Dio, versa una lacrima

«Dio, lo vedi anche tu quel bambino?»
Mohamed è il suo nome. Prono sulla rena
dura come un’immensa roccia di carburo.
Gelido come pure è quel mare di morti
che l’ha, per sempre, condannato.
Inseguiva, su una dannata bagnarola d’ anime ignote,
una migliore vita tra gli aceri canadesi,
lì dove le cascate dominano il paesaggio
rigoglioso e vermiglio come, un tempo, le speranze
di molti che, come lui, oggi spirano verso di te.
«Dio, ti presento Marta, la conoscerai immagino?»
Lei e tanti altri, non conosceranno
mai la vita, se non nella sua più maledetta manifestazione,
giacché le loro fragili membra
sono invase da un morbo dalle ignote cure.
Il volto, prima giocondo com’ è quello di tutti i fanciulli,
adesso spento dalla disonesta sofferenza, esala un
tal patimento che avvelena il core mio.
«Dio, guarda un po’ più a Sud».
Ecco Antonio, tornare esausto nella sua abitazione.
Una fetente casa di cartone e coperte,
sita tra la strada e la stazione, appesa tra lo stupore
e l’indifferenza.
«Dio, noi uomini sì siam rei di tanto male ma
si tu sei così misericordioso e potente,
come tanti dicono;
si tu sei così grande e premuroso
come menzionano le sacre scritture,
non ti basterà che d’una delle tue più sciape
lacrime per salvar gli amici miei».


Melanconia

Si solo un illuso.
Riecheggia nella mente mia il triste suono
dell’austero monito della consapevolezza,
severa come quel padre che
batte il figliuolo reo di frizzante giovinezza.
Riecheggia come solo
senti dai tamburi fragorosi
nelle piazze dei campestri luoghi ombrosi
ove puoi scorgere il mogio rigagnolo
scorrere per morire nella lontana risaia.
Piange il core mio di tanta
avidità che il cinico destino
mi riserva al brusco risveglio del mattino.
Sicché sento spirar via
l’armoniosa gaiezza sfilacciata come
un vecchio panno rammendo di malinconia.


La dittatura dell’imbecillità

Guardateli, come lottano
per un agognato ideale che ignorano.
Uditeli, urlare contro un capo
le cui sorde orecchie trascurano, da tempo,
il malessere d’una singolare società.
Un altro fitto corteo, un’altra giornata
spesa, vanamente, a combattere contro un
camaleontico nemico inafferrabile.
I cartelli rivolti al cielo,
le minacciose parole sputate via
come rancidi frutti fuori stagione.
Sproloquiano a proposito di un
grigio male che colpisce alcuni o nessuno.
Bramano il benessere progettato
e neppure per un momento
procurano ad altri un bene puro, vero.
Torvi, additano il sistema vedendoci
prima il nemico, ora l’alleato.
Solo vili insulti, sbiechi sguardi, facce schifate
vi aspettano se oserete contraddirli.
E non potrete mai guarirli; il loro è
un male immune alle moderne medicine
ed ai vecchi rimedi.
Non potete tacerli e non li potete
neppure respingere lontano.
Non vi resta che sopportarli, pregando che
la loro sconfinata imbecillità non vi
sfiori neppur per un istante.
E quando dall’ultimo faro della conoscenza,
che si staglia nella lontana costa rocciosa,
s’accenderà la luce della ragione,
noi vireremo e spediti accorreremo a trovare
un briciolo di conforto in quel rifugio
ove albergano, virtuose ed operose, le alme,
degli ultimi coraggiosi, ancora ricche di speranza.