Albeggia sulle dune

Lunari che incorniciano Al Qal’a.

Gioca con gli occhi stanchi del nomade

E illumina le sue tempie madide,

Riflesso sulle bianche dita dello ksour

Ibadita, bosco di pietra:

All’imbrunire raggiungerà la casba.


Gnothi Seauton: conosci te stesso. Così

Recitava l’antico motto del tempio di Delfi.

Eretteo sorretto dalle nostre donne virili,

Cariatidi imprigionate nel marmo della vita,

Il nostro fato è scritto negli oracoli di Pizia,

Alla mercé di una dea che abita il Parnaso.


Il mio giudizio non è imparziale:

Ti dono questa mela perché ti ho

Amata e odiata più delle altre.

Lasciati guardare, mio bello stivale

Incantevole e selvaggio; in fondo

Abbiamo scelto di volerci bene.


Tè sul Bosforo: il suo sguardo.

Una bella ragazza turca mi ha

Rapito, conducendomi fino ai

Camini delle fate, e danzando mi

Ha ammaliato con i mille segreti di

Istanbul: con lei ho attraversato e

Amato i più bei ponti del mondo