Equazione senza tempo

Gocce di rugiada, raccolgono
particelle invisibili di passato,
sonorità antiche si mischiano
ai rumori della strada
alle voci, al vento.
Come da un vortice prendono forma
un cardellino, un larice, una conchiglia.
Salgono fino a quattro passi
sopra il cielo,
poi nuotano
le particelle invisibili,
fino a tornare indietro
fino a trovare l’origine
fino a sostare sul bordo
di un buco nero dove il tempo è svanito.
Sospesa senza toccare terra ritrovo,
quello che un’illusione nascondeva,
le tue mani per esempio
appoggiate sopra le mie spalle.

 

 

 

Penombra

Parole impastate
di erba e terra,
impigliate nei rovi del sottobosco,
non spiccano il volo.
Nascoste un tempo per paura,
e poi rimaste, incantate
da un mondo in penombra.
Al mattino e alla sera
un raggio di sole filtra tra i rami,
il primo per annunciare il giorno,
il secondo per avvertire
dell’arrivo della notte.
In questo breve spazio di luce,
le parole raccontano
di crochi, funghi,
violette e ciclamini,
del crepitio delle foglie
e del rumore sordo di un sasso
che rotola, smosso
da un incauto passo.
Poi il profumo del muschio
e il canto degli uccelli notturni
accompagna il loro sonno,
a volte rischiarato
dal freddo bagliore della luna.

 

 

 

Il nome

Sei diventata figlia
di tua figlia, quella volta
che hai chiamato MAMMA
tutta la notte.
Cosa volevi dire, mamma,
mi volevi accanto, oppure
ti piaceva ascoltare la tua voce,
il fluire di quella parola aperta,
densa, succosa,
che esce fuori senza sforzo.
No, era la fine delle tue parole,
come se tu avessi svuotato
il sacco della tua memoria.
Quella parola ripetuta
ininterrottamente
senza pianto senza riso,
è stata l’ultima.
Son rimasti secchi monosillabi
sulla bocca semichiusa,
poche parole leggere, affievolite.
Poi il tuo respiro esile
invisibile si è richiuso,
come fa un fiore all’imbrunire.