“Le formiche sono così simili agli esseri umani da creare imbarazzo. Esse coltivano funghi, allevano afidi come mandrie, lanciano eserciti in guerra, usano spray chimici per spaventare e confondere i nemici, catturano schiavi, sfruttano il lavoro minorile,scambiano incessantemente informazioni. esse fanno tutto meno che guardare la televisione.”

- Lewis Thomas -

 

Un tempo, nella valle Intrasca, amena località a ridosso delle prealpi verbanesi antistanti il lago maggiore, prosperava un tipo di formica unico nel suo genere, la formica sapiente. Famosa nel campo della zoologia per gli studi etologici che ha ispirato, questa specie si estinse in circostanze misteriose, tanto che, ogni biologo ipotizza una differente soluzione finale. Alcuni sostengono l’idea di una mutazione genetica nociva, altri preferiscono la soluzione del morbo letale, altri ancora optano per il cataclisma e infine qualcuno propende per l’idea di una guerra totale con un’altra specie di formiche dalla tempra bellicosa.

Per quanto differenti, tutte queste ipotesi postulano che l’intervento del caso sia stato determinante nell’annientamento di questa specie. La madre terra, che, come si può intuire, le estinzioni le ha vissute tutte in prima persona sulla sua crosta, la pensa diversamente e ci racconta una storia che dimostra l’effettivo carattere non casuale dell’estinzione e svela quanto queste formiche poco fossero avvezze a seguire la loro naturale spinta alla vita. La madre terra è solita raccontare la storia alla sua piccola luna…

 

Storia di un’estinzione

(Di come sia pericoloso volare senza ali)

 

C’erano una volta le formiche sapienti. Esse vivevano in un unico formicaio dalle dimensioni spropositate. Visto dall’esterno, pareva un arcipelago di sei isole; cinque piccoli coni, ognuno sede di una diversa gilda artigiana di formiche operaie, circondavano, disposti a pentagono, un sesto cono più alto e imponente, dove stava il quartier generale delle formiche soldato. Nel sottosuolo, il formicaio si costruiva di immensi corridoi e stanze per l’immagazzinamento del cibo e delle vettovaglie per le campagne belliche. In una sala più grande, impreziosita da pareti colorate, stavano, separati, i nobili maschi e le nobili femmine alate. Dall’alto del trono, nell’enorme stanza sotterranea al di sotto della quale stava soltanto il basso mondo dei decompositori, regnava Antina, prima del suo nome, regina dell’arcipelago delle Anthille (la parte superiore della colonia) e dell’urbe sotterranea.

L’organizzazione del formicaio e delle formiche era eccelsa. Ogni parte adempiva al suo scopo secondo natura ed era funzionale all’andamento globale del sistema. Come affermano gli studiosi, queste formiche svilupparono un sistema di collaborazione più avanzato delle altre specie della stessa famiglia tassonomica. Si pensa che la differenza tra il potenziale cognitivo di questa specie e una qualsiasi altra specie di formica di quel periodo e di qualsiasi altra epoca, sia nettamente maggiore della differenza tra il potenziale cognitivo di una qualsiasi formica non sapiente e una zucchina, che sappiamo non detenere alcun potenziale cognitivo.  Nulla sembrava poter smuovere quella naturale situazione di equilibrio. Un giorno, però, il vento prese a soffiare.

Le formiche sapienti soldato , dal carattere fiero e iracondo, stufe della politica  antimilitarista della regina, decisero di organizzare un colpo di stato. Racimolato un gruppo di rivoltosi sotto il comando della caporale Fant, attuarono il golpe, riuscendo in breve tempo a impossessarsi della sala del trono e delle stanze nobiliari. La regina fu detronizzata e imprigionata, insieme ai suoi figli nobili e fertili. Temendo una sommossa popolare, le soldato imprigionarono anche le operarie.

“Voi avete bisogno delle operaie! Pazze! Chi prenderà il cibo?” diceva la regina alla caporale Fant.

“Troveremo il modo di sopravvivere.” diceva la caporale Fant alla regina.

