Al mio lago.

T’osservo nel silenzio del mattino

a due passi da te che giaci sereno

ai piedi miei.

Tra crochi inumiditi di terra ed erba,

che in questo raggio mi fanno compagnia,

mi paragono a te e alla tua pace.

Da qui vicina più al cielo che alle acque

disegno quelle curve,

tra canne, spiagge e piccoli sorrisi,

seguendo remi di pescatori insonni

che lenti giungono alla riva e

lasciano alle spalle la fatica.

Sei tutto mio, penso,

ché allo guardo tutto colgo,

ogni anfratto, ogni lato,

ogni piccolo sbadiglio

e mi invento d’esser così grande

da inghiottirti tutto in un solo sorso.

Poi il sole s’alza,

ti illumina d’improvviso

e in quell’argento che su di te si posa,

io mi specchio

e riconosco il mio sorriso

e il fiore che ho appoggiato tra i capelli.


 

Adorabile estate

T’attendo adorabile estate!

Immensi i verdi sfumati di gialli

più intensi, più tenui,

di rossi, di rosa, di lilla,

e spazi sbucciati in campi incolti,

tra l’erba più irta, più dolce.

Volti, chiazzati

di freschi virgulti intrisi di terra,

sporcati.

Sapori fiutati a pelle

nel centro di grandi corolle

che s’aprono al sole.

Tra balle di fieno raccolte,

cotte dall’afa dell’aria,

i giochi di cuori, di amori,

nascosti , celati

da ombre più fresche di candide lune.

Mollare le noie, i grigi sfumati,

lamiere, metalli forgiati

e sbuffi di falsa frescura.

Cementi innalzati al cielo

e voli spezzati di uccelli confusi.

Solo ore,

rubate alla buona stagione.

Solo,

minuscoli granelli di sabbia,

di spicchi di sogno, di effimere illusioni.

Saranno solo spine di grano.

Solo attese

di lucciole e grilli.


 

Noir in Grecia

Che cielo quella sera! Nero trapuntato di stelle, sembrava il cielo di Van Gogh, in quell’isola sperduta del Mar Egeo, la più grande delle Cicladi.

Le tre ragazze erano arrivate per fermarsi una decina di giorni in vacanza, avevano frettolosamente occupato il loro appartamentino in riva al mare, preso in affitto ad un buon prezzo ed eccitatissime, erano uscite per visitare il paese nell’incanto della notte. Era uno dei paesini caratteristici greci, dalle abitazioni basse e bianche che riflettevano luce anche nel buio più profondo. Nelle strade, gruppetti di giovani ragazzi, risate, canzoni e il suono di lingue straniere provenienti da tutto il mondo. Loro erano un tantino disorientate, infatti parlavano solo l’italiano, né greco né tantomeno inglese.

L’unica delle tre che masticava qualche parola british era Giovanna, che sarebbe stata la capogruppo del trio. Dopo aver mangiato dei panini, si erano sedute fuori, al tavolino di un baretto e avevano invero stracannato qualche birra di troppo, tanto per festeggiare il primo giorno di vacanza. <<Ragazze ma ci pensate siamo in vacanza, evviva! Buttati i libri, ora ci aspetta il sole e l’acqua del mare>> disse Martina alle amiche. <<E che dici se ci spettasse anche un bel tipo, magari italiano?>> Letizia era sempre la solita, aveva il chiodo fisso, Martina e Giovanna si guardarono e risero di cuore.

Non erano abituate a bere tanto e se ne resero conto alzandosi dalle sedie, traballavano tutte e tre chi più chi meno e ridevano, ridevano a più non posso. Era bello vederle così unite e felici. Si misero a canticchiare e attraversando la stradina che portava verso l’appartamento….boom, una vespa a tutto gas, prese in pieno Martina, facendola rotolare per terra. Una brusca frenata e in un battibaleno la strada si era riempita di ragazzi accorsi a guardare.
Martina si toccava il fianco, con il viso segnato da smorfie di dolore, Giovanna e Letizia, preoccupatissime non sapevano cosa fare, tra i commenti, gli sguardi e la confusione che intanto si era creata intorno.

Qualcuno invece aveva fatto arrivare un pulmino bianco, sul quale fecero salire Martina, la adagiarono sdraiata sul sedile di dietro, chiusero lo sportello ed il pulmino partì verso l’ospedale.

