IO E LA MIA CUGINETTA.

Ora non ero più isola , ma territorio intercomunicante con l’esterno , attraversato da un orizzonte infinito di esperienze diversificate , dove si metteva in atto una spartizione ed una distribuzione equa di spazi fisici ed interiori , che affermavano i diritti e i doveri dell’altro . Giorno dopo giorno superavo i confini del limite individuale , oltrepassavo gli ostacoli dell’egoismo , abbattevo i muri del particolare fino ad entrare nelle zone , solo poco tempo prima , invalicabili , che dal chiuso del mio egocentrismo si aprivano verso aree poco praticate di altruismo ed interscambio emozionale .
La geografia del mio animo e del mio cuore si delineava seguendo nuovi e sconosciuti percorsi di consapevolezza . Intorno , l’infinito dell’umanità , dove non esistono riserve e limitazioni mentali e tutto muta . Lì , talvolta , l’impossibile si realizza in un divenire comune , ampio , condiviso dove si uniformano scelte , non più solo egoisticamente univoche .
Piano , piano non percorrevo più i sentieri tortuosi , stretti , solitari dell’infanzia , ma intraprendevo strade aperte che si intersecavano con il vissuto degli altri .


AL TORRENTE.

Vicino alla nostra casa , c’era un torrente che in primavera , allo scioglimento delle nevi , prendeva vita e si animava . Il suo vigore però non sempre resisteva alla calura dell’estate . Piano , piano perdeva acqua fino ad asciugarsi completamente . All’inizio della nostra lunga vacanza , solitamente lo trovavamo secco , assetato , inerme e silenzioso , privato della sua allegra fisionomia . Ma per fortuna bastava un temporale o un acquazzone improvviso a rianimarlo . Allora lo sentivamo scorrere allegramente tra un sasso ed un altro , libero , in una discesa che trascinava tutto in un gioco spensierato e senza sosta . Quel suo mormorio continuo , come canto melodioso , faceva da contrappunto al frinire dei grilli e delle cicale ed accompagnava le nostre notti calde che odoravano di fieno e di natura in estasi . Di giorno era confuso , quasi impercettibile ; altri rumori ed altre voci dominavano . Ma ogni tanto il torrente riproponeva la sua voce a chi , nel frastuono , sapeva ascoltarlo . A tratti erano sussurri lievi , come alito di vento , poi sonorità incalzanti , provocate dalla velocità dell’acqua contro i sassi .Mamma lo sentiva e con il sollievo di chi non ha atteso invano , con slancio liberatorio diceva :<<Sentite come canta ! E’ il momento giusto per andare a lavare>>.Allora ci si incamminava e poco dopo , si arrivava al torrente . Preso posto , noi bimbe ci accomodavamo sulle radici scalzate di una gaggia folta , al fresco della sua ombra e guardavamo il torrente che scorreva instancabile e chiassoso tra sassi e rami , strappati chissà dove. Ci guardavamo intorno , incuriosite , ma eravamo attratte soprattutto dall’acqua , dai suoi movimenti e dai rumori diversificati che emetteva . Il suo scorrere continuo , non era mai monotono , uguale a sé stesso . Se pur ripetitivo , si modificava e si diversificava costantemente . Un salto improvviso , un mulinello inaspettato variava inspiegabilmente per brevi tratti la sua direzione . A quel punto gruppi di sassi , prima scoperti , venivano impetuosamente sommersi e nascosti alla nostra vista , mentre piccoli rami galleggianti finivano in secca sull’argine .Tutto si accompagnava a gorgoglii repentini che cambiavano la modulazione della sua timbrica , sorprendendoci . Noi oziavamo beatamente , godendoci la pienezza di quello stato di grazia . Il caldo afoso delle giornate estive , lì era schermato dal fogliame di una sequela di piante selvatiche , cresciute spontaneamente da tempo immemorabile in quel terreno favorevolmente umido , lungo le anse del torrente . Il sole cercava a stento di farsi strada tra le foglie e appena un soffio di vento le smuoveva , ci raggiungeva con un raggio abbacinante che ci faceva stringere gli occhi , infastidite . Immediatamente pensavamo di spostarci alla ricerca di un’ombra più sicura , ma già il sole era stato allontanato dalla copertura degli alberi che avevano ritrovato la loro stabilità respingente . Stavamo di nuovo bene e potevamo respirare tranquillamente senza l’interferenza del sole , il fresco che arrivava dall’acqua in movimento . Certo , altre sensazioni mi trasmetteva quel luogo , quando con me non c’era la mia cuginetta . Dopo i primi entusiasmi e i piacevoli stupori , mi pervadeva un senso improvviso di estraneità e di noia . A lungo guardavo il fluire dell’acqua e l’effetto del lancio delle pietre nel torrente ; con pazienza aspettavo un improbabile passaggio di pesci , poi mi accontentavo di osservare una foglia che caduta nell’acqua , senza scampo andava alla deriva . Ancora , m’interessavo a grossi rami rotti che pendevano dagli alberi e di traverso , in mezzo al letto del torrente , impedivano il corso regolare e obbligavano ad un reflusso o ad un salto dell’acqua . Alla fine però non sapevo più cosa fare . Allora guardavo mamma che indaffarata portava a termine il suo lavoro ed aspettavo con rassegnazione di ritornare a casa .


