Orme di settembre
Da solo
nello scavo quasi indifferente
della memoria morbida
al taglio indolore.
In questo non dolore
la rabbia ha un corpo indefinito
che s’ingrossa come un seno
e il vento è uno svago
per gli aghi di pino
che pungono terra,
una goccia d’azzurro
al deformarsi di un cumulo nero.
Un ragazzino
ai piedi di un letto
e sullo specchio
uno spicchio di luce
alla controra.
All’altro capo
dorme una donna in un lenzuolo
e il suo respiro lento
che lui segue attento,
ricerca un punto
tra i fiori deformati dalle pieghe,
il punto da cui si sbrogli il velo
di quella carne immobile.
La sabbia intanto brucia
negli occhi
e la schiena mi arde
in questa spiaggia settembrina
deserta
senza un’orma visibile
ché la mia
riconoscibile e quasi scomparsa
sull’argine
dalla pineta che rifugge il mare,
trascinata dall’ultima nuvola più chiara.
Di nuovo solo
stretto
in attesa di un lampo di memoria
terribile
nell’aurora della vita sempre
più poco chiara,
poi il tonfo
con gli occhi a questo mare
sotto il cielo
all’imbrunire
all’alba o a mezzogiorno
solo mare,
mare calmo, grosso, chiaro
tempestoso e livido
mare, solo mare.
Acqua salata
che frange all’infinito la terra
su cui l’impeto s’ingolfa
si frantuma in mille gocce inutili
in una schiuma che implora
la pietà della sabbia.
In quelle ore
o secoli o attimi
(dopo un’onda di fuoco)
sono meno di una cicca
orlata di cenere oscena
lì obliqua e storta
nella sabbia d’oro.
Nel buio
da una porta socchiusa
la luce,
le forme si svelano lente
rotonde,
scompaiono un attimo, risorgono bianche,
ma si perde la luce,
il fanciullo e la notte
il sorriso e la pace.
Nell’ultima curva
già fusa col cielo
il sole da spazio alla sera
senza luna e delle onde
solo il rantolo rimane.
Il vento è ancora caldo
ma la sabbia
al mio passo da un brivido.
Ritorna il ragazzino
in uno sfondo d’ocra,
minaccioso
con un pugnale di luce.
E’ lì lo vedo
che sogghigna del mio torcersi
è lì che bussa alla sua impresa
il divano verde
le due contadinelle verso l’aia
sullo stradone di polvere
infuocato, in un quadro,
senza quasi una ragione.
La notte avanza crudele
di birra e afa.
Il buio nella stanza
che soffoca l’odore di mobilio
vecchio
affastellato alla rinfusa,
la guancia in uno specchio
rossa e una lacrima
negli occhi di terrore.
E’ triste non poter fuggire
legato come un ramo verde
a un tronco nella terra
secca
di fronte al cielo
sempre più accessibile.
E’ triste l’alba
che svela coscienze di mostri
– vagare quatti nella luce
per una tana oscura -.
Ma la notte uccide
lo scempio orribile
ridona lo slancio
la voglia di sole:
e si rincorrono tristezze
in un circuito di polvere.
Oh! Ci disgusta il sangue e ne parliamo
mentre straziamo un costato che palpita ancora
senza un grido, in un dolore muto
che implora la fine.
Ci fa ridere un segno di resa
– un regalo ai nostri occhi falsi –
e partiamo al massacro
esorcismo del nostro far pena.
Tutto va bene
nelle frasi immuni di mistero,
è tutto chiaro
nelle menti sobrie dei dottori
rapaci sui comuni spettri senza meta.
Sparse sulla strada
in solchi incandescenti
le visioni oblique del terrore,
selci di melma, piscio
putrefatti al sole,
prigioni di nausee candide
il rosso di una scena
le gambe gridano,
rincorrono un lago
quei seni tesi verso mani che li stritolino
offuscati da un abbaglio di stasi.
