Le vesciche ubriache

Gli ottimi funghi del bosco hanno spiccato il volo verso orizzonti lunari con impavide virtù e sapori floreali, ricchi di omaggi di seta, di lino e di avorio della miglior fattura.
La giusta paga degli eletti e la frustrazione pulsante delle dee malate, assopite su un letto ricoperto di chiodi aguzzi e svastiche d’acciaio
Un sogno che sobbalza dalle sue angosce e diventa fiamma corposa e inserzione sulle labbra degli amanti, rinchiusi nei loro muri di ferro e povero ottone
L’oppio a piè della montagna rosa, montagna di prose ed emerite allucinazioni giustificate dall’essenza del nulla e della bugia
Un tempo ci si sedeva vicino al fuoco per comporre miti che accompagnassero le ombre timorate del mondo attraverso gli specchi dell’al di là
Una luce fluente per dare vita a giostre di sapere
Sagome di cultura e vita
Ma le macchine hanno avuto i loro cuori
Le metastasi il loro spazio
I vigneti la loro dolce morte
Noè perché?
Noè com’è?
Re delle cantine di via castello
Gli aranci e l’asfalto grasso per digerire le acque reflue delle vesciche ubriache

Giorgio sei lontano da questi abissi e provo invidia per la tua nostalgia
Le ossa rotte mentre aspettavamo che il loto sbocciasse, ponendo le sue ali davanti alla nostra bocca affamata di disavventure
I caporali bastardi, ombre, glaciazioni dai loro occhi imbavagliati dall’insolenza tenebrosa
I caporali che ci detestavano per i nostri temi sulla diossina e sul cemento come sperma propagandato dalle grandi alture di pelle e legno
Ricordi il grido asimmetrico delle puttane di viale Pireo quando comprammo un sogno di plastica per rivenderlo nei manicomi dismessi?
Eravamo uniti
Parassiti dello stesso animale
Umani, umanoidi, falliti, con un sorriso al curry dalla postura sbagliata

Tu hai vinto comunque
Fuori dalle tue finestre ci sono delle incantevoli montagne
Negli inverni innevati dalla scolo divino
Fresche d’estate quando i cervi scopano nervosamente invasi dalla noia

Io mi perdo pensando se ho portato nel modo corretto le mie pene a spasso
Dio è uno e batte le carte tutti i giorni
Gran bella trovata
I santi poco famosi si ubriacano nelle distillerie durante l’omelia
La nostra è una frustrazione simile
Loro sono intoccabili questo si
Io ho un fegato mal messo e cartelle cliniche da presentare all’ufficio di collocamento posto in fondo ai miei trent’anni

Marjuana piccante dagli amici lapponi rivoluzionari
Sorrisi, glucosio, dimenticanza, tabacco, birra artigianale e hamburger di latta sottratti con una notizia paurosa ad uno sconosciuto davanti alle cliniche dell’ingrasso
Saporiti con il vetro e l’alabastro
Un pizzico di polvere di squalo e poi arroventarsi lo sfintere con salsa piccante e contorno di topi
Al diavolo il glutine e ai grassi post bellici di fabbricazione cinese
Al diavolo le grandi insegne luminose con il menù delle offerte settimanali
Al diavolo la signora Gerard che vive nel New Mexico ma che viene in vacanza proprio sotto casa mia
Sogniamo la bava di cristallo delle alette di pollo congestionato
Mozzarelline filanti con le quali masturbarsi
Bevande effervescenti per disinfettare le unghie incarnite nei dolenti crocevia notturni