LA LAVANDA

Delle mie estati di bambina , in campagna , mi porto dentro tanti odori , ma è il profumo della lavanda che persiste più di tutti . S’immedesima addirittura con la mamma , che odorava lei stessa di lavanda , in una sorta di traslazione olfattiva . Al suo passaggio si creava un alone odoroso che sapeva di fresco , di pulito con appunto le caratteristiche dell’essenza penetrante e lieve allo stesso tempo , di quel fiore , al tocco leggermente ruvido . Nelle tasche dei suoi vestiti non mancava mai almeno uno spigo di quella pianta aromatica che portava con sé atmosfere odorose di paesi affacciati sul mare . Era quello un modo economico di profumarsi , negli anni in cui le fragranze delle profumerie costituivano un lusso per pochissimi privilegiati . Ma anche la casa , per la verità, odorava di lavanda , che si imponeva soprattutto nella camera da letto . Dall’armadio e dal comò , si sprigionavano effluvi piacevoli che si diffondevano , come riflesso della rigogliosa natura circostante , ogni volta che si apriva un’anta o un cassetto , e in quella stanza , per tutto il giorno , stavano in sospensione fino alla prossima apertura dei mobili . Non solo : anche durante la notte,quell’odore di lavanda si spandeva nel letto ed accompagnava il nostro sonno , avvolgendoci . Le lenzuola appena cambiate infatti profumavano di buono , ma soprattutto di lavanda : ne erano state permeate durante la sosta nell’armadio , ben stirate , prima dell’utilizzo . Per mamma era diventata abitudine raccogliere spighe di lavanda, nel pieno della sua maturazione e sempre in grande quantità . Le sistemava con cura dentro piccoli sacchetti vuoti di confetti , dati a ricordo di prime comunioni o matrimoni e che lei, come formichina previdente , aveva conservato. Con cura li chiudeva con nastrini o con cordicelle destinate ad altri scopi . Poi una parte li appendeva sulle grucce nell’armadio , l’altra , li ordinava tra le lenzuola e gli asciugamani . Ben collocati , gli ultimi venivano disposti nei cassetti del comò , in mezzo alla biancheria che sembrava sbocciata tra le spighe odorose della lavanda . Ne portava anche in città per distribuirne nei vari armadi e nei cassettoni a garantire la salvaguardia degli indumenti e della biancheria , come il più naturale degli antitarme , a fianco a granelli di pepe , usati provvisoriamente . Quello però era anche un modo giustificato di trasferire in città un po’ della sua terra. A quello scopo era riservata l’ultima raccolta della lavanda , quando la casa di campagna era già stata inondata dall’allegria segreta dei piccoli , colorati , bouquet nascosti . Ovunque , nei dintorni della casa di campagna , si vedevano grandi cespugli di lavanda :coloravano l’aria del violetto intenso dei loro piccoli fiorellini, disposti ordinatamente a spiga , quasi a voler racchiudere e a trattenere quei piccoli chicchi profumati che espandevano nell’aria odorose sensazioni gradevoli .Nessuno restava insensibile a quell’intenso profumo , che mescolava essenze erbacee , blande , a quelle forti , assolate ed arse , di vegetazioni cresciute tra rocce lontane , intrise di salino . Un fiore semplice la lavanda , ma forte , resistente ad ogni più disparata condizione . Un fiore per tanti aspetti simile a mamma per la sua bellezza naturale e per le tante ed insospettate risorse di sopravvivenza . Un’identificazione scontata per le analoghe caratteristiche e a conferma , poco tempo fa ,un ritrovamento casuale e significativo. Nella tasca di un vestito estivo di mamma c’era una spiga di lavanda , secca e spezzettata , dimenticata chissà quando o lasciata volutamente a profumare un tempo inarrivabile del suo futuro , a testimonianza forse di un’affinità che continuava oltre il limite della vita . Certo il suo profumo era labile e a stento riconoscibile , ma a tratti riprendeva vigore e si imponeva inconfondibile a rinverdire la memoria olfattiva .