UN SUON DI “MAMMA”
Semplice, armonioso e nitido,
come l’acqua cristallina d’una fonte,
mi torna ancora in mente
un suon familiare,
che in verba si tramuta “mamma”.
Ed ei è sol ricordo, ora, dolce.
Quante speranze
s’è con sé portata…
Quanto amore
non più mi si riversa…
Mi vegliava e guidava,
mi consolava e difendeva,
m’amava e temeva,
mi raccontava tante cose belle
antiche e pur moderne.
Come un lucignolo
al fondo giunto
lentamente si è spenta,
reclinando il capo
come spiga matura
sul suo stelo.
Immane il duolo,
incolmabile è il vuoto.
Amara realtà la vita.
E’ una scena.
Ognun sua parte recita
e poi…
niente si sa di lui.
Qual tarlo il legno,
tale il tempo
col suo tacito fluir
par che tutto
corroda e annienti,
ma un mistero rimane
imperscrutabile:
può tutto con la morte finire
e diventare polvere,
spazzata via dal vento?
LA PRIMA NEVE
Che sorpresa! Al risveglio
le cime ammantate di bianco.
Di notte, un pittore
ha cambiato colore.
La nebbia, a banchi,
ora nasconde, ora rivela.
Ai soffi di grecale
gli alberi ondeggiano
e i nudi rami intrecciano.
Non più campi verdeggianti,
uccelli cinguettanti,
greggi pascenti,
bimbi vocianti.
Vola basso il passero
in cerca di cibo
e l’uomo non teme.
Matura in terra il seme.
Per le strade silenziose
rari passi frettolosi.
Chissà se tutti hanno
una casa, una famiglia, del pane!
Chissà, o Pippo, se oggi ninfe marine,
vive nella fantasia di bambini,
risalgono l’impetuoso Elicona
fino alle sorgenti dell’Argimusco,
per spiare i satiri silvani
tra querce e faggi dell’esteso bosco;
per ammirare i giganti di pietra
da millenni custodi delle alture
e i pennacchi di fumo inanellato,
sfilacciato dal vento verso il cielo,
dalle infuocate viscere del Monte
dimora dell’operoso divin fabbro
e dell’incatenato incauto Encèlado;
e per udire il grido di dolore
del ciclope accecato da Nessuno!
L’orologio della vicina chiesa
scandisce le ore fugaci.
Ora nevischia.
Per un istante
schiarisce ad oriente
e da uno squarcio di nube
splende e poi muore
un raggio di sole.
GUARDANDO I MIEI FIGLI BAMBINI
Preziosi frutti
del mistero divino,
boccioli di candide rose
dalle verdi foglie,
colti nei giardini dei desideri.
Hanno bisogno di protezione,
di carezze da mani sincere,
generose, affettuose.
Quando protendono le manine
e dispensano sorrisi,
gesti unici d’innocenza,
o vogliono raccontate
le fiabe dei saggi,
riscaldano il cuore
del loro tenero amore
e rendono noi genitori felici.
Rinvigoriscono la voglia
di affrontare le avversità,
le incognite del domani.
Alla loro età, i sogni
non sono mai irraggiungibili.
Il mondo è una scoperta continua.
Si riempiono di meraviglia
per ogni nuova piccola cosa
e inondano di perché.
Per quei delicati boccioli,
che si schiudono alla vita,
rivolgo un’orazione al Cielo,
affinché illumini il loro cammino
e ogni giorno regali un po’ d’amore,
disdegnando il ricorso all’apparenza
a danno della sostanza
e auguro di conservare sempre
il sorriso e la serenità,
la salute e la fiducia in sé.
FIORE DI ZUCCA
Da pianta flessibile e strisciante
sboccia col buio della notte
il fiore di zucca,
guardando verso il cielo.
Teme di giorno il sole:
si chiude, dorme, sogna.
Breve il suo profumo, la vita.
QUESTA TERRA
Il sole, ogni mattina, coi suoi raggi
illumina e riscalda questa terra,
giardino curato da mani invisibili.
Nulla nasconde delle cose create,
che hanno il sigillo di un eterno soffio.
