Da “La libertà respira terra”

Scolpire l’anima dell’esistenza
nella resistenza alla paralisi
Coscienza e autodeterminazione soli bastano
nella mescolanza indistinta con il tutto
e con l’“altro”.
Gli “altri”, una massa indistinta che nega
la libertà di scegliere
Una contaminazione subdola
– che sconfigge e offende – anche me
caduta nell’uniformazione piatta e neniosa
della pseudo-socialità
Possiamo fare a meno di ogni gabbia
le sbarre non fermano il movimento, né l’aria
solo li rendono più elastici e resistenti
più lunghi.
La mia vita è un eterno vedere l’altro
Gli altri semplicemente
Non li conosco.

27 luglio 2011


La notte è serena, come dipinta immobile
nel nero assoluto che sovrasta i lenti movimenti dell’ora tarda.
Siedo su una panchina anonima nella piazza.
Mi sorprendo di questa percezione lineare ed eterna,
piena ed inequivocabile tanto
da unificare il tempo di sempre, senza spazio.
La notte, come me in un attimo che si vuole ostinare a durare.
Se potessi allungare questo dito,
affondato nei nodi dell’essenza dell’anima e
della freschezza reale dell’aria notturna,
sarebbe irreale la forma del segmento che mi contiene.
Cosa sarà questo punto di aderenza e dove?
quando non sarò più… imprescindibilmente e
da sempre.
Un sarò originario del pensiero che getta
lineette sul mio respiro, sorpassate costantemente da
un assorbimento ineluttabile e continuo,
che si rinnoverà ancora e ancora fino
all’annullamento della coscienza
quando questo sarò non sarà che un punto remoto, indolore e
immemore soffio di vento sulla pelle svanita.
Siedo sulla panchina, ad impatto più fredda dell’aria
nonostante la giacca.
Abbandono la nuca sul bordo della spalliera,
come fossi un faro regolabile che proietta la luce in
una traiettoria predefinita.
Così il mio sguardo
libero
nella privazione di coordinate abituali.
Il raggio visivo, scorre tra i bordi più alti
dei palazzi bilaterali. La prospettiva cambia.
Lo stesso balcone diventa cosciente del mio vedere e ascoltare.
Io so.
Le cinque grandi scatole del lampione
lanciano la loro luce morbida e arancione
confusa col buio lieve, appena il tempo di svanire,
bagliore che affonda dietro la stella più luminosa
proprio davanti alla mia testa sollevata.
Sul nero puro, i contorni netti e immobili delle foglie di palma
si protendono sovrapponendosi
con ordine, nel loro verde brillante sotto l’arancio delle luci.
Il fumo sale occupando il mio campo, ritagliando
i contorni… e risparmiandoli.

Cagliari, 17 febbraio 2010


Da “D’amore e di morte”

La notte avanza insonne
ora come dieci anni fa.
Allora sentivo e non volevo sapere
oggi so e non posso che sentire
questo infinito legame, bruciato
in una candela atea
nelle stesse terre mobili della Barbagia
che mi separano dalla tua salma serena.
Oggi il vento forte ricorda e
stringe l’energia vitale
che mi ha portato ad esistere ancora
con la mancanza che si rinnova immutata
con il mio essere
me stessa, più grande
con la tua forza, compagna leggera
del mio andare.
Mi hai insegnato a trasformare il dolore in senso
la perdita in libertà
la morte in vita
e quando verrà il mio momento
la mia vita in morte.
I narcisi oggi mi si sono offerti spontanei,
nel loro odore la mia infanzia
di passi tra l’erba,
al tuo fianco.

A nonno, Cagliari, 29 aprile 2012