Marijuana al napalm da un Vietcong sopravvissuto al congresso
Acidi per la miopia che coccolerà le tempie nella vecchiaia
Eroina per le autostrade venose ostruite da un concetto famigliare in netto contrasto con la cultura propositiva
Salvaguardarsi il pene dagli avvoltoi che asfaltano le strade con supposte di oppio e vasellina di crema di arachidi
In centomila hanno manifestato il loro odio per le multinazionali bruciando i capelli alla civiltà moderna
Nessuno per quanto mi riguarda ha imbevuto di benzina l’errante pensiero capitalista
Uno c’ha rimesso la vita
Ha un nome impronunciabile
La sentenza negli occhi
Uno zigomo forato dall’inesperienza orgiastica di un domestico pubblico, dall’ira, dal qualunquismo, dallo squadrismo legalizzato
Il generale Diaz e resuscitato tra i feriti di una guerra che non è sua ma che sente il bisogno di combattere poiché il sangue parla una lingua che strizza l’occhio alla rivoluzione di tante primavere negate
Il sangue sgorga anche dalle teste degli scaricatori portuali in giornata di grazia per onerosi straordinari sull’uscio di cassaintegrazioni prestabilite
Evviva il gin sulle ferite aperte del generale Diaz

Giorgio eri a conoscenza dell’esistenza della democrazia?
Dimmi la verità ne eri a conoscenza?
Ne eri a conoscenza quando aspettavamo il signor Ventimiglia che uscisse di casa per fregarli quella misera paga che gli passava lo stato?
Ne eri a conoscenza quando elaboravamo i nostri motori per sembrare più fighi e le ragazzette ci tappavano il culo con i loro no per le nostre richieste indecorose?
Ne eri a conoscenza quando andammo a quella mostra di Schifano e l’arte sembrava avesse dei grossi coltelli per sgozzare l’ipocrisia del mondo?
Ne eri a conoscenza quando perdemmo la verginità in un angolo buio dietro gli enormi scogli sull’isolotto di Buona Speranza?
Dormivano le nostre tristezze, i nostri fotogrammi, le nostre paure, le nostre incertezze, le nostre sporche voglie
Dormiva la morte con la sua fottutissima prole
Dormivano gli ecosistemi ecclesiastici e le profezie bibliche
Dormiva la legge con le sue galere stracolme di assassini e disperati
Dormiva il valium delle nostre madri prescritto per uso domestico e non frequente
Dormivano i nostri discorsi sulla crisi organizzata, sulla speculazione edilizia e sulla merce avariata, sulle folli corse in bici, su lo spleen di Parigi, sui nostri primi amori quando il nero era un nero ideale ed aveva in se l’anima di mille colori