“State volando senz’ali, contro Natura!”

“La natura può cambiare, sua maestà!”

“Non così velocemente!”

La giunta militare delle soldato impose alla regina di partorire solo formiche soldato, stravolse la politica pacifista e decise di intraprendere una campagna di guerra contro le termiti killer, la cui colonia distava poche decine di metri dal formicaio. La caporale Fant, sicura di vincere, si mise al comando di un imponente esercito, il più numeroso e agguerrito che qualsiasi formica dall’alba dei tempi ricordi. Ma la guerra che, nelle intenzioni delle soldato, avrebbe dovuto risolversi in un’unica vittoria blitzkrieg a favore della loro bandiera, prese una piega imprevista. Durante i primi dieci minuti di battaglia, le soldato schiacciarono le termiti della generale Thermos, aprendosi un varco verso il termitaio. Quando, dopo altri dieci minuti di assedio, le formiche erano ormai prossime alla conquista della porta principale, la generale Thermos sfoderò l’asso nell’addome. Emise un fischio tenue che attivò altri fischi in vicinanza. Ogni fischio era collegato a un altro, come una lunga catena di richiami a domino. Quando l’ultima termite, a qualche metro da li, emise l’ultimo fischio, apparve da una radura una creatura gigantesca, grossa quanto un orso. Avanzando a grandi falcate, la bestia evocata balzò con un salto sul campo di battaglia.

“Ecco a voi il nostro cucciolo!” diceva la termite Thermos alle formiche terrorizzate dalla nuova presenza. “Avanti, Formikraken, è da qualche giorno che non mangi. Succhia quante formiche vuoi, sono tutte per te!”

Il Formikraken, esaltato e impaziente come un cane, cominciò a succhiare con la sua lunga bocca e a schiacciare con le sue grosse zampe dalle unghie affilate quante più formiche poteva. Nel giro di pochi secondi il formichiere aveva trucidato e aspirato più della metà del battaglione formicida.

La caporale Fant alzò bandiera bianca.

Thermos, accettò la resa e, richiamato il Formikraken, fece rientrare le sue compagne nel termitaio. “Addio sapienti, avete volato senz’ali!” disse infine, ridacchiando.

Le formiche rimaste si ritirarono con l’addome tra le gambe. Erano scosse, traballanti e malconce. Non sarebbero riuscite ad arrivare fino alla colonia; come se non bastasse avevano finito il cibo e, in quanto impossibilitate dalle ferite a procurarselo da sole, erano spacciate. Infatti, la fame e gli stenti calarono su di loro come una tortura e tutte morirono, tutte quante. La caporale Fant pensò:

“Se non fossimo state così stupide e se non avessimo imprigionato le operaie, loro avrebbero procurato altro cibo e ora noi vivremmo.”

Poi stramazzò, come le altre.

Intanto, alla colonia, le operarie erano riuscite a liberarsi e a liberare dalle

Le formiche sapienti soldato , dal carattere fiero e iracondo, stufe della politica  antimilitarista della regina, decisero di organizzare un colpo di stato. Racimolato un gruppo di rivoltosi sotto il comando della caporale Fant, attuarono il golpe, riuscendo in breve tempo a impossessarsi della sala del trono e delle stanze nobiliari. La regina fu detronizzata e imprigionata, insieme ai suoi figli nobili e fertili. Temendo una sommossa popolare, le soldato imprigionarono anche le operarie.

“Voi avete bisogno delle operaie! Pazze! Chi prenderà il cibo?” diceva la regina alla caporale Fant.

“Troveremo il modo di sopravvivere.” diceva la caporale Fant alla regina.

“State volando senz’ali, contro Natura!”

“La natura può cambiare, sua maestà!”

“Non così velocemente!”