Io le ammiro, mi inebrio di gioia,
pur sapendo che esse sono capaci
di fare a meno di me,
e mi rincresce guardare quella porta,
che serve solo per andare via.
Tutti di là sono usciti coloro
che mi hanno amato più di se stessi
e sono usciti di diverse età,
come di diversa grandezza sono
gli anelli concentrici degli alberi
con prospettiva di ceppo secco.
Qui ogni conoscenza è parziale,
ogni sentimento ha un limite,
ogni inizio ha una fine.
Solo la tensione verso l’Assoluto,
suprema Bellezza e Perfezione,
ricolma il provvisorio.
DISEGNI
Mi guardo allo specchio
a ritroso degli anni
e mi rivedo bambino,
seduto a un tavolino,
vicino al braciere
con vivo carbone,
che riscaldava,
si consumava.
Odorava un po’
la buccia di un’arancia,
sul carbone ardente.
Bianchi erano i tetti,
le strade, i monti.
Erano i giorni della merla
ed io con mano inesperta
tracciavo primavere:
prati verdi e alberi fioriti,
uccelli canori e api al lavoro,
sole dorato e limpido cielo.
Neppure una nuvola
nel mio orizzonte.
Accanto mio fratello
giocava tranquillo.
Altre affettuose presenze,
ora tenui ombre,
aleggiavano in casa
e roseo appariva il domani.
Sono ora svaniti
in un battito d’ali
quei boccioli di sogno.
L’ANGELO DELLA CASA
Fuori il grecale
soffia sulla neve.
Nella casa riscaldata
vaga un passo, leggero,
come d’angelo.
E’ il tuo passo, amore.
Impegnata in lavori domestici,
cerchi di non far rumore,
di non disturbare,
di non svegliare
i nostri due piccoli figli.
Il tuo cuore è pieno di affetto,
colmo di tenerezze,
di premure, di rispetto,
è dimora d’infinito.
Un dì io ti sfiorai con gli occhi
e un palpito di cuore mi tradì.
Quel dì una svolta segnò
nella mia vita.
COME ACQUA DI SORGENTE
Scaturisce la vita
da misteriosa fonte,
che origina un corso
di lunghezza varia.
Scorrono i giorni
qual placido fiume talvolta
dalle limpide acque,
impetuoso e travolgente talaltra.
Trascina, nel tortuoso andare,
duri ciottoli di sofferenza,
d’incomprensione.
Si avvicina sempre più
al suo delta o estuario.
Confonde le sue acque
con quelle del mare immenso,
in un ciclo perenne,
in cui inizio e fine
si uniscono nel mistero,
fitto ed impenetrabile,
già intuito da Talete
filosoficamente
e teorizzato da Darwin
scientificamente.
COME STELLE CADENTI
Tante sono le strade,
impervie alcune,
più agevoli altre,
per cui la vita si consuma
tra realtà e sogno,
in ansiosa ricerca
del faro di un porto sicuro,
che dia la certezza
o la speranza
di qualcosa di duraturo.
Come le stelle cadenti
nell’attrito con l’atmosfera
lasciano una traccia di fuoco,
che presto scompare,
così i giorni passano in fretta
e lasciano una traccia,
nascosta nel cuore,
proiettato verso l’infinito,
ma destinato a dimenticare.
Quando a tarda sera
cala il sipario
e gli attori vanno via,
nel dolore del momento
c’è l’oblio del domani.
CIGOLA L’ANTA
Quando viene aperta,
cìgola l’anta della vecchia credenza
di castagno tarlato.
Non vuole essere toccata e si lamenta.
E’ là, dimenticata,
da quando la padrona se n’è andata.
E’ piena di vecchiume
e odora di rinchiuso.
In un angolo è una ragnatela,
in geometrie concentriche,
per catturar la preda.
L’ha intessuta un ragno
agile, carnoso, spregevole.
Se potesse parlare,
chissà quante storie familiari
potrebbe raccontare!
Un dì risonanti di vive voci,
ora sono mute quelle stanze:
non più in cucina pranzetti appetitosi,
accompagnati da discussioni,
né musiche e balli nel salone;
all’aria si sgretola l’intonaco,
quando si aprono le porte e i balconi.