Marijuana from Alabama da un ex marines pluridecorato
Si spera di resistere ancora un’altra notte per scontrarsi a spada tratta dentro situazioni astratte
Io mi svesto d’emozioni per salvare la mia pelle ormai ostaggio d’illusioni whisky e stupide canzoni
La musica pop odierna è un maleficio sulle membrane degli altoparlanti che si propaga nelle case per dare man forte all’inesattezza quotidiana degli stolti
Musica pop che ha perso fin troppo del suo significato primordiale
Voglio che Bowie venga a soffocarmi insieme a Iggy, Lou, Nico, Jim e qualche altro fottuto eremita del grande deserto
Voglio una lezione sui funghi dal professor Barret
Mi piacciono i funghi
Sono una delle cose che amo di più nella vita
Ma l’inesperienza non fa di me un ottimo conoscitore e le mie finanze non mi permettono di avere la loro faccia nelle mie credenze per lo più vuote e ostaggio di grossi grassi tarli
L’avresti mai immaginato Giorgio?
Sei lontano
Oltre la tua e la mia malinconia
Con un piede e mezzo nell’involucro lunare e razzi segnalatori per destreggiarsi tra le ultime onde rimaste
Sai che sono morti più di cento disperati domenica a largo delle nostre coste?
Che l’estate secca ha finito col gravare sull’uva striminzita come neonati testicoli, facendo innalzare il prezzo del vino di conseguenza il prezzo alle mie sbronze?
Non sai proprio niente perché sei lontano amico mio
Ho un salotto pieno di polaroid colorate con i pastelli ad olio
È l’unico modo per avere la meglio sul tempo
Dargli un po’ di colore per farlo sembrare per lo meno presentabile al giorno dei nostri matrimoni, davanti alla fonte battesimale o nei grandi ristoranti invasi dagli asiatici dove c’ingozzeremo come cinghiali perché distrutti dai luoghi comuni, dalle antiche usanze, dall’apparire meno sudici davanti a un piatto di aragoste lavorate con kerosene finissimo
Il tempo che stupra le nostre cellule
Il tempo che stupra le nostre mogli
Il tempo che suonerà il pianoforte il giorno della nostra morte
Il tempo che si occuperà degli addobbi floreali, della funzione religiosa ma soprattutto delle offerte di chi sarebbe rimasto volentieri a dirigere il traffico tra Saturno e Giove evitando intasamenti per i retroscena delle future migrazioni della massa dai nervi esauriti
Il tempo vicino alla mia nonna novantenne
Il tempo sulle depilazioni all’inguine
Il tempo sui miliardi di euro stipati nelle banche degli atomi scissionisti, perbenisti, assenteisti, rotti in culo, con i loro cristi a fissione nucleare, sui muri delle centrali, in piazza fontana, davanti alla stazione di Bologna, nei cieli di Ustica, davanti a San Pietro liberata dall’uranio impoverito
Ester è morta di overdose una settimana fa
Trovata gonfia, aerostatica con mille proscioglimenti, con mille prescrizioni infilzate nelle esili braccia da livida marchettara
È morta nel silenzio del nostro tempo
Neo cadavere tra l’osteoporosi di mia nonna novantenne
Occhi scintillanti sul lembo dei nostri cuori
La conoscevi anche tu Giorgio la nostra amica Ester
Anche se faceva i pompini per una ricarica telefonica era una nostra amica
Veniva ad ascoltarci quando sprofondavamo nel fango di rum e tequila per sentirci più vivi nonostante le falene morissero commosse dall’algebra dei nostri bicchieri uccisi da un incontinenza neuropsichiatrica
Gran bel pezzo di donna
Occhi grandi come le paraboliche del mio vicino
Ma a cosa è servito tutto questo se dorme tranquilla sotto un metro di cemento e petali di rosa incastonati in marmi di bassa qualità?
Fa freddo fuori
L’estate ha mollato i suoi ormeggi
Le olimpiadi sono finite da un pezzo e la giornata non è stata per niente facile
Come del resto niente è facile da trent’anni a sta parte
Ho comprato una macchina nuova te l’avevo detto per caso?
Con quella vecchia ho fatto un gran falò davanti ad una pattuglia di domestici pubblici con poco interesse per la cultura
Dicevano che andava collaudata un anno fa

Ho finito di leggere Zola finalmente
Stasera posso andare a dormire tranquillo senza questo peso
Ho molti sogni da uccidere prima dell’alba
Avrò una figlia per diventare vecchio tra non molto
Ho avuto anche di che scrivere stasera giusto per sentirmi meno malinconico, meno apatico, meno stronzo, meno perdente, meno fottuto da mille alibi esistenziali che ci dividono e continueranno a dividerci, perché il tempo è un grandissimo porco, la marijuana non funziona più, le civette stanno per cominciare il loro concerto ed io sarei veramente di più con il mio maledetto cuore.


Lo stupore rosso

Lo stupore rosso, un nuovo mondo di schiavitù
Israele aimè dannata, uomo senza alcuna virtù.
Fragranze cinesi per le strade di babilonia
angeli alla deriva come chiazze di posidonia.

Il mare triste canta motivi di piombo e uranio,
la solitudine dei marinai, il cielo bianco cranio
la tempesta avvizzita dall’ombra del nemico
ancora una notte con il suo amore lubrico.

Dittatori con lingua di falce e mani a martello
sondano spazi per inerzie da mantello
stringendo il cappio dorato agli dei occidentali
ai loro meccanismi, ai loro minerali.

I pesticidi della canna da zucchero uccidono
lo spirito peruviano e il tragico abbandono
dei diseredati vaga, in cerca di redenzione,
oltre le multinazionali e i loro film d’azione.

