PECCATO

Peccato
sembravano tante
le note da dire
tu da lontano
venivi
con sogni di luce
raccolti
sul mare.
Assurdo
ritrovarsi normali
sprecare coraggio
in circoli vuoti
di percorsi già noti
raccogliere a stento parole
non fragili sguardi
o cenni di fuoco.
Scontato
tornare se stessi
mai più falchi
in volo
conchiglie
al tramonto
riflessi
di luce.
Inutile
sapersi solida roccia
di durezza
immutata
abitudine
certa
rinuncia
alla lotta
che
era
futuro.


 

QUANDO LA COLONNA SONORA ERA CLAUDIO BAGLIONI

Era l’estate 1974. I j-box ripetevano: ”Accoccolati ad ascoltare il mare…”. Dopo gli esami, gli amici ed io preparavamo il viaggio in Jugoslavia, all’isola di Cherso. Il mio ragazzo –detto il quasi primario- studiava. Esperto di medicina e di vita, intuiva il motivo dei miei esami dati e dei suoi no: “Vuoi mettere, architettura con medicina?” “Perché non te ne trovi un altro? Mi suggeriva, logica, la mia amica Sara. Io mi sentivo inadeguata. In quegli anni di capelli lisci, seno zero e occhioni tristi, con la mia quarta di seno, i capelli ricci e lunghi, il sorriso pronto, anche se ero triste da far schifo, a chi potevo piacere? “Tagliati quei capelli!” Suggerivano la mia mamma e il ragazzo, come in un incubo! Avrei pianto, ma non ne ero capace. La mia fortuna era il gruppo: Renato e Umberto, iscritti a Legge e Sara, la ragazza di Umberto, filosofa, iniettavano ottimismo: “Le soluzioni esistono, credici!” Alla partenza, la 500 blu di Umberto manteneva a stento l’assetto sulle ruote. I ragazzi sudavano nello sforzo ciclopico di stipare i bagagli. Sara ed io, nello zainetto, celavamo l’abito lungo e i jeans a zampa di elefante, quelli che occorreva sdraiarsi per chiudere la cerniera. Pronti, si parte! A Venezia, Umberto offre un anello a Sara e sussurra “Sei bellissima!”. Gli occhi luccicano. “Sei bellissima anche tu”. Sorride Renato. Non gli credo, lo dice perché siamo amici. L’isola ha rocce a picco sul mare e profumo di timo, si ride di nulla e Torino è su un altro pianeta, che non è più il mio. La meta è la piazza di un curioso paese, arrotolato sul porto. Esco rattrappita dalla 500 e un tale mi apostrofa: “tu chi sei? Io sono Francesco”. Balbetto: “io…sono amica di Sara” e lui riparte: “Vieni, ti offro un caffè, qui fa schifo, ma c’è poco da scegliere il bar è uno solo!” Lo seguo come uno zombie e quello incalza: “Quanti anni hai? Venti, ventuno?” Annuisco a ventuno. “Io ventitre, ieri si è sposato un amico della mia età, ma prima dei trent’anni non mi sposerò mai e alle storie estive non ci credo!” Vorrei sapere se è stordito per il caldo, ma arriva la frase bomba: “Sai che hai dei bei capelli?” Dice altro, ma io non sento più. Annaspo: ”Ecco, mi prende in giro!” Piangerei. Cerco dignità, ma arriva una bionda spilungona jugoslava, capelli lisci, seno piatto e se lo porta via, come se fosse suo. Corro da Sara per piangere davvero! La traditrice attacca: “ma sai che sei ridicola? non ti sei accorta che tutti ti fanno la corte?” “A me?” “Si, certo, a te! Dai, vieni in spiaggia!” Mi tuffo. Francesco mi segue. Nuota a bracciate profonde: il mare gli appartiene. Mi affianca e mi confonde: “Ti tuffi bene, Sirenetta, sei bellissima! ”Vorrei dirgli di non esagerare, ma gli altri sono già lì. A cena, in trattoria, il gruppo è al completo. Francesco è vicino alla bionda, l’abbraccia, ma guarda me, io guardo lui e lei punta noi. Parte la musica: “E tu, fatta di sguardi tu e di sorrisi ingenui tu…ed io” La smilza si alza, seccata. Mentre riordiniamo gli sguardi, qualcuno mi informa: ”è arrivato un tizio in Vespa e dice di essere il tuo ragazzo!” E’ proprio lui, ahimè! Lo vedo come gli altri: noioso e pieno di sé, mentre narra la sua avventura. Raggiungo Sara, ho il maglioncino a collo alto, per scaldarmi pelle e cuore. La vacanza è finita. “Dai, coraggio –intuisce l’amica- nessuno può importi ciò che non vuoi!” “Tutti al molo, per il bagno di mezzanotte!” Urla Francesco e mi spinge nella sua FIAT 124 bianca, dove ci infiliamo in nove, senza fiato! Sul molo, accovacciati, Renato intona alla chitarra: “nell’ombra della sera poche stelle…forse sei l’amore.” Mi tuffo, per non sentire. Qualcuno mi raggiunge. E’ un bacio salato, dolcissimo. Le sigarette sono luci fioche, come stelle. Lui sussurra: “devi andare, Sirenetta!” Poi aggiunge promesse, che so non manterrà: “vedrai, tutto si aggiusta!”. Risalgo lucida. Domani parto, non rivedrò più Francesco, ma lascerò il medico. La storia è finita, anzi, per me non è mai cominciata. L’indomani, la 500 è pronta per i saluti. C’è bora, indosso il golfino blu. “Togliti quel maglione! Scherza Francesco, “mi fai caldo solo a vederti!”. Gli passo un bigliettino, con il numero di casa. Gli occhi verdi sorridono. In viaggio, scarto un cioccolatino, che contiene certezze: “un bacio può trasformare un addio in un arrivederci”. Sara mi abbraccia: “le storie estive sono errori certi, ma restano nel cuore come bei ricordi!”. Un millennio di istanti senza noia è trascorso. In una spiaggia di un’altra isola, è il 30 agosto, anniversario del mio matrimonio. Uno dei figli è alla chitarra “Io che cosa mai farei /se adesso non ci fossi tu/ ad inventare questo amore…” Musica è magia! Ci avviciniamo, protetti dal buio. Mio marito sorride. Forse ricorda, come me, che aveva l’età del figlio, venticinque anni, quando ci siamo sposati! Mi illudo non sia stato un errore, se questa sera mi tende la mano per un giro in canoa, a contare le stelle. Al riverbero della luna, Francesco ha la sagoma lieta di un ragazzo.


