Antica Pieve

“La Pieve mi chiama, ed io lo sento,
lo dicono le amiche querce
quando in aprile soffia forte il vento.
Soffia sulla chiesa, sulla croce
e attraversando le folte chiome
dona, ai possenti alberi, la voce”.

Nel giorno del Venerdì Santo
son tornato all’Antica Pieve;
ho rivisto la millenaria chiesa
e il vecchio camposanto.
Era la parrocchia di Don Serafino,
dove ho ricevuto i sacramenti
che può ricevere un bambino.
Con la mano sfioro le mura
e nelle pietre consumate
dalla pioggia e dal vento
percepisco l’inesorabile
trascorrere del tempo.
Come guardiani alti e fieri
incontro le querce centenarie;
dopo tanti anni sembra ieri.
Immagino di essere riconosciuto
e di ricevere un caro saluto.

«Claudio, sei proprio tu?
L’ultima volta ti abbiamo visto
in un lontano giorno d’agosto
eri con una bella ragazza,
di sicuro la tua futura sposa;
Don Serafino con i documenti
e lei tra capelli, una piccola rosa;
come eravate contenti!»

«Vi ricordate bene, era d’agosto
e prima del cader delle foglie,
in un luogo simile a questo
lei, diventò mia moglie».

«Ed ora, quell’espressione
malinconica non ti s’addice;
sei sicuro d’essere felice?»

«La felicità mi è ancora amica
come in quel giorno lontano;
lei è sempre la mia ragazza
e spesso ci teniamo per mano.

È solo un po’ di malinconia
per tutto quello che il tempo
piano piano si è portato via.
Riposano in quel cimitero
tante persone a me care
a loro va il mio pensiero
non le potrò mai dimenticare».

«Se vuoi parlare del passato,
nulla di te abbiamo dimenticato:
il Battesimo, il Catechismo,
l’Eucarestia, la Cresima e poi…
i calci e le corse dietro al pallone
proprio su questo prato,
fino a ieri un poco spelacchiato.
Ma oggi l’erba da quassù
sembra più verde, più folta,
pare proprio l’erba di una volta».

«L’erba di quei giorni spensierati
quando a noi bambini
per divertirci, bastavano i prati.
I prati di campagna,
delle chiese e delle scuole,
dove in questi giorni
come allora, sbocciano le viole».

La mia mente ora vola
sulla chiesa, sul campanile
e poi sopra una nuvola.
Da lassù vedo cari posti
e numerosi affiorano i ricordi
dalla coltre del tempo nascosti.
Era ottobre, l’aria era fresca;
la maestra con la scolaresca
in doppia fila, in cammino
per un incontro con Don Serafino.
Il ricordo dell’estate passata
nel mio cuore era ancora forte,
ma le querce raccontavano
di un autunno ormai alle porte.
S’accorciavano le giornate
e arrivava la malinconia
forse per la mia bella estate
troppo in fretta volata via.
All’improvviso, qualche parola
mi fa scendere dalla nuvola;
sono i ricordi che ho nel cuore
sanno di famiglia, sanno d’amore.

Sanno di lunghe giornate d’estate
di canzoni leggere e spensierate;
di foglie secche agitate dal vento
di un bambino che corre contento.

Sono sicuro, prima non c’era
eppure proprio adesso, soffia
vigoroso, il vento della primavera.
Quel vento che in campagna
s’intrufola nelle sperdute chiese
a far tremolare sull’altare
le fiammelle delle candele accese.
Nei cimiteri interrompe i silenzi
ed agita i cipressi talmente forte
che par voglia risvegliare i defunti
dall’eterno sonno della morte.
Si calma un poco il vento
il pomeriggio incontra la sera;
torna il silenzio, ora lo sento
in questo giorno di primavera.
Si diffonde ora nell’aria tersa
un rintocco di campana soltanto;
nessuno più parla e ne conversa
in questo giorno del Venerdì Santo.

Soltanto i ricordi rimangono,
di storie liete e altre che piangono
e sotto voce continuano a raccontare
mentre il sole si prepara a tramontare.

Credo proprio che in questo posto
un pezzetto del mio cuore sia rimasto;
e mentre verso casa mi incammino
saluto le querce e Claudio bambino.

Alla mia ragazza poi ho chiesto
dove fosse ora quella piccola rosa
che aveva tra i capelli quel giorno,
prima di diventar mia sposa.

«Tra le pagine di un libro di scuola
il tempo la scolorita e seccata;
ogni tanto la metto tra i capelli
con cura, perché è molto delicata».

 

 

 

Il vento caldo dell’estate

Le giornate si allungarono
fino al giorno del solstizio;
la luce diventò talmente forte
da indebolire la notte.
L’estate così ebbe inizio.
Lo dissero le cicale
con il loro canto nella calura;
lo dissero i grilli
con il loro concerto
sotto le stelle.
Il grano diventò
splendente come il sole
e i papaveri ancor più colorati,
lungo i filari
e nei campi coltivati.
Poi si strinsero alle spighe
per non aver paura
nel giorno della mietitura.
Se ne accorse
il vento caldo dell’estate
e con delicatezza
si mise a soffiare
per vederli tutti insieme,
per l’ultima volta, danzare.
Il giorno dopo
le donne anziane
raccolsero le spighe
qua e là smarrite
e il volo del mio aquilone
pareva consolare
i papaveri sopravvissuti,
ora, rimasti soli.

Quel vento
nelle notti d’estate
a volte ritorna
con i miei ricordi.
Non mi fa riposare.
E ad occhi aperti
riesco ancora
come un bambino
sognare.

 

 

 

Come una vecchia amica

Questa sera d’autunno
sembra di primavera;
sorge immensa la luna
maestosa e fiera.
S’affaccia piano piano
alla finestrina.
Come una vecchia amica
mi vuol salutare;
spengo tutte le luci
per farla entrare.
Il suo tenue chiarore
come uno sguardo discreto
osserva i quadri sul muro;
poi lentamente
scivola sempre più in basso
donando chiarore
dove prima era scuro.
Come ultima cosa
prima di andare via,
illumina il tavolo rotondo
sotto la finestrina.
Così illuminato
mi accorgo che così bello
non è mai stato.
La luna ora
se ne vuole proprio andare…
accendo le luci
per poterla accontentare.