SOLO PER AMORE

 

Piove a dirotto. Guardo fuori dalla finestra e piango. Non dovrei essere qui ora, ma non ho il coraggio di venire a salutarti per l’ultima volta. Sono triste al pensiero di non poterti più parlare, guardare, stringere, di non poter più respirare il tuo profumo. Eri così pieno di vita. Perché hai deciso di tenermi all’oscuro di tutto? Avrei voluto essere in grado di penetrare nella tua anima, di capire che stavi male, di aiutarti. Ora mi è tutto chiaro, ma è troppo tardi. Posso solo più perdermi nei ricordi, tutto ciò che mi rimane, e capisco i tuoi sguardi persi nel vuoto le ultime volte che siamo usciti insieme, le tue telefonate sempre più brevi. Apparivi stanco, affaticato. Pensavo si trattasse di un periodo lavorativo piuttosto intenso fino a quando, un mese fa, mi hai lasciata.
Era una domenica, lo ricordo come fosse ieri. Stavamo passeggiando lungo il viale alberato della nostra città. Tu eri stranamente silenzioso e, soprattutto, evitavi il mio sguardo. Passammo vicino a un bar, mi proposi di fermarci a sorseggiare un caffè. Erano le tre del pomeriggio, il locale era poco affollato.
«Anna, non ti amo più », mi dissi all’improvviso, con lo sguardo rivolto al tavolino. Per me fu come essere stata catapultata in un abisso.
«Smettila di scherzare, non è divertente!», provai a ribattere io.
«Non scherzo affatto. Ora devo andare, non cercarmi più.»
Avevi lasciato due euro accanto alla tua tazzina vuota e te ne eri andato, senza voltarti. Avrei voluto correrti dietro, urlarti in faccia che eri un vigliacco, che non potevi lasciarmi così, senza uno straccio di spiegazione, non dopo tre anni in cui ci eravamo amati perdutamente, non dopo aver parlato del nostro futuro. Invece sono rimasta immobile, impietrita, senza la forza di reagire.
Volevamo sposarci, avere almeno due figli, aprire una libreria tutta nostra. Quante volte avevamo fantasticato su questo? Mi hai lasciata con mille interrogativi, mille domande senza risposta. Ho trascorso giorni da incubo.
Ti ho cercato in ogni dove, ma tu eri letteralmente sparito, ti eri volatilizzato. Al telefono eri irraggiungibile, sono venuta a bussare alla tua porta, ho aspettato ore in attesa del tuo rientro, fino a quando la tua vicina, impietosita, mi ha informato che ti eri trasferito, ma non sapeva indicarmi dove. Non mi davo pace. Come potevi non amarmi più? Cosa era successo? Fino al giorno prima mi ripetevi quanto ero speciale, mi dicevi che ero la donna della tua vita, che eri stato fortunato a incontrarmi. E poi, di punto in bianco, era cambiato tutto. Non ci credevo. Mi nascondevi qualcosa, ma non sapevo come fare per scoprirlo, a chi rivolgermi. Anche i tuoi genitori non si trovavano.
Ero diventata l’ombra di me stessa. Affrontavo le giornate sperando in una tua chiamata. Ogni istante ripercorrevo mentalmente la nostra storia. Dove avevo sbagliato? Perché non mi ero mai accorta di nulla? Eri così affettuoso, così attento alle mie esigenze. Mi ripetevi all’infinito che mi amavi, che eravamo due anime gemelle destinate a stare insieme per sempre. Allora perché mi hai abbandonata in quel modo? Cosa ti ha spinto a sparire, a dissolverti come avvolto in una nebbia fitta? Sono stati giorni terribili, in cui avevo perso la voglia di vivere.
Poi una mattina mi sono svegliata con uno spirito diverso. Non so cosa fosse successo quella notte, so soltanto che avrei smesso di piangermi addosso in quel modo. Dopotutto la tua scelta era irremovibile, visto che non ti eri più fatto vivo. Se era questo che volevi, ti avrei accontentato. Il lavoro sarebbe stato lungo e difficile, ma dovevo farcela, dovevo imparare a convivere con il tuo ricordo, andare avanti e smetterla di torturarmi con infinite domande.
Mi guardai allo specchio. Ero smagrita, sciupata. Decisi di ricominciare da me, dal mio aspetto. Andai dalla parrucchiera e dall’estetista. Cercai di distrarmi in mille modi. Appena nella mia mente si affacciava un tuo ricordo, cercavo di impegnarmi in qualcosa. Scoprii la passione per la cucina. Mi piaceva provare piatti nuovi ed ero anche piuttosto brava. Dopo qualche settimana mi sentivo già decisamente meglio, ma un’altra batosta era in arrivo.
Uscita dal lavoro mi recai al supermercato a fare la spesa. Mi servivano uova per fare una torta. Durante il tragitto il mio sguardo fu catturato da un cartellone pubblicitario in cui si annunciava l’apertura di un nuovo negozio di abbigliamento. Lì accanto c’erano i necrologi. Non li guardavo mai perché mi mettevano tristezza, ma quel giorno non potei farne a meno. I miei occhi, infatti, ricaddero su una foto. Eri tu. Non potevo crederci. Che scherzo era questo? Rimasi bloccata, con la bocca spalancata.
“Riccardo Verdi, 30 anni. Ne danno il triste annuncio la mamma Rosa, il papà Luca, la fidanzata Anna”.
Avevano menzionato il mio nome, allora eri proprio tu!?! Cosa ti era successo? Non sapevo come contattare i tuoi genitori. Non osavo chiamare nessuno amico. Cosa avrei potuto dire? “Scusa, sai di cosa è morto il mio fidanzato?”. Mi avrebbero presa per pazza. Al massimo erano loro che dovevano chiedere spiegazioni a me.
Il giorno dopo seppi tutto leggendo il giornale locale. In un articolo si diceva che “il giovane Riccardo Verdi ci ha lasciati dopo aver lottato contro un tumore”. Crollai nuovamente. Piangevo per l’amore della mia vita che non c’era più. Fino a quel giorno avevo ancora sempre la speranza di poterti incontrare, di poter chiarire. Ora questa speranza era svanita nel nulla. Piangevo perché ero stata tenuta all’oscuro di tutto. Come eri riuscito a nascondermi una cosa così grande?
Oggi sarei dovuta essere lì al tuo funerale, ma non ho la forza di uscire. Sto qui, continuo a osservare la pioggia che scende incessante. Vedi Riccardo? Il mondo intero piange per te, ma solo io sapevo quanto eri bello, forte, dolce, romantico; solo io sapevo che non ti piaceva il formaggio, che non sopportavi fare shopping, che adoravi passare ore e ore a leggere e a fantasticare sul lavoro dei tuoi sogni, dei nostri sogni.
Sono assorta nei miei pensieri quando suonano alla porta. Non ho nessuna voglia di aprire, ma qualcosa mi spinge a farlo.
«Buongiorno signorina! Ho una lettera per lei. Non l’ho lasciata nella buca per evitare che si bagnasse!», mi disse il postino allegramente. Cosa lo facesse essere così pimpante in una giornata come quella, proprio non lo sapevo. Lo ringraziai.
Una lettera? Chi poteva essere? La aprii e il mio cuore accelerò i battiti. Era la calligrafia di Riccardo. Mi aveva scritto prima di morire. Mi imposi di stare calma. Bevvi un sorso di acqua e mi sedetti sul letto, feci un respiro profondo e iniziai a leggere.
“Amore dolcissimo, quanto mi duole scriverti. Leggerai queste mie parole quando ormai non ci sarò più. Voglio spiegarti perché sono sparito così. Non è vero che non ti amo più. E’ proprio perché ti amo alla follia che ho deciso di comportarmi in questo modo. Spero che, con il tempo, tu riesca a perdonarmi. Circa un anno e mezzo fa mi sentivo sempre stanco e spossato. Decisi di fare le analisi del sangue e, in seguito a ulteriori accertamenti, mi diagnosticarono un cancro al pancreas, non operabile. Mi dissero che avrei potuto sottopormi a cure invasive, ma che le possibilità di farcela sarebbero state pochissime, quasi nulle. Era già troppo tardi. Ci pensai un paio di giorni, i più difficili della mia vita, e scelsi di lasciar fare al destino. Se tanto dovevo morire, perché avrei dovuto soffrire per curare un qualcosa che non era curabile? In quel momento decisi di tenerti all’oscuro di tutto. Ora, con il senno di poi, mi rendo conto che, forse, ho sbagliato. Mi manchi così tanto… e con i dolori che, minuto dopo minuto, diventano sempre più lancinanti, vorrei poterti avere qui accanto, stringerti, ma ti sento comunque vicina perché ti ho amato dal primo istante che ti ho vista e continuerò a farlo anche in luoghi, ancora per poco, sconosciuti. Amore mio, perdonami. Non volevo vederti soffrire perché sei troppo bella quando sorridi. Non volevo intristirti facendoti condividere un peso così grande, perché volevo godere fino all’ultimo della tua spensieratezza, della tua allegria quasi infantile. Ho resistito fino a quando il male si è fatto insopportabile e poi sono dovuto scappare via da te, dai nostri amici, dai miei luoghi tanto amati. Non volevo mi vedessi diventare come sono ora: un cadavere vivente. I miei momenti di lucidità sono sempre più brevi, mangio a fatica e dormo praticamente tutto il giorno. Ecco, volevo proteggerti e risparmiarti tutto questo. E vorrei che mi ricordassi com’ero e non come sono diventato. Sei stata l’unica donna che ho amato. Mi hai scaldato il cuore, mi hai reso una persona migliore. Sei stupenda e lo sarai sempre. Il destino è stato beffardo con me, ma sono felice di aver avuto la possibilità di conoscerti e di aver percorso un breve tratto della mia strada accanto a te. Non piangere amore. Sono sicuro che troverai la forza di affrontare la vita con il sorriso sulle labbra, anche senza di me. Un giorno ci rincontreremo e, allora, niente e nessuno potrà più dividerci. Ti amo. Richy”.
Rimasi immobile per un tempo che parve infinito. Ecco chi era stato il mio ragazzo: un uomo speciale che aveva tenuto per sé un macigno così grande solo per proteggermi, per evitarmi della sofferenza. Solo per amore. Era stata una persona fantastica e unica!
All’improvviso mi ridestai da quella specie di trance in cui ero sprofondata, mi vestii in fretta e mi recai al cimitero. Forse ero ancora in tempo per un ultimo saluto.
Quando arrivai se n’erano già andati tutti, tranne i genitori. Mi avvicinai. Loro mi guardarono con occhi colmi di dolore e mi abbracciarono.
«Perdonalo», mormorò la madre.
«Sì, l’ho già perdonato!», biascicai tra le lacrime.
Accarezzai la bara e vi adagiai sopra una rosa bianca, il suo colore preferito.
“Buon viaggio, amore mio! Ci rivedremo”, sussurrai a fior di labbra.
Pian piano Riccardo sparì sotto la terra.


L’ANGELO E IL SOGNO

 

Era una calda mattina d’estate. A metà luglio l’aria in pieno centro era irrespirabile. Tania viveva sola a Torino, in via Giolitti, al terzo piano di un palazzo ancora senza ascensore. Il suo alloggio – un monolocale – era veramente minuscolo, ma non si poteva permettere altro, al momento.
Era comunque riuscita a renderlo davvero accogliente. Ci aveva impiegato molto tempo, ma lo aveva arredato con stile e lo sentiva veramente suo. L’affitto era alto, però doveva ammettere che era comoda a tutto e, in particolare, non aveva problemi di spostamento nemmeno per andare al lavoro, infatti in meno di dieci minuti a piedi giungeva a destinazione.
Il lavoro… già! Tania non era assolutamente soddisfatta. Faceva la segretaria in una piccola concessionaria. Di per sé amava le mansioni che le erano state affidate e le svolgeva con cura, ma non c’era affiatamento né con i colleghi, né con i due titolari. Ogni giorno arrivava con l’ansia addosso per paura di rimproveri, spesso e volentieri, ingiustificati. Per non parlare poi delle rare volte in cui aveva bisogno di un permesso… Era trattata come un oggetto più che come una persona. “Tania fai questo, Tania chiama quel cliente, ecc.”. e poi, neanche farlo apposta, quasi ogni giorno alle 17.55 le affidavano qualche incarico da sbrigare immediatamente, così lei era costretta a rimanere sul luogo di lavoro più del dovuto, ovviamente senza essere retribuita per quegli straordinari. Al momento, però, doveva resistere. Aveva bisogno di quel lavoro per vivere. Infatti non poteva contare sull’aiuto economico di nessuno.
I suoi genitori l’avevano cresciuta “per obbligo” fino ai 18 anni e poi le avevano fatto chiaramente capire che in casa non era più ben accetta. Lei non ci era rimasta troppo male, perché in tutti quegli anni non aveva mai ricevuto un abbraccio, un bacio, un gesto d’affetto da parte loro. In compenso si era dovuta rimboccare le maniche e darsi da fare per trovare una sistemazione.
Era riuscita, dopo qualche mese, a trovare quell’alloggio e lì si era sistemata. Non si poteva dire che avesse una vita sociale appagante. In realtà aveva una cara amica, Clara, che però da ormai due anni si era trasferita a Parigi. Si sentivano saltuariamente e ogni tanto si scrivevano qualche lettera, ma nulla più. Nonostante la vita che conduceva fosse piuttosto monotona, Tania non si lamentava. Era sola, è vero, ma era abituata così e la situazione non le pesava più di tanto. E poi aveva una grande passione: la lettura. Amava leggere più di qualunque altra cosa e ogni momento libero era dedicato a quello. Andava regolarmente in biblioteca e qui prendeva in prestito svariati libri, di generi diversi. Il suo sogno era quello, un giorno, di aprire una libreria tutta sua, magari con un angolino riservato ai clienti per leggere e sorseggiare un tè o un caffè in santa pace, lontani dalla frenesia della città. Magari fosse riuscita a realizzarlo! Le servivano dei soldi, ma con lo stipendio che guadagnava riusciva a malapena a coprire tutte le spese, figuriamoci metterne qualcuno da parte e poi per un sogno così grande… Però i sogni non hanno prezzo, perciò perché non continuare a volare con la fantasia?!
Fu un incontro con una persona speciale a cambiarle la vita. Era un venerdì. In pausa pranzo Tania era solita tornare a casa, ma quel giorno aveva voglia di prendere un po’ d’aria, così si sistemò su una panchina in un parco lì vicino. Era intenta a leggere, quando sentì una voce esile al suo fianco:
«Non le dispiace se mi siedo qui?». Tania alzò gli occhi e vide una signora anziana, ma molto distinta che la osservava sorridente.
«Nessun problema, prego!», rispose.
«Cosa sta leggendo così concentrata?».
«Le parole che non ti ho detto di Nicholas Sparks, il mio autore preferito».
«Appassionante, eh? L’ho letto anche io un paio di anni fa… Mi è piaciuto davvero molto!!».
Tania, a quel punto, chiuse il libro e iniziò a conversare con la simpatica “nonnina”. Scoprì che si chiamava Benedetta e che aveva 85 anni, portati splendidamente. Ogni giorno, a quell’ora, era solita fare due passi per digerire pranzo, prima di rientrare a casa per una pennichella.
«Allora Tania, come mai hai lo sguardo così triste?» le chiese a un certo punto.
La ragazza iniziò a raccontarle la sua vita, le frustrazioni sul lavoro, la sua solitudine. Quella donna che non conosceva affatto, le dava fiducia, così si confidò come non le capitava da ormai molto tempo.
«Povera ragazza!! Perché ogni tanto non passi a trovarmi? Abito giusto lì dietro» e le indicò il palazzo nel quale risiedeva.
Da quel momento, quasi ogni giorno, Tania e Benedetta si incontravano al parco o a casa dell’anziana signora, o al bar. Trascorrevano così qualche minuto in compagnia, parlando del più e del meno. Tania si affezionò tantissimo, tant’è che iniziò a chiamarla affettuosamente “nonna”. Benedetta le raccontò che anche lei un tempo aveva una bella famiglia, ma ora non le restava più nessuno: suo marito era morto dieci anni fa, e il figlio – ormai quarantenne – viveva in Germania e tornava in Italia solo in occasione del Natale. Insomma, era sola anche lei.
Quei momenti divennero preziosi per entrambe. Spesso la gente che le vedeva passeggiare, le scambiava per nonna e nipote. Tania le parlò anche del suo sogno, del suo amore sviscerato per i libri che, neanche farlo apposta, erano anche la passione e il passatempo preferito di Benedetta la quale, a casa, aveva una libreria ben fornita.
Intanto, tra una chiacchiera e l’altra il tempo passava e giunse dicembre. Faceva piuttosto freddo e le strade erano tutte imbiancate. Benedetta non se la sentiva di uscire, così era sempre Tania che nella pausa pranzo e, a volte, anche a cena passava da lei. Era un periodo in cui entrambe si sentivano tristi. Il Natale, si sa, è fatto per stare in compagnia della propria famiglia, dei propri cari. A rendere ancora più triste il periodo quell’anno, fu la telefonata del figlio di Benedetta che la informò della sua impossibilità a rientrare, causa un’improrogabile riunione di lavoro proprio a ridosso di Natale. Non lo diede a vedere, ma Tania si accorse di quanto ci fosse rimasta male. Fu in quel momento che le propose di trascorrere quel giorno insieme. Sarebbero andate alla Messa delle 10 e poi avrebbero pranzato e chiacchierato per il resto della giornata. Benedetta accettò immediatamente. ‘Che tenerezza vedere una donna della sua età così felice’ pensò Tania. Era il primo anno, da quando era andata a vivere da sola, che avrebbe trascorso le festività in compagnia.
Quella mattina, come da accordi, Tania si recò dalla sua acquisita nonnina alle 9.30. Insieme si recarono alla chiesa poco distante dove assistettero alla Messa. Poi rientrarono a casa dove pranzarono chiacchierando allegramente e cercando di non pensare a nulla che avrebbe potuto rovinare quel giorno meraviglioso. A metà pomeriggio Tania le diede il regalo. Aveva trovato in un negozio poco distante una sciarpa, un cappello e un paio di guanti di lana. Le sue finanze non le avevano permesso di eccedere, ma Benedetta apprezzò tantissimo quel gesto e la ringraziò. Ora toccava a lei.
«Ascolta Tania, mettiti il cappotto che dobbiamo uscire» le ordinò.
«Uscire? Ma fa piuttosto freddo fuori. Cos’è? Vuoi già provare il mio regalo?» chiese stupita Tania.
«Non fare storie e andiamo!» disse con un tono che non ammetteva repliche.
«Come vuoi».
Tania non aveva idea di dove volesse andare, ma la accontentò. Uscite, svoltarono subito a destra, proseguirono per un centinaio di metri raggiungendo il palazzo a fianco. Si fermarono davanti a una serranda di un negozio abbassata.
«Eccoci arrivate» disse con emozione Benedetta.
«Arrivate? Ma qui non c’è nulla, se non un negozio chiuso e abbandonato» replicò Tania, sempre più incuriosita.
«Sì, hai ragione. Tieni queste chiavi, apri e alza la serranda, non deve essere troppo pesante».
Tania decise di non farsi più domande ed eseguì gli ordini.
Senza troppa fatica tirò su la serranda, poi aprì la porta. Si trovò all’interno di un negozio non eccessivamente grande e completamente vuoto.
«Eccoci!» disse con voce sognante Benedetta. «Questo era il regno di mio marito. Era un calzolaio molto in gamba, sai? Era qui che passava le sue giornate e aveva una marea di clienti che gli erano molto affezionati… Io venivo spesso ad aiutarlo. Quando è andato in pensione non ha voluto venderlo e ha continuato a riparare scarpe solo più agli amici. Non poteva farne a meno. Poi, una volta morto, mio figlio voleva disfarsene, ma per fortuna non ho voluto sentire ragioni!! Ora ho preso una decisione: voglio che tu apra la tua libreria qui. Cosa ne pensi?».
Seguì un momento di silenzio. Tania rimase senza parole! Il suo sogno stava forse prendendo forma?
«Benedetta… non posso accettare!! Riesco a malapena a pagarmi l’affitto del monolocale in cui abito, un altro sarebbe troppo… Ti ringrazio davvero tanto, sarebbe stupendo, ma non posso».
«Cara ragazza, non voglio nessun affitto. Il negozio è tuo. Ho già fatto anche tutte le pratiche burocratiche, onde evitare poi problemi futuri con mio figlio. Ora puoi farne cosa vuoi, ma se apri la libreria, sappi che sarò una tua cliente fissa!».
Tania era sempre più stupefatta!! Quello era il suo più bel Natale. Non solo lo aveva trascorso in compagnia, ora si ritrovava anche proprietaria di un negozio che, con un po’ di lavoro, avrebbe potuto trasformare in libreria!!! Non ci poteva credere. Non sapendo cosa dire, l’abbracciò forte.
Da quel giorno la sua vita cambiò. Andava al lavoro senza più ansia, la sera la dedicava interamente a progettare il suo sogno. Benedetta le presentò anche un ragazzo giovane, figlio di una sua amica, che lavorava in banca e che, con molta pazienza, le diede un po’ di ragguagli su un mutuo che doveva fare per poter iniziare i lavori. Non era mai stata così felice!
Trascorsero tre mesi durante i quali ogni momento libero Tania era in negozio. Benedetta, spesso e volentieri, la raggiungeva aiutandola nei lavori meno pesanti. Sistemarono le scaffalature, crearono un angolo-lettura con due tavolini e poltroncine. Sua “nonna” riprese in mano l’uncinetto e creò degli splendidi centrotavola per abbellirli.
Intanto Tania si licenziò dalla concessionaria, lasciando in difficoltà titolari e colleghi che, presi alla sprovvista, si resero conto di quanto lei fosse indispensabile e cercarono in tutti i modi di dissuaderla dall’andarsene. Tania non fece una piega. Sapeva che con la libreria stava facendo un salto nel buio, ma nella vita bisogna correre dei rischi. Lei amava i libri, amava leggere più di qualunque altra cosa ed era convinta che ce l’avrebbe fatta. Lo doveva a lei stessa e a Benedetta, la persona che ormai lei definiva “il suo angelo”. Era lei, infatti, che l’aveva spronata a non lasciarsi sopraffare dall’arroganza degli altri e a rincorrere, a costo di enormi sacrifici, i propri sogni. Era lei che le aveva fatto capire che nella vita non bisogna mai lasciarsi abbattere. Insomma… da quando le loro strade si erano incrociate, era stato tutto un percorso in salita. Tania non si era più sentita sola, al contrario aveva trovato una persona che non solo la ascoltava, ma le dava preziosi consigli e la spronava a non farsi mettere i piedi in testa, a non chiudersi in se stessa, a combattere per ciò in cui credeva. E quando aveva imparato a vedere il bicchiere mezzo pieno, ecco che le aveva fatto una sorpresa bellissima. Ora ne era sicura: qualcuno da lassù le aveva mandato quell’angelo e lei ne era profondamente riconoscente.
Arrivò metà aprile. Tutto era pronto per l’inaugurazione. La libreria venne chiamata “Il sogno”. Quel giorno furono molte le persone che si presentarono. Benedetta tenne un discorso nel quale elogiò la caparbietà e le capacità della sua nipote acquisita Tania. Questa nuova attività la fece rinascere. Tania sembrava più bella. Ogni giorno, prima di aprire il negozio, passava dal suo angelo, poi si recava in libreria. Qui sistemava i nuovi libri arrivati, li catalogava, effettuava gli ordini e chiacchierava amabilmente con chiunque si presentasse. L’angolo-lettura ebbe uno strepitoso successo e divenne un luogo di ritrovo soprattutto per le persone non più giovani che volevano trascorrere due ore leggendo in compagnia.
Osservando la “sua creazione” Tania ripensò al suo passato, alle difficoltà riscontrate, alle ingiustizie subite, alla solitudine che per molti anni l’aveva accompagnata. E si rese conto che era stato proprio il suo grande amore per i libri a farle cambiare in meglio la propria vita. Un amore incondizionato, ricco di emozioni. Un amore a cui si era aggiunto il grande affetto per una donna straordinaria. Un amore che le aveva fatto incontrare il suo angelo e le aveva regalato una nuova vita!!