Poco savio Nixon ad aprire le porte all’oriente
come cani rabbiosi loro, il traguardo a mente,
per arrivare nei semi di granturco americano
per saziarli a dovere, per stringerli in una mano.

Il piombo per travestire di pelle una bambola
liquami, capelli defunti, armonia di una setola
che tira a lucido le ossa dei fanciulli sdentati
ossa di grandi nazioni, ossa dei loro mercati.

Il salasso obbligatorio, purganti per gli intestini
intasati da desideri incolti, altezzosi principini
a piangere lacrime di vinaccia per un dispiacere
inspiegabile, per ricomprare l’anima dalla cenere.

Lo stupore rosso, incontrastabile medusa
lo sguardo tenebre mentre la notte s’ammusa
con brulicanti maledizioni e pupille di civiltà
etiche degradanti e claustrofobiche oscenità.

Cristo lontano dalle litografie dei grandi ruscelli
dagli enormi cetacei, dai loro melodici squilli,
dall’impotenza del mare malgrado il suo lignaggio
dal suo autoproclamarsi, fin qui, unico saggio.

E sgorgano dalle vene della terra obelischi neri
sgorgano dalla volontà dei nostri mali austeri
incontrastati, incontrollabili, senza alcuna pietà
senza paura dei grandi giudizi quando tutto finirà

sgorgano infilzando le madri nelle grandi miniere
sgorgano a dar man forte a orrende chimere
mostri generazionali che incendiano il cuore
di civiltà frenetiche, di politicanti senza onore.

Le strade sono piene di piccoli fuochi d’elemosina
i solchi autostradali nelle pallide mani di resina
madri guardinghe su gli ultimi conati autunnali
le barbe incolte, la violenza, i primi stati febbrili

d’un gennaio a cospetto d’un capitalismo alcolico,
proprietario, ambizioso, sepolcrale, metodico,
ruspante come il pollo ballerino delle grandi insegne
luminose, brillanti nello spazio fetido delle fogne

appena sotto i grattacieli della grande creazione
con lucernari per intravedere la trasformazione
dell’ozono come il buco del culo di una puttana
per ascoltare lo spazio con i suoi sonagli da gitana.

Opere imperiose per stupire gli dei debosciati
clamore di popoli, vittoria dell’oppio, dei suoi derivati,
artifici d’eleganza, enigmatici accordi, plumbeo sole
sulle correnti assolutiste, sui grandi imperi di sale,

sulle avanguardie dagli antichi prospetti monastici
sul poliuretano dominante, sui lamenti avveniristici
di una terra derisa, fatta a pezzi come carne tenera,
ormai amante della morte, selvaggiamente in collera.


Valzer del Peloponneso

E se il mio cielo
avesse sfumature porpora?
E se dalla lontane pleiadi
i miei desideri si avvicinassero
ricoprendo Selene
d’un argento vivo?
Forse tutto brucerebbe
sulle sottili ciocche
del divino Elio
ardente cosmonauta
nei glossari dell’universo.
Persefone che giaci alternando
le tue cosce e i tuoi umori
quale male mi avvolge
quando il tuo canto
si fa sempre più vivo?
Dall’oltre tomba mi maledici?
o dall’oltre tomba
mi hanno già maledetto?
Grossi punti interrogativi
Vagine di domande
Nike quali destini s’accoltellano
sull’oblio delle mie cellule?
Quanto vorrei che le mie domande
non arrivassero a quello svincolo
posto in prossimità
dell’autostrada dell’alcool
rotta perpendicolare
all’asse di una bottiglia rossa
che danza dionisiaca
sul mio capo granitico.
Quanto vorrei che i miei occhi
si unissero in un ciclopico
progetto di salvezza
senza che erinni spregiudicate
mi maliziassero
con la loro collera.
I nervi tesi
come fili di ferro
s’intrecciano formando
dei diademi
di attrazione ingiuriosa.
Benedetta sia la donna
che un giorno saprà avvolgermi
tra le sue gambe di nardo.