Aritmie

Tra i campi d’una landa solitaria, scalzo,
mieto sovrabbondanti accordi, dissonanze.
Lento muovo passi ed ansie, aritmie:
pause gotiche per alchimie d’incanti!
Tra celebrati sonetti, note d’altura,
cadente e rinunciatario la prua volgo
verso voglie d’opposto e cado
nel verticale orizzonte dell’affanno,
rudimentale e composito canto
che come vento accarezza, ma consuma.


L’impaginazione della solitudine

Non indugio nei miei sbagli,
tantomeno mi ci aggrappo ma,
tra quelli impliciti e allusivi,
sono arpionato al cavo che tira!
E la ferita aperta pur si presta
a non dischiudersi abbastanza!
Indugio in residuali ricordi
annegati e digeriti fuori tempo e,
in nome d’ogni risultato,
mi riavvolgo in un registro
che mi renderà immortale poi,
riproponendomi nella mia assenza.
Nel reggere a ottusi obblighi
rinforzo ben altri muscoli
e mi autorizzo così a tacere
quand’ancora se ne ripresentino.
Di quest’attimo sono il prestito
di un susseguente debito!


Il salmo del divin peccatore

Ascoltai e vidi molto quel giorno,
con tutto il mio corpo in un giorno:
raggi di sole come fiocchi di neve e sale,
piumati giavellotti gravi di poco peso
generosamente dissonanti nel colpire.
Anche il vento, consapevole del suo gioco,
spingeva le cose rimaste indietro,
negli angoli, scegliendo ghiaia da levigare
e, con la ghiaia, altri vuoti da riempire.
Che n’era rimasto del silenzio mio,
rumore di fondo di ben altri suoni,
ora polline di nuove alate sinfonie,
portato via e tramutato in fiore?
Forse dormivo e, sognando, creavo.
O era il resto che continuava a crearmi?
Un’altra incompiuta a cui aggiungere
una cifra con cui poi misurarmi.
Nel profondo il mio più gran mistero:
ormai desto, non restò che conoscerlo,
essendo lui ormai la mia prigione
ed io, forse, la sua libertà.
Da allora ho smesso di definirmi e sono,
dopo averlo pensato, come solo avrei potuto:
il giusto e l’empio, questo e quello,
ciò che solo insieme definitivamente è!
E l’aria rarefatta di questo divenire
accoglie benevolmente il tutto,
come i sapienti impasti del pasticciere
alla fastosa corte d’un re demone
ch’attende il dolce più del pasto