Toc Toc Toc

Toc Toc Toc

Il rumore delle dita
Quando cadono per terra
S’è distratta una trancia

Alle volte le dita
Alle volte la vita

Inseguimenti
Trimestrali
Del domani
Nella prigione
Dell’oggi

Scende la pressa
Accetti il contratto

Niente più
Do-mani
Ne resta una

Nessuno paga
Non a fine mese
Non in tribunale

E gli onori
Della patria
Solo
Se hai il mitra
Non la zappa

E muori.


Prosa

Una corrente d’aria
Una porta che sbatte

Cerchi la dolcezza
Del ricordo
Trovi l’insipido
Del per-finta

Si scosta la tenda

So
Di poter fare
Molto di più
Di ciò che faccio

Scende la tapparella

La guardi

Persone
Senza una storia
Ma con un destino

Corrono

Corrono
Dallo psicologo
Per farselo chiarire

Il destino

Ora
Sanno dove correre

L’amore
È l’infinito
Al livello dei barboncini

Céline

C’era la specie
Non l’infinito

Ti sei accoppiata
Hai pisciato
Sulla siepe
Te ne sei andata

Quel che resta è prosa
Non poesia.


Una macchia, ciccio pernacchia!

Era comparsa dal nulla, là in un angolo del soffitto, dove il bianco dell’intonaco lascia il posto alla muffa.

All’inizio non c’aveva fatto caso, era troppo vicina alla muffa, troppo immersa in quel nascosto che ignoriamo per abitudine, per farci caso. Poi piano piano, con andatura impercettibile ma costante, s’era spostata verso il centro della stanza. Così, una mattina, track! Comparsa dal nulla! Arrivata come una corrente d’aria che sbatte la porta e sbarra per un momento il passo all’abitudine; e d’improvviso nello specchio la vecchiaia ed in tua figlia il seno.

Ed ora era la, al centro del soffitto, una macchiolina nera su sfondo bianco che cresceva, cresceva, cresceva.

O forse no, anzi di sicuro no! Non cresceva, in realtà neppure c’era, ecco sì, solo la stanchezza! Eppure, la sera quando si coricava, o la mattina nello svegliarsi la vedeva e le sembrava un po’ più grossa, un po’ più nera.
Ed il vedere era diventato guardare, il guardare cercare; la cercava, ora, come si cercano il vuoto e la pioggia. Una corsa d’occhi ogni mattina, nella luce della finestra, alla ricerca del nero; un ritirarsi malinconico la sera, in fuga dal brillare della città.
Poi aveva cominciato a seguirla, in modo impercettibile al principio, nella stessa maniera velata e violenta con cui era comparsa. Così le era sembrato di vederla sul piattino del caffè, era sicura d’averla intravista nell’ufficio del capo, l’aveva notata alla toilette.
Piccola, scura, perniciosa: un urlo acuto che immerso nel bianco, dà il via a una valanga.

Dunque, per il necessario svolgersi degli eventi, sul muro dell’ufficio, vicino alla porta, ora c’è una macchia; ma non piccola e nera, piuttosto grande e marron chiaro.
Una mattina infatti, durante una pausa nell’ufficio ben illuminato, bevendo il caffè a gambe incrociate ed unghie rifatte, l’ha vista. Era li, a mezz’aria, in un punto imprecisato fra il muro l’adesso e il perchè. La mano è scattata e la tazzina è volata sul muro.

Ma al riaprirsi degli occhi, al fermarsi della mano, al rallentare del cuore, lì a mezz’aria, nel mezzo della luce vitale del mattino, galleggiava una macchia, un puntolino nero, invisibile ed enorme.