La giunta militare delle soldato impose alla regina di partorire solo formiche soldato, stravolse la politica pacifista e decise di intraprendere una campagna di guerra contro le termiti killer, la cui colonia distava poche decine di metri dal formicaio. La caporale Fant, sicura di vincere, si mise al comando di un imponente esercito, il più numeroso e agguerrito che qualsiasi formica dall’alba dei tempi ricordi. Ma la guerra che, nelle intenzioni delle soldato, avrebbe dovuto risolversi in un’unica vittoria blitzkrieg a favore della loro bandiera, prese una piega imprevista. Durante i primi dieci minuti di battaglia, le soldato schiacciarono le termiti della generale Thermos, aprendosi un varco verso il termitaio. Quando, dopo altri dieci minuti di assedio, le formiche erano ormai prossime alla conquista della porta principale, la generale Thermos sfoderò l’asso nell’addome. Emise un fischio tenue che attivò altri fischi in vicinanza. Ogni fischio era collegato a un altro, come una lunga catena di richiami a domino. Quando l’ultima termite, a qualche metro da li, emise l’ultimo fischio, apparve da una radura una creatura gigantesca, grossa quanto un orso. Avanzando a grandi falcate, la bestia evocata balzò con un salto sul campo di battaglia.

“Ecco a voi il nostro cucciolo!” diceva la termite Thermos alle formiche terrorizzate dalla nuova presenza. “Avanti, Formikraken, è da qualche giorno che non mangi. Succhia quante formiche vuoi, sono tutte per te!”

Il Formikraken, esaltato e impaziente come un cane, cominciò a succhiare con la sua lunga bocca e a schiacciare con le sue grosse zampe dalle unghie affilate quante più formiche poteva. Nel giro di pochi secondi il formichiere aveva trucidato e aspirato più della metà del battaglione formicida.

La caporale Fant alzò bandiera bianca.

Thermos, accettò la resa e, richiamato il Formikraken, fece rientrare le sue compagne nel termitaio. “Addio sapienti, avete volato senz’ali!” disse infine, ridacchiando.

Le formiche rimaste si ritirarono con l’addome tra le gambe. Erano scosse, traballanti e malconce. Non sarebbero riuscite ad arrivare fino alla colonia; come se non bastasse avevano finito il cibo e, in quanto impossibilitate dalle ferite a procurarselo da sole, erano spacciate. Infatti, la fame e gli stenti calarono su di loro come una tortura e tutte morirono, tutte quante. La caporale Fant pensò:

“Se non fossimo state così stupide e se non avessimo imprigionato le operaie, loro avrebbero procurato altro cibo e ora noi vivremmo.”

Poi stramazzò, come le altre.

Intanto, alla colonia, le operarie erano riuscite a liberarsi e a liberare dalle celle anche i nobili e la regina. Anche se le soldato erano misteriosamente scomparse, la colonia tornò all’armonia, riguadagnando il perduto equilibrio sociale. Fino a che il vento non si alzò di nuovo.

La capo delle operaie, Stalinant, stufa da tempo delle ingerenze del potere regio sulla classe operaia, fece comprendere alle sue compagne la necessità di liberarsi dalle costrizioni. Le caricava così:

“A chi va la maggioranza del cibo che noi recuperiamo?”

“Alla Regina!” diceva qualcuno.

“Ai figli fertili della regina!” diceva qualcun altro.

“E questo vi sembra giusto?” diceva Stalinant.

“NOOOO!” rispondeva il coro.

“Ebbene amici, è ora di riprenderci ciò che è nostro. è ora di smetterla di servire i padroni, è l’ora di fare la rivoluzione!”

“Sìììììììì!” boati di operarie si levavano dalle cinque isole delle gilde. In breve tempo, le formiche si riunirono nel P.A.N.T. (Partito Anti Nobili Tiranni) capeggiato da Stalinant e, prese all’addome dal fervore rivoluzionario, detronizzarono la regina, che venne nuovamente imprigionata insieme ai figli nobili, maschi e femmine. Un centinaio di soldato sopravvissute che non avevano partecipato alla guerra termitica, trovate in un anfratto poco frequentato del formicaio, vennero sottoposte a processo e successivamente fatte sparire dalla polizia speciale del partito. Erano considerate possibili sollevatrici.

“Perchè avete ucciso le ultime soldato, pazze! Avete bisogno di loro! Come vi difenderete dagli attacchi?” diceva la regina alla capo Stalinant.