 

GATTI E AMICI

Flipper era un gatto speciale: equilibrato, intelligente e originale, durante la gloriosa vita di felino intero e libero, nella quale ci fu presenza amica, mio marito ed io ricevemmo più complimenti dal veterinario per lui che dal pediatra per i figli! Lo scovammo già grandicello, nascosto sotto un cespuglio, malridotto, in un’aiuola fra auto veloci. Col musetto proteso verso l’ignoto, stava immobile, come in attesa. Lo lasciammo giocare coi bimbi, uno e quattro anni, per osservarne l’istinto selvatico o mite e capire se fosse possibile tenerlo o sistemarlo in un luogo sicuro, dopo averlo rifocillato e curato. Il gattino superò l’esame a pieni voti, compresi quelli del veterinario, che lo guarì dai suoi tanti mali e lo vaccinò per convivere coi bimbi senza problemi.

Un mese dopo, abitava con noi un felino di tutto rispetto: il manto brillante nero e marrone, gli occhi verdi vivaci, l’indole mite, è la gioia dei figli, che lo chiamano Flipper, perché è giocherellone, come l’omonimo delfino. I bimbi, entrambi portieri, curano l’allenamento del gatto con le palline di carta argentata e lo considerano a tutti gli effetti, con suo pieno consenso, il terzo fratello peloso! Flipper si adegua ai loro giochi. Si sdraia sui libri per aiutarli nelle divisioni, para con sicurezza anche i pezzi del Lego e segue i cartoni animati, acciambellato fra loro sul divano. A due anni, esibisce la testa poderosa, lo sguardo acuto e l’andatura solida da felino dominante. I vicini insinuano che sia lui a ucciderei i loro gattini. Non indaghiamo circa la natura da Dottor Jekyll e mister Hyde di cui lo si accusa. Ipotizziamo un sosia feroce, e la verità rimane incerta. E’ vero però che, nessuno, se non noi di famiglia, può accarezzare Flipper. L’amore corrisposto per la bella Nina, gatta nera e sinuosa, ci regala numerosa prole, tutta rigorosamente nera e marrone! Col tempo, le lotte con il rivale, il terribile Rosso Selvatico, si fanno aspre, le ferite ardue da curare ed è evidente che i miagolii minacciosi non bastano più per risultare vincitore. A dieci anni, in una lotta cruenta, Flipper perde un occhio. Continua però a girare con piglio fiero, passo felpato e sicuro e mai rinuncia alle sue parate fenomenali!

Una sera, mentre si avvicina a casa dalla stradina in salita, lo scorgo mentre lancia in alto con la zampa un mucchietto informe grigio, che trascina in avