Poesie
QUAL’E’ IL MIO OGGETTO PIU’ CARO?
Scegliere un oggetto: bella impresa!
Per me la “scelta” è sempre molto dura. Il bisogno di “tutto” e di “tutti” mi pervade… quasi io non esistessi… mi schiaccia.
Il pensiero s’inceppa in un movimento vorticoso di ritorno incessante su se stesso, spinto forse solo dal bisogno, della DIPENDENZA. In alcuni momenti è paralizzante.
E pensare che poi, all’improvviso tutto s’interrompe… il bene e il male, il bello e il brutto.
La vita cessa… in un lampo.
QUESTA GIOSTRA di emozioni, di conflitti, di piaceri, di tormenti, in cui ricordi, nostalgie, rimpianti si alternano e in cui tutto ti sembra non debba mai avere una fine, perché la fine potrebbe toglierne il “senso”,
SI FERMA… senza più ripartire e lascia chi rimane a giocare ancora… Ma non più come prima.
Gli oggetti mi rievocano immagini, ricordi.
I ricordi mi fanno riaffiorare emozioni, volti.
Rivivere momenti, relazioni
ed è per questo che vorrei essere sopraffatta dagli oggetti,
non solo per non dimenticare mai niente e nessuno,
ma soprattutto per riportare tutto al presente
perché il passato non vada via, non sfugga,
per afferrare la vita.
Ma c’è un oggetto che avrei voluto conservare
e che averlo perso mi ha spezzato il cuore.
Era l’estate del 1998.
Luciano aveva 3 anni. Siamo andati a Guagnano, il mio paese, nella casa dove sono nata, ormai vuota…
Cioè piena di oggetti e mobili, ma senza mio padre e mia madre, mia sorella e mia zia, che negli ultimi anni ha vissuto con noi.
L’ultima ad “andarsene” è stata proprio lei, mia zia, quasi novantenne.
Il primo, invece, è stato lui, mio padre: la sua morte improvvisa ha rotto l’incantesimo di una vita magica, dove sembrava non ci fosse spazio per malattie e morte…
E soprattutto lui, per me, doveva essere eterno.
Ma in 10 anni la casa si è svuotata e noi, io, Dante e il piccolo Luciano ci siamo andati quell’estate, per liberarla anche dagli oggetti.
Eccomi dunque lì, immortalata nell’angolo, vicino al camino, in cucina con in braccio Luciano.
Sulla parete ci sono i quadri che aveva dipinto mia sorella e sulla poltrona lo scialle fatto a mano da mia madre.
Io indosso una vecchia camicia di seta dai colori vivaci, che mi aveva confezionato una sarta del mio paese.
Ho i capelli lunghi. Uno sguardo distratto.
Mi vedo più giovane dei miei 45 anni.
E’ l’unica foto di quella casa che da lì a poco ho venduto, straziandomi per il distacco.
Dopo avere perso lei, ho capito che avrei potuto perdere qualunque oggetto.
E comunque la vita non è stata più la stessa.
Dolce carillon
La città si sveglia
tace ancora
il vento scorre
su tutto
indisturbato padrone
di spazi
su cui pian piano
si spiega la gente
prima che inizi ad urlare
quando ancora
la notte
s’insinua
nel giorno
e.. il mondo
è un dolce carillon…
Brezza di mare
profumo
della mia pelle
in questa
brezza di mare
stendo la mia mano
per prendere la tua
ed è subito
amore
Silenzio
vorrei a volte
perdermi in un mare
senza fondo
e ruotare
attorno
a un elica di vento
inseguire una voragine
e annullarmi in un boato
per diventare silenzio.
Frantumi
mi sento in frantumi
come dei cocci di vetro e
su di essi, le mie lacrime.
ricostruirmi potrebbe essere facile
ma improvviso questo mio moto
mi coglie
e non mi dilania
ma mi culla.
Febbraio ‘83
no, non voglio baci
voglio sguardi:
i tuoi occhi
nei miei
fino a stordirmi.
Misteri
Infrangere il vetro
che ci separa
penetrare
nei tuoi misteri
averti per amarti
Attesa
Fumo di una sigaretta
sguardo nervoso
attesa
tutto è silenzio attorno,
in me è attesa,
fremito,
mentre aspetto.
Religiosa Attesa
Ora sono sicura che ti potrò raccontare di queste lacrime
versate vicino al mare al pensiero dei tuoi occhi che avrei
potuto non rivedere più.
Sono sola.
Forse tutti hanno qualcuno vicino, oggi.
Tutti quelli che hanno, sia pure senza poter crederci fino
in fondo, temuto di perderti.
Sono di sollievo queste lacrime.
Prima, non era disperazione, non era dolore, ma silenzio –
sospensione.
Sospensione della scena, come se, improvvisamente, in una
commedia, a teatro, calasse il sipario; bruscamente, inaspettatamente, prematuramente.
E tutti nel pubblico senza parlare fossero in attesa che si riaprisse.
Religiosa attesa.
L’ULTIMO DEI MIEI AMORI
Vorrei tu fossi
l’ultimo dei miei sogni
l’ultimo dei miei sospiri
e… nell’ultimo
dei miei giorni,
vorrei tu fossi
l’ultimo dei miei amori.
APRILE 1977
A volte mi sembra inutile il male che faccio.
Inutile forse è peggio che dannoso…
Il male e il bene…
Inutile tutto questo mio tempo che vivo
nell’illusione di viverlo.
E… nel tentativo di coinvolgere gli altri
in questa vita vissuta e non vissuta,
brancolo ancor di più nel buio.
E ho paura. Tanta paura.
Ed era per questo che sono venuta
da te questa sera… perché gli “altri”
sei anche tu e… forse soprattutto tu.
Ora piango.
Chissà chi sei.
Forse solo un uomo angosciato… Come me.
GIUGNO 1988
Ora sono sicura che ti potrò raccontare di queste lacrime
versate vicino al mare al pensiero dei tuoi occhi che avrei
potuto non rivedere più.
Sono sola.
Forse tutti hanno qualcuno vicino, oggi.
Tutti quelli che hanno, sia pure senza poter crederci fino in fondo, temuto di perderti.
Sono di sollievo queste lacrime.
Prima, non era disperazione, non era dolore,
ma silenzio, sospensione.
Sospensione della scena, come se, improvvisamente, in una
commedia, a teatro, calasse il sipario
bruscamente,
inaspettatamente,
prematuratamente.
E tutti… lì… nel pubblico… senza parlare… fossero in attesa che si riaprisse
Religiosa attesa.