dietro il vetro della bacheca; visti così sembravano solo un mucchio di carta riciclata, in formato tascabile e con un disegno estremamente semplice in copertina, venduti a prezzi stracciati. In realtà si trattava di un piccolo tesoro di cui molti ignoravano l’esistenza. Anche lui, fino a pochi anni prima, li avrebbe archiviati sotto la categoria “bobagens”, ovvero scemenze, e non sarebbe mai andato fino al centro di Recife, per la precisione nel Museu de Arte Popular situato nel Pátio de São Pedro, per farsi raccontare, seppur gratuitamente, la storia del viaggio incredibile di quei libri, arrivati in Brasile nelle valigie dei colonizzatori portoghesi durante il XVI secolo.
I brasiliani si erano innamorati della literatura de cordel, chiamata così perché gli opuscoli erano venduti in strada, appesi ad una corda, e se n’erano serviti per narrare fatti realmente accaduti, duelli, biografie di personaggi illustri, inventare litigi o storie assurde, fare satira, con una voce tipicamente popolare. I semplici disegni in copertina erano realizzati con la xilogravura, una tecnica secondo la quale si incideva il modello su una tavoletta preferibilmente in legno di cedro, vi si passava sopra una mano d’inchiostro nero e questa diventava una matrice che serviva per imprimere quel disegno sulla carta; a volte chi era cordelista sapeva realizzare anche le immagini in copertina con questa tecnica.
Dudu era un ragazzo sfortunato, cresciuto senza genitori; non aveva idea di chi fosse suo padre, mentre sua madre, una ventenne piena di tatuaggi e piercing, l’aveva lasciato appena nato al Morro con una donna anziana che aveva pagato perché se ne occupasse, visto che lei lavorava in città e non aveva tempo. Ricordava le sue telefonate e le sue rare visite nei primi anni; lui non aveva alcuna voglia di sentirla o vederla e lei si amareggiava per questo, come se ne avesse il diritto. L’ultima volta che andò a trovarlo era incinta, ma non mandò mai l’altro figlio a vivere lì con lui e da allora non ebbe più sue notizie.
Molti bambini di quel quartiere erano tormentati e senza futuro, nati quasi per errore e non desiderati da nessuno, passavano la giornata seduti nella piazza principale a fumare colla, o approfittavano dell’assenza del custode del Santuario per intrufolarsi e creare confusione, magari rubando i soldi delle offerte. Lui li conosceva tutti perché come loro stava sempre in mezzo alla strada, correndo scalzo e in mutande. Certe sere arrivavano i ragazzi più grandi che si erano fatti i soldi facendo gli spacciatori. Vestivano bene, avevano macchine di lusso con impianti stereo da favola e fumavano maconha, che puntualmente offrivano anche a loro; facevano qualche giro in piazza, a volte cacciavano fuori il revolver per regolare i conti con qualcuno che non pagava e, se ne decidevano la morte, il giorno dopo facevano ritrovare il suo cadavere in bella mostra, magari con una pallottola in testa. Andavano lì per reclutare i bambini per qualche lavoro sporco, visto che erano praticamente insospettabili.
Dudu si era salvato da quel brutto giro. Un giorno era entrato nel Centro de apoio Divino Amor per chiedere un pacco di pasta e aveva incontrato una giovane suora che prima di dargli da mangiare aveva voluto parlargli; si era interessata alla sua vita, cosa che nessuno aveva mai fatto prima d’allora. Dal suo sguardo trasparivano un grande amore e un’infinita dolcezza, che lui non pensava di poter leggere negli occhi di nessun essere umano. Quel dialogo era andato avanti per giorni, fatto di tanti incontri che avevano suscitato nuove speranze nel suo giovane cuore. Quando lei gli aveva spiegato che poteva cambiare, scoprire i suoi interessi e determinare la sua identità, lui aveva provato per la prima volta fame di qualcosa di diverso: un’esistenza vera. Doveva solo lasciarsi formare e questo non avrebbe significato nessuna imposizione, avrebbe appreso quanto gli interessava per esprimersi e raccontarsi. Non era mai andato a scuola e decise di cominciare a frequentare i corsi di alfabetizzazione che seguivano il metodo di Paulo Freire, un famoso pedagogista nato proprio a Recife, che negli anni Cinquanta aveva rivoluzionato la storia dell’istruzione, restituendo finalmente visibilità all’oppresso.
Dalle “parole generatrici” si era aperto uno sguardo più ampio, un vocabolario che si faceva via via più complesso e Dudu aveva compreso di essere fondamentalmente curioso e bisognoso di confrontarsi con gli altri; aveva imparato a non sottovalutarsi e a credere nelle sue capacità. Ora, grazie al potere che la lettura e la scrittura gli avevano conferito, poteva raccontare la sua storia e sognava di essere il nuovo Leandro Gomes de Barros, il poeta di literatura de cordel che aveva lasciato a quindici anni la Fazenda Melancia nello Stato di Paraíba e la sua condizione di analfabeta per imparare a leggere e scrivere e vivere un giorno a Recife, mantenendosi con quanto guadagnava dalla vendita dei suoi folhetos.
Non possedeva un televisore in casa ed era solo servendosi di quei mezzi che poteva avere informazioni sul resto del mondo. Aveva collezionato un centinaio di livros de cordel, che teneva nascosti sotto il letto per paura che Nádia, l’anziana donna con cui aveva sempre vissuto, li prendesse e li scambiasse per ottenere qualche pacchetto di sigarette, come aveva sempre fatto con gli alimenti che lui andava a prendere in parrocchia due volte al mese.
Aveva letto storie di personaggi della tradizione popolare quali Lampião e Maria Bonita, Luiz Gonzaga, Mestre Vitalino, ma anche di campioni dello sport come Ayrton Senna, Ronaldo. Aveva pianto dopo aver conosciuto la tragedia delle Torri Gemelle e la malvagità di Bin Laden e dei suoi seguaci: “In qualità di poeta e reporter nordestino, brasiliano/ in questo cordel mi accingo a narrare/ la terribile storia scaturita dal fanatismo più crudele/ che in un atto di terrorismo/ ha sconvolto il mondo intero” ¹.
Aveva gioito davanti al miracoloso salvataggio dei minatori cileni, avvenuto nel 2010, pur non avendo potuto assistere al cruciale momento riportato dai telegiornali di tutto il mondo: “Erano trentatré minatori/ intrappolati in una miniera in Cile./ Furono salvati tutti/ e in piena salute”² .
Gli sembrava di vedere quegli uomini risalire in superficie uno per volta dentro una grande capsula e subito dopo riabbracciare i loro famigliari in lacrime; era come se nascessero di nuovo. Quante cose stava imparando e quante avventure lo aspettavano. Forse, dopotutto, la vita poteva riservargli delle sorprese; dopo aver conosciuto il dolore delle spine avrebbe saputo dare il giusto valore alla più bella rosa che potesse cogliere: la conoscenza, che gli apriva orizzonti e spazi fino ad allora inesplorati.
Con la stessa delicatezza con cui l’uomo mosse i primi passi sulla luna, Eduardo s’incamminava verso la sua liberazione.

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¹“Como poeta repórter/Nordestino, brasileiro/Descrevo neste cordel/Um lamentável roteiro/Do mais cruel fanatismo/Num ato de terrorismo/Que abalou o mundo inteiro”.
²“Eram trinta e três mineiros/Presos na mina chilena/Foram todos resgatados/Com sua saúde plena”.