Il padre di un santo

Francesco,
ricordo i sogni, i progetti,
che confusi e incessanti,
cadenzavano i giorni ferventi,
nell’attesa
di te nato, di te vivo, di te futuro mercante.
Le mie mani, oramai paterne,
ti hanno racchiuso, abbracciato, accompagnato e
lasciato.
Ti guardavo figlio mio, fiero mercante,
col profumo dei traffici francesi sempre addosso,
andare a cavallo, coi tuoi capelli mossi e tormentati
come un ruscello impetuoso e giovane
che deve farsi strada tra le rocce.
Accorciavi al galoppo tutti gli istanti,
facendo sospirare tutte le dame d’Assisi.
Chi sei ora, figlio mio?
Nudo, come sei stato generato,
ora mi hai rinnegato.
Le vesti che mi porgi
sono un fastoso sudario
di un figlio che non riconosco.
Più di infiniti ardenti tizzoni
le nudi pareti di roccia ora
nella meditazione
ti scaldano il cuore e i geloni.
Figlio non più figlio,
il mio corpo lindo e profumato di seta,
invano ricopre
un cuore perso e marcito
di me, padre fallito.


 

A C.

Relativisti della morale
che nulla vedete mai di male
Captatio benevolentiae
per damnatio animae.
Come il piombo al calor si piega,
così la vostra coscienza nell’amor proprio annega.
Ciechi, non vi accorgete
di un’anima che muore
e la seppellite
nascondendo con lei la vostra vergogna.
Virtù vostra, certo:
la Menzogna

La festa del Paradiso
Da remote terre di sole
Isabella sei arrivata
e l’Aragona si tinge di colori non più tuoi.
I celesti panni ricoprono
le tetre mura castellane
e celano il tuo destino
d’apparente regalità.
Sottile giovinezza carezzata dall’ostro
tra staffili di seta e selle dorate
ti ritroverai vedova
disarcionata
nuovamente straniera
nuovamente esiliata.


 

Supernova

Davanti a questo chiaro di luna astrale
un grande vuoto mi assale
al pensiero di me e te soli
inermi
inutili
mente i nostri occhi si posano su qualcosa che non conosciamo
qualcosa che noi chiamiamo stelle
depositarie dei nostri desideri
e che nient’altro sono
che palle infuocate senz’anima
pronte ad esplodere
nella totale indifferenza
dell’universo
che non ha suono,
non ha luce, non ha spazio
non ha tempo.
Ma noi lo abbiamo:
viviamo.


 

Big Bang

Prima di quell’istante,
prima di quel momento
quando non esisteva ancora il tempo
c’era qualcosa che non si attaglia
ad alcun nostro mortal concetto.
I miei versi
alla mia mente fan da timoniere
e la conducono sul mare della riflessività
per esprimere lo sgomento
che ruggisce
al sapere che l’amore che ci scambiamo,
quello che costruiamo,
è destinato a sparire
perché non ci sarà coscienza
a rendere esistente
ciò che è pensante.
E intanto continuiamo a girare.
Big
Bang


 

Gelso Moro

Fatale serpe
che il Moro stringi
annientata sei
dal morso velenoso di un Giglio straniero
Passi insolenti, bestiali e superbi
percorrono adesso le mie vie,
il non più mio Castello.
I bei nodi e le fronde di gelso,
l’Ultima Cena di nostro Signore,
il gran cavallo,
che tu Leonardo facesti per me,
ora a quale gente faranno da corona?
La libertà è perduta, tutto è perduto
E la mia anima scalpita dannata,
disarmata e nuda
senza sepoltura
Addio petrarchesca colomba,
Addio aquila,
Solo il profumo del Gelso
di me
forse
rimane.


 

Il nostro cammino

Sul farsi stellato della sera
nel mio pensiero si radunano
le scarpe
che hanno percorso
le strade e i sentieri della
mia vita.
Passi recalcitranti e pensierosi,
passi liberi
passi reduci, passi decisi e passi
timorosi.
Passi audaci e passi giovani
passi solitari
e passi sognanti.
Passo su passo ho costruito la mia vita
ed ora
raduno le mie scarpe
consapevole
che per il prossimo
nostro cammino
ci servono le ali