“Troveremo il modo di sopravvivere” diceva la capo Stalinant alla regina.

“State facendo lo stesso errore delle vostre stupide sorelle guerrafondaie; state volando senz’ali, contro Natura!”

“La natura può cambiare, sua maestà!”

“Non così velocemente!”

Il partito impose alla regina di partorire soltanto operaie. La colonia si organizzò in soviet e cooperative, i dissensi vennero placati con la forza ovunque servisse. Inoltre, le operaie iniziarono a tradire l’armonioso e tradizionale rapporto simbiotico con gli afidi e i bruchi. In una situazione normale, le formiche avrebbero provveduto a difendere gli afidi e i bruchi dai pericoli esterni e loro, in cambio, avrebbero prodotto un prezioso e nutriente liquido zuccherino da trasportare e immagazzinare nella colonia. Ora però le operaie erano diventate schiaviste. Il rapporto simbiotico si era trasformato in un legame parassitario, a favore delle formiche. Non passò molto prima che le bestie da soma diventassero coscienti della loro condizione di schiavitù e che prendessero provvedimenti. Un giorno, quando tutte le operaie, compreso Stalinant, erano all’esterno del formicaio nell’allevamento, un esercito di afidi e bruchi capitanati dal sergente Caterpillar, mosse guerra contro di loro. Gli afidi, più piccoli ma maggiori di numero, soverchiarono metà delle operaie; i bruchi, pochi ma agguerriti, mangiarono e schiacciarono le restanti, senza lasciare il tempo a nessuna di loro di alzare bandiera bianca.

La ribellione calò su di loro come un disastro e tutte morirono, tutte quante.


L’ultima cosa che la capopartito Stalinant pensò, prima di soccombere fu: “Se non avessimo ucciso quelle ultime soldato, sarebbero venute qui a difenderci 
e questa guerra l’avremmo vinta.”

Poi si accasciò, come le altre.

La regina e i figli nobili, nel frattempo, erano riusciti a liberarsi.

“Le mie soldato sono morte e così le operaie. Ma c’è abbondanza di cibo: tutto quello che le operaie hanno sottratto con la forza agli afidi e ai bruchi.” disse la regina, rivolgendosi ai figli nobili.

“A meno che voi non vogliate seguire l’esempio scellerato delle vostre sorelle non nobili, possiamo vivere in pace tra noi, senza azzannarci. Il cibo prima o poi finirà ma io, nel frattempo avrò già sfornato un buon numero di operaie che provvederanno a recuperarne altro. Tornerà tutto come prima, a natura piacendo.”

“Va bene ma’!” risposero in coro i figli nobili di entrambi i sessi. Poi, congedando le femmine, la regina si rivolse ai maschi:

“Vi ammonisco affinché non vi avviciniate troppo alle vostre sorelle alate, adorati figli miei.”

“Perchè?” chiesero i maschi.

“Perchè, prima o dopo, voi maschi vi dovrete accoppiare con le femminucce. Nel farlo assisterete la vostra partner mentre perde le ali e subito dopo…morirete. Per questo, finchè non sarà il momento giusto, è meglio che stiate lontani da loro.”

“COOOOOOSAAAAAAA???!!!!” esclamarono i maschi in coro.

“Questa è la natura, figli miei. Siete destinati a morire accoppiandovi con le vostre sorelle.” concluse placidamente la regina.

Inutile dire che la nuova consapevolezza generò parecchio malcontento tra i nobili maschi al punto da indurre uno di loro, Antagon il bello, a convincere gli altri suoi fratelli a muoversi contro le femmine. Il vento si era alzato per la terza volta.

La regina stava tranquillamente passeggiando nei corridoi del formicaio quando i suoi figli maschi le tesero l’imboscata.

“Capisci, mia regina, che non possiamo sopportare di vivere la nostra vita in questo modo. Le femmine devono essere eliminate. Ma non possiamo di certo ucciderle noi. Sarebbe fatale avvicinarci a loro, l’hai detto tu stessa.” disse Antagon.