Intanto Martina guardava dal finestrino, le file di lampioni ai bordi della strada e le case e le stelle, ma era sconvolta, stralunata, sia per la botta, sia per tutta quella birra. Giovanna chiese in inglese ai ragazzi dove stava l’ospedale in modo tale che l’avrebbero raggiunto a piedi per ritrovarsi con l’amica. Il proprietario della vespa, artefice dell’incidente, gli spiegò il percorso, dicendogli che sarebbe andato anche lui.

Si ritrovarono tutti nella sala d’aspetto dell’ospedale.

Giovanna entrò con Martina e parlò col medico. <<Come sta dottore>> – <<Bene, bene, fortunatamente niente di rotto, dovrà solo mettere questa pomata due volte al giorno per cinque giorni. Piuttosto è estremamente scossa, gli ho dato un tranquillante, comunque la potete portare a casa>>

<<Grazie dottore grazie mille>> riprese Giovanna.

Prese Martina sotto braccio e la portò fuori dall’ospedale, dove ad attenderla c’era Letizia col ragazzo greco.

Parlottarono un po’ tra loro Letizia, Giovanna e il greco, che si chiamava Nicolaj e veniva da Atene, anche lui per una vacanza.

<<Allora Martina, tu adesso sali sulla vespa con lui che ti lascia alla piazzetta del paese, certo è che non puoi venire a piedi con noi>> le spiegò Giovanna. Martina la guardò un po’ assonnata, il tranquillante probabilmente stava già facendo effetto, e le rispose di nuovo agitata <<Io su quel trabiccolo che m’ha investito, con lui che non conosco, ma vi siete scemite?>>

<<Martina non fare storie>> riprese Letizia <<E’ solo per pochi chilometri e poi è stato un incidente, stai tranquilla che tra pochi minuti ci ritroviamo e andiamo a casa>>

In tutto questo tempo il ragazzo non disse niente, l’aiutarono a salire sul sellino, e la videro sparire dietro la curva.

Martina aveva un po’ di fiatone dovuto alla mancanza di tranquillità e dovette stringersi alla vita del guidatore per non cadere. Solo che più lui andava avanti e più Martina si sentiva agitata.

Guardandosi intorno, non riconosceva la strada che aveva percorso all’andata ,nel pulmino, non c’erano i lampioni, né le case, sembrava addirittura non ci fossero nemmeno più le stelle, vedeva solo buio, notte e allontanarsi sempre più la luce del paese.

Entrò in paranoia e iniziò a bussare alle spalle di Nicolaj, urlando nel solo inglese che conosceva <<Hospital, Hospital>> facendo segno con la mano che si sentiva male.

Ma quando il ragazzo si voltò verso di lei, fu ancora peggio, perché gli lesse in viso brutte intenzioni e un sorriso che sembrava dire << Cara mia è fatta, non ti troverà più nessuno, quando t’avrò sedotta e ammazzata>> (anche perché ad essere franchi, Martina era davvero un bel bocconcino!)

Immaginate la povera Martina che strillava ancora più forte <<Hospital, Hospital>>, sembrava davvero un’invasata, fin quando mosso a compassione ( lei pensò), il ragazzo si diresse nuovamente all’ospedale e se ne andò, lasciandola sola.

Lei rientrò tremante al pronto soccorso, dove vedendola in quello stato le somministrarono un altro ansiolitico.

Dopo poco arrivarono le amiche nuovamente accompagnate da quel bellimbusto del greco e con gli occhi di fuori le chiesero quasi in coro <<Ma ti senti male? Ma che è successo, si può sapere? Nicolaj è tornato in paese molto preoccupato, dicendoci che ti eri sentita di nuovo molto male.>>

Martina, allora spiegò cosa era successo, la strada diversa, buia, quel sorriso ironico, la paura di non vederle più e di morire ammazzata.

Qualche giorno dopo, erano tutti insieme a ridere e scherzare, intorno al tavolo del bar, mentre un’orchestrina suonava musica greca. Martina, Letizia e Giovanna insieme a Nicolaj e Penelope la fidanzata, ridevano tutti come matti, ripensando alle paure della sventurata.

Nessuno sapeva che per raggiungere l’ospedale dalla piazzetta l’unica strada percorribile fosse a senso unico e quindi per tornare dall’ospedale al paese, era inevitabilmente necessario percorrere un’altra strada, in aperta campagna allontanandosi di parecchio dal centro abitato.

Ora Martina è la sottoscritta e per dovere di cronaca vi dice che quell’anno non lo scorderà mai, fifona com’è! E’ morta di paura e tornando a Roma ha dovuto prendere una settimana di ferie per rilassarsi dalla vacanza.

Bei tempi però!!!