S’avventano nani
i glutei
al pianto di un bisonte tenero
occhi mendaci ridono di fame
sugli osceni pali di frassino,
in gola una punta di noce,
un fracasso d’uteri
al solitario ondulare di un orso
che preme
sull’orlo di una scritta contorta.
Fosse perenne l’orgasmo
senza un attimo di pace
libero
come questo immacolato vomito
con ali sublimi
àlibi
verso odori di frasche e limoni,
muschio nero tra le foglie di cera.
Ti rotoli al buio
nell’arte, fragile
germoglio di una rosa,
come la pena d’asma
sulle lenzuola.
Fiumi di birra
per un pisciare torbido
alle fusa
di uno sperma acidulo.
Ti amo mentre danzi
dell’amore della terra
che accoglie ogni erba in seno,
ti voglio col vestito nero.
Ma non farmi entrare in mente il dopo
quel dopo
che è fatto di memoria inutile.
Costa l’espandersi del male
in attesa
sui muri invisibili di un’autostrada,
lo stimolo stitico di un mendicante
su una spiaggia che brulica
di vermi
che cercano in un’onda il refrigerio.
Casto benefattore di desideri penduli
ritorna il bacio della sera
sulle porte spalancate del bisogno.
Serpenti rossi,
la loro pelle viscida,
patenti di iattura e tracce
sublimi di morbidezza inducono
senza pietà alle stragi.
Candore di occhi languidi di bimbi
di gomma ancora umani
non v’abbandona il sogno
di un ruscello tintinnante,
di un miracolo di neve,
voi soli siete l’apice
di questo mondo lugubre che affonda
nella sua sete di calci.
E’ questa la rappresentazione
il vuoto che non so dirvi
diversamente com’è fatto,
lui mi ha prestato forma
per esprimermi.
Itinerario
nella mente di un gatto
pronto
a scagliarsi sulla preda.
Vorrei darvi l’impossibile
per tenervi lontani dalla strada che brucia.
Basta a volte solo un passo.
Non prostituite l’unica fiamma vitale
per un grappolo di muro:
l’estate è breve.
Destino povero degli esseri crudeli.
Siate senza veli
e incontrerete chi
per un sorriso vi costruirà una stella
chi per un bacio solo
restituirà campanule e papaveri
ai vostri campi di cemento chi
per una vostra parola
farà sgorgare fresca l’allegria tutta
l’allegria del mondo,
chi con uno sguardo
saprà svelarvi Dio.
Siate senza veli
come la natura che sugge la vita
guardate un fiore
per imparare a nascere e a morire,
potete ancora nascere con un po’ d’amore,
l’attesa della morte sarà facile.
La morte
è solo il punto esterno di una curva
uguale agli altri punti infiniti,
infinite le morti
nell’arco della vita e tutte uguali.
Non esiste la morte vera
il punto estremo è solo l’ultima.
Mai vi siete accorti di morire
in una notte cupa
quando non c’è la luna a darvi pace
quando il silenzio è vuoto, non è musica
quando le vostre cose intorno
non fanno neanche pena?
E di rinascere
in un volto che vi osserva
in un impeto
in un mare di luce
quando il sole v’induce a gridare
la vostra gioia di vivere?
A volte chiudo gli occhi e penso
che tutto lo squallore l’ho sognato.
Lontana Madre
Un altro duenovembre senza mai
il sorriso di un fiore sul tuo marmo
lontana Madre decomposta ormai
nel fiume di memoria già in disarmo.
Il tempo eterna le sentenze crude
del palpito di un cuore in agonia
ricuce cura fa l’anestesia
trapianta e asporta da chirurgo rude.
A un cancro per congiungermi all’oblio
che ti nasconde Madre, al guscio aspiro
della dimenticanza nel tuo stringermi
al sole nudo al bacio di un respiro
al bagno nel tuo pianto senza tingermi
di grigio e allo svanire in un fruscio.