“E quindi dovrei farlo io al posto vostro?” chiese la regina, circondata dalla sua prole minacciosa.

“Sei perspicace madre. Se non lo fai ti uccidiamo!”

“Pazzi! Voi avete bisogno delle femmine per vivere! Senza di loro vi sentirete soli e abbandonati! E poi, quando uscirete di qui troverete altre femmine e morirete ugualmente!”

“Nessuno di noi ha intenzione di uscire di qui. Abbiamo cibo a sufficienza. Anzi ci durerà il doppio, senza le femmine!” tutti scoppiarono in una risata malefica. Poi Antagon riprese: “So già cosa stai per dirci. Che stiamo volando senza ali, contro Natura. Al di là del fatto che noi le ali le abbiamo eccome, la natura può cambiare, sua maestà.”

“Ma non così velocemente!”

La regina fu quindi costretta a sgomberare il campo dalle sue stesse figlie. L’infanticidio calò sulle povere formiche nobili femmine come un tradimento e tutte morirono, tutte quante. Dopo il formicidio la regina si chiuse in se stessa, profondamente scossa dalle sue stesse azioni. I maschi, intanto se la spassavano; razziavano gran parte delle provviste e praticavano atti di vandalismo al loro stesso formicaio. Poi, improvvisamente, a partire da Antagon il bello, cominciarono a sentirsi debosciati. Persero la capacità di volare. Si trascinavano per il formicaio senza una meta, persi in un oblio di non senso. La depressione calò su di loro come una condanna. A poco a poco, nel giro di poco, perirono tutti, tutti quanti.

“Senza donne non siamo nessuno. Niente ha più senso. Se non le avessimo fatte uccidere…” Fu l’ultimo pensiero di Antagon il bello.

Poi capitolò, come gli altri.

Il vento si era alzato tre volte e per tre volte aveva lasciato un segno indelebile nel formicaio. La povera Antina, prima del suo nome, regina dell’arcipelago delle Anthille e dell’urbe sotterranea, era rimasta sola, a regnare su gallerie deserte e cumuli di terra disabitati. Non faceva altro che pensare al perchè i suoi figli fossero tutti morti. Le uniche senza colpa erano le sue figlie fertili ma tutte le altre e gli altri…si erano letteralmente suicidati. Avevano voluto troppo e subito, senza seguire il loro istinto. “Si sa” pensava Antina con lo sguardo perso nel vuoto, “la natura ha bisogno dei suoi schemi e dei suoi tempi”. Ora lei cosa avrebbe fatto? In uno slancio di lucidità, la regina pensò: “Ho ancora abbastanza cibo per sfamarmi e ripartorire l’intero formicaio!” poi però pensò che ci sarebbe voluto troppo tempo. Inoltre non c’erano altri formicai nelle vicinanze dove avrebbe potuto cercare aiuto. La regina Antina cominciò a fantasticare con lo sguardo perso. Prese a delirare.

Il vento prese a soffiare per la quarta volta.

“Certo se avessi ancora le ali, potrei volare lontano da qui e ricostruire tutto.” pensava la regina e quel pensiero la fece uscire fuori dal formicaio.

“é strano, lo so, ma se ancora potessi…” e si spostò, inebetita, sulla cima del cono di terra più grande, sporgendosi pericolosamente sul vuoto.

“Certo è contro Natura ma, in fondo, cosa sono un paio di ali?…”  poi si buttò nel vuoto con aria sognante.

Un pettirosso scese in picchiata e, con una beccata fulminea, agguantò al volo la regina in caduta libera. Poi si riportò in quota, diretto al suo nido.

“Sto volando! Sto volando!” ripeteva follemente Antina, intrappolata nel becco del volatile. “Allora è vero! La natura può cambiare!”

“Non così velocemente!” disse il pettirosso.

Poi, il suo becco si serrò sulla regina. Calò su di lei definitivo, come un cataclisma.

Stava volando Antina, prima e ultima del suo nome, prima e ultima della sua specie.

Stava volando, come tutti i suoi figli e figlie, senz’ali, contro Natura.