Capitan Patacca

Sono nato il giorno in cui mi hai trovato tu.
Ero nascosto in una scatola da scarpe,
tra vecchie monete,
francobolli e bottoni.
Al buio.
Poi sei arrivato tu.

Hai sollevato il coperchio
e un’ombra azzurra si è avvicinata a me.
Non avevo mai visto nulla di simile.
Non avevo mai visto nulla, in verità.

Chi fossi stata prima, dove fossi stata, non ricordo.
Forse non l’ho mai saputo.

Si.
Credo proprio sia andata così.
Sono nato il giorno in cui mi hai trovata tu.

Hai sollevato il coperchio, hai girato la scatola e io sono volato giù.

I miei primi ricordi sono questi.
Un’ombra azzurra.
E poi,
il calore della tua mano.


La casa del tempo

Chissà il tempo da dove viene e quando ci sfugge, poi dove va. Si chiedeva il ladro, sempre di corsa tra un lavoro e l’altro per cercare di arrivare a casa in tempo.

Lo domandava ovunque lo trascinasse il lavoro, a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo.

Un giorno, in un villaggio di villette a schiera (convenientemente abbandonate l’inverno) mentre beveva un caffè lungo quanto una vacanza fuori stagione, ancora una volta rispolverò la questione.

“Accanto a me, è il mio vicino di casa.” Rispose un vecchio signore dalla pelle stropicciata come le poche banconote che aveva in tasca.

“Che vuoi fare? Un colpo a casa del tempo? Gli oggetti senza tempo sono probabilmente anche senza valore.” Commentò sarcastico il suo compare roteando gli occhi al cielo. Poi, più interessato al mercato che al tempo, accesa una sigaretta uscì dal locale.

Ma il ladro, segnato l’indirizzo sullo scontrino, andò a cercare la casa che gli era stata indicata.

Quando la trovò, si sedette sul ciglio opposto della strada ad aspettare.
Era una tra le tante villette di un lungo viale che scivolava verso il mare, annoiato.
In attesa che qualcuno uscisse o entrasse, la studiò con attenzione. Non aveva nulla di particolare.

Il sole scalpitò verso l’alto del cielo per poi afflosciarsi, rosso di stanchezza, sull’orizzonte. Sorpreso dal sopraggiungere del buio, il ladro si drizzò in piedi per andarsene.

“Come mai tanta fretta?” Dietro di lui, il signore del bar.
“Non è molto il tempo che posso sprecare al seguito delle mie illusioni.”
“O delusioni?” Rifletté il vecchio, ma l’altro stava già risalendo il viale.

“Perché non entra a prendere un caffè?” Domandò il vicino di casa del tempo, attraversando il cancello della villetta che il ladro aveva passato tutto il giorno a fissare.
“Preso in giro, come un idiota… Se entro in quella casa gliela ripulisco.” Così, con un animo da poeta disonesto, lo seguì fin davanti alla porta.

Da vicino non gli sembrava più una porta qualunque. Forse era per la qualità del legno, i per i dettagli delle finiture…

“Chissà quanto vale.” Si colse a ragionare, ascoltando appena, appena l’ospite che gli diceva:
“Faccia come se fosse a casa sua” e chiudeva la porta. Il ladro rimase solo e interdetto a guardarsi intorno. L’arredamento gli apparve prezioso e ricercato. (“Tutti pezzi unici” si immaginò già elogiare al suo rivenditore di fiducia.) Eppure, tutti pezzi già visti. Già vissuti.

La porta di vetro alla sua destra si spalancò e una palla roteò ai suoi piedi.
“Quante volte pensate di romperla!” Urlò una voce appresso due bambini che fecero irruzione nell’ingresso ridendo.
“Ciao Papà!” Poi, mormorando tra loro furtivi: “Accidenti è già arrivato!”

Una donna arruffata e stanca si affacciò. Quando lo vide, il suo sguardo prima confuso, poi indispettito e infine sollevato, s‘illuminò.
“Beh, non ti aspettavano. Gli avevo detto che, come il solito, non saresti arrivato a casa in tempo.


La principessa con la testa tra le nuvole

I

C’era una volta un paese senza sole senza luna senza stelle senza vento.
Quando i suoi abitanti alzavano gli occhi al cielo vedevano solo una coltre di nubi. Nient’altro.

Erano governati da un re che ogni giorno saliva su una torre e restava immobile a fissare l’orizzonte. Lo fissava così intensamente che i suoi occhi erano diventati grigi, come i capelli e la pelle.

I suoi sudditi lo chiamavano re Grigio.

Tra albe e tramonti che nessuno vedeva, quando le nuvole mutavano appena, re Grigio sedeva su un trono d’argento, in cima alla torre. Tutto solo.
Scendeva per dormire, si svegliava e tornava su.
In questi suoi sali e scendi, si era dimenticato di avere una figlia, una bambina scolorita dalla mancanza d’affetto.

In mezzo alla nebbia e sotto un cielo color cenere, nessuno ormai notava più nulla. Nessuno notava quello che faceva, nessuno notava quello che mangiava. Nessuno notava la piccola principessa Aglaia, una bambina un po’ grigia ribattezzata Grigetta.

Nessuno le rivolgeva la parola e Grigetta era cresciuta in silenzio.
Pensava, pensava, pensava. Pensava sempre. Pensava a cose possibili e a cose impossibili.

Suo padre fissava l’orizzonte in cerca di cose nuove, Grigetta cercava di immaginare il mondo oltre le nuvole. Non giocava con altri bambini (al castello non c’erano bambini), non correva, non parlava. Pensava.

Lentamente il suo collo aveva cominciato ad allungarsi. Quando la testa, attaccata al collo, aveva superato la torre, il re impegnato a fissare l’orizzonte, non si era nemmeno girato a guardarla. Poi la testa aveva raggiunto il cielo e ne aveva bucato la coltre. Dai suoi occhi, o dalle nuvole, una lacrima di cenere era scivolata sul viso pallido del sovrano e si era asciugata subito.
Nessuno l’aveva vista.

II

Un giorno arrivò al castello un principe Avventuroso in cerca di una principessa da maritare. La nebbia densa come la neve lo aveva convinto di avere raggiunto un paese incantato.

Domandò udienza e il re, dalla torre, gli disse di salire. Il principe Impaziente gli chiese subito la mano della figlia.
“Aspetti che la mando a cercare”, rispose distrattamente il sovrano.

I servitori trovarono la principessa in cortile seduta su una panchina.
La provarono a chiamare, ma la testa della principessa e le sue orecchie erano troppo lontane, non sentivano più nulla.

Inutilmente, il padre e i suoi servitori le diedero dei pizzicotti. Dopo un lungo silenzio, il principe Entusiasta parlò:

“ Avevo ragione io! Questo è un paese incantato! La nebbia, le nuvole del cielo, il collo della principessa… Tutto è un incantesimo. Ero in cerca di un’avventura: Eccola!… ”

Purtroppo, il re aveva già smesso di ascoltarlo e si ritirato sulla sua torre.
L’ orizzonte grigio cominciava già a mancargli.

Il principe Curioso provò a domandare a tutti gli abitanti che incontrava quando fosse stato l’ultimo giorno di sole.
Nessuno se lo ricordava.
Ripeté la stessa domanda centinaia di volte: invano, nessuno si ricordava di una notte limpida con il cielo stellato. Nessuno si ricordava di una giornata di pioggia, di una tempesta o di una nevicata.

Lentamente, la foschia s’infiltrò anche nei suoi pensieri.
Cominciò a dimenticarsi le sue stesse domande. Si dimenticò cosa stesse cercando, perché la stesse cercando.
Dimenticò.
Dopo qualche settimana il principe vagava stanco e senza meta.

III

Un giorno, preso dalla spossatezza, si sedette sul ciglio di un fiume. Quando si sporse a guardare nell’acqua color seppia, non vi trovò il suo riflesso ma il viso arcigno di una signora.

“Sveglia!” Avrebbe dovuto sentire se fosse stato più attento, ma il richiamo si confuse con il mormorio del fiume, e il principe Stanco si sdraiò sull’erba secca e si appisolò.

Quando aprì gli occhi, fu abbagliato dalla luce del sole, dal cielo azzurro come la carta da zucchero e dal verde cangiante dell’erba. In piedi lo osservava, maestosa e sprezzante, una donna abbigliata da regina.
“Sveglia, poltrone!”

Questa volta, il principe Assonnato scattò sull’attenti.
“Che sogno faticoso” , borbottò indispettito.
“Non è un sogno, eroe da due soldi,” lo punzecchiò la signora come un’ape dispettosa,” non volevi salvare il regno, il re e la tua principessa?”
Fece l’inchino con aria divertita: “ Bene. Sono stata io, la matrigna maligna.”

Il principe Confuso la guardò.
“Non capisci? Prima stavi dormendo, proprio come tutti gli abitanti del regno. Ti ricordi come sei arrivato a palazzo?”
“Ho attraversato la nebbia.”
“No caro. Prima ti sei addormentato, poi hai attraversato la nebbia. Ora sei sveglio. Non è quello il tuo cavallo? ”
Accanto a lui, un destriero bianco brucava l’erba vicino a un cespuglio di more.

Lentamente cominciò a ricordare: una bella giornata estiva, stava cavalcando lungo il fiume, si era fermato a riposare, aveva fatto una scorpacciata di more e si era appisolato sul ciglio del fiume.

Improvvisamente, era scesa la nebbia e il clima era diventato autunnale. Tutto era mutato così in fretta che il principe aveva pensato a un incantesimo.

IV

“Un potentissimo incantesimo, ” disse la signora,
“così mi aveva promesso la strega… Ma forse è meglio che racconti la mia storia dall’inizio.”

“Tanti anni fa, ero una principessa giovane e allegra, il gioiello della corte, la luce della mia famiglia.

Un giorno, mio padre mi diede in sposa a un re vedovo, in cerca di una nuova madre per sua figlia. Ero così felice che nessuno trovò il coraggio di dirmi che il mio futuro marito, re Grigio, isolato nel suo dolore, aveva smesso di parlare. Per anni non mi rivolse parola. Condannata alla solitudine, lentamente la mia felicità si trasformò in risentimento e poi in rabbia. Decisi di vendicarmi.

Cercai, fuori dal paese una vecchia strega e le chiesi di lanciare un maleficio sul castello e sul suo re. La strega mi spiegò cosa fare. Quella notte rubai la corona, scesi nelle cantine del palazzo e la sotterrai insieme a sette semi di valeriana. Poi, scappai di corsa.

Mentre mi allontanavo, vidi il cielo coprirsi di nuvole grigie e fui quasi sopraffatta dal sonno. A fatica superai il confine del paese e arrivai su questo lato del fiume. Finalmente il sonno passò. Mi voltai. Il paese e il castello erano scomparsi e la mia rabbia svanita con loro.

Pentita, tornai dalla strega per chiederle di spezzare l’incantesimo. Disse che era tardi e che avrei dovuto pensarci prima. L’incantesimo poteva essere spezzato solo da un puro di cuore.
Scoppiai a piangere, “Ma dove lo trovo?”
Allora la strega s’intenerì:
“Lungo il fiume che costeggia il castello, è cresciuto un cespuglio di more. Chiunque le mangi si addormenterà e, se il suo cuore sarà puro, potrà attraversare la nebbia e raggiungere il castello.

Dovrà cercare la corona e riportarla al re. Nell’attimo in cui il re la poserà sulla sua testa, tutto il palazzo si desterà dal sonno. Tutti, tranne chi ha dissotterrato la corona. Per svegliarsi e non restare intrappolato per sempre nella nebbia, si dovrà ricordare di bruciare i sette semi valeriana nascosti insieme alla corona.”

Con queste parole, la strega svanì in una nuvola di fumo. Nero.”

La regina fece una piccola pausa, poi continuò.
“Ogni anno, ritorno sulla riva del fiume, mangio qualche mora e provo ad addormentarmi. Non sono mai riuscita a oltrepassare la nebbia e a raggiungere il castello. A differenza del mio, il tuo cuore è puro. Ci riuscirai”.

V

Il principe Ubbidiente fece come gli era stato detto. Mangiò le more e si riaddormentò ripetendo tra se e se le parole della regina per non dimenticarle . “La corona, la pianta di valeriana, bruciare i semi…”

Tornò al castello. “Non la troverò mai,” pensò, mentre scendeva le scale che portavano alle cantine. Raggiunse una porta di legno massiccio, grigio come i gradini di pietra. La spinse, ma la porta non fece segno di aprirsi. Spinse con più decisione, con tutte e due le mani, con tutto se stesso.

La porta si aprì poco a poco. Dal primo sottile spiraglio, uscì una farfalla di polvere che si disperse disorientata nell’aria. Poi un’altra e un’altra ancora. Centinaia di farfalle di polvere lo attaccarono come uno sciame di vespe impazzite.

Il principe Tenace sbatté gli occhi, ma non si fece distrarre. Spinse ancora. La porta si aprì appena un po’ di più. Non tanto, ma abbastanza da farlo passare.
Le cantine erano immense. Forse ancora più grigie del castello. Stanze semibuie s’inseguivano all’infinito, grandi come saloni da ballo con ampie volte sorrette da colonne giganti. Le percorse in lungo e in largo. Per molto tempo. Non trovò nulla.

La corona poteva essere nascosta dappertutto. Cumoli di oggetti inutili o vecchi, dimenticati in tutti gli angoli, erano ricoperti da ragnatele spesse come mantelli di seta. “Chissà quanto sono grandi i ragni che le hanno intrecciate!” Pensò il principe Terrorizzato dall’idea di incontrarne uno.

Ogni secondo passato in quelle cantine lo faceva sentire sempre più debole Cominciò a credere di starsi ammalando. Tossiva e piangeva per la polvere che i suoi passi sollevavano. Brividi di freddo e di paura gli correvano lungo la schiena. Ad ogni ombra, ad ogni rumore, sobbalzava e tremava come una foglia.. Il principe Scoraggiato stava quasi per rinunciare.

D’un tratto, vide una piantina che aveva bucato una ragnatela e si era arrampicata timidamente attorno a una colonna. Il principe Rincuorato si commosse: il colore delicato dei suoi sette fiori rosa era il primo colore che notava da quando aveva oltrepassato la nebbia.

VI

Con gentilezza dissotterrò la piantina. Sotto, l’avrete capito, nascosta tra le sue radici, c’era la corona. La prese tra le mani e andò sulla torre, dove il re era seduto, come ogni giorno.

Il re s’illuminò:
“ Ecco, cosa non trovavo più!”
Tutto contento prese la corona e se la posò sulla testa. Poi, svanì in un batter d’occhio. Il principe Esterrefatto scese dalla torre e notò che tutti, come il re, s’illuminavano di gioia e svanivano nel nulla. Dopo poco, era rimasto solo.

“I sette semi!” pensò, tornando di corsa nelle cantine, ma la pianta di valeriana, con i suoi sette fiori rosa, era appassita. S’inchinò, per cercare tra le foglie secche. Erano rimasti solamente sei semi. Guardò dappertutto. Il settimo seme era sparito. Secondo voi, dov’era finito? Il principe Disperato non lo trovo’!

Preso dallo sconforto, cominciò a vagare per le sale del palazzo. Non c’era più nessuno. Quando raggiunse il cortile, vide che la principessa era ancora seduta sulla panchina e il suo collo lungo, lungo, ancora oltrepassava le nuvole.

Si sedette. “Non sono riuscito a salvarti” disse al vestito, alle calze e alle scarpe grigie accanto a lui. “Non saprò mai chi sei…” e si sentì un principe Perso. Sprofondò nel dolore, soffocato dal grigio che aveva voluto schiarire.
Passò un attimo lungo un’eternità.

Poi, sentì un bacio sulla pelle, un’ondata di calore.
Il suo cuore si allagò di gioia.
Luci, colori e odori invasero i suoi sensi. Vide le stelle. Vide il sole in tutto il suo viaggio, dall’alba al tramonto. Vide i colori incredibili che lo accompagnavano sfumando l’uno nell’altro, rosa, arancione e rosso. Vide il cielo, blu di notte e azzurro di giorno.
Lontano, sempre più lontano, vide il paese grigio svanire in una nuvola. Bianca.
Poi la nuvola fu scacciata dal vento e davanti ai suoi occhi rimase solo la luce.
Il Principe capì. Si era perso in un sogno.

Davanti a lui, Aglaia lo guardava con occhi pieni d’amore.
“Finalmente sono riuscita a svegliarti.” disse. “ Mi sentivo così sola, seduta qui sul ciglio del fiume”.