Arachne

Caos che si stermina:
si stende e termina
lungo i fori che la luce
t’apre
sul torace
come acerbi e tisici
fiori inesplosi.


 

Spine

Ci s’incrina
in spasmodiche
marce e –
stese al cuore
che sfonda i passanti,
tra i tanti logori
manti
del buio che
crudo
tempesta le nocche
e
rosicchia
in spasmodiche marce
le rose,
chiamandole: sporche.
Noi in’sorti
anzitempo
allo zenit, e al tiepido
buio – che
crudo
rosicchia le nocche
nonché tutte le
soglie scomposte
del tranne –
fummo assolti
nel fumo
che gronda le bocche.

E le rose,
le rose puttane
si fecero tane
per zingari oceani,
e incendi di –
sciolti:

pianti.


 

More

Di languide
morti, oblique
e lente,
mi rovisti le
membra – vacue,
ormai: spente.
E risuoni,
destando le coltri
che ho lasciato
sugli occhi
ad asciugare
la sete.
Feroce, come le viole.
rovesci il mio
sangue
su steli anoressici
di schive notti
e febbrili,
convalescenti.
senti: il vociare
del rame
che mi s’apre
sul tenue, narcotico
oblio – m’investe.
Quasi tramasse
in fondo agli
squarci,
cicale.
Mendico e
ladro, scuro
d’astri divelti
mi scuce
una ad una
le lame dei polsi
__ e bruci.
D’argento
(sì che par che tu pianga).
contro lucide scale
intrecciate
a confonderci
i mesi e le messe
profane e i mesti
ieri – trafitti.
E di morbide
sorti, tremanti,
liete
mi spargi
in profughe terre
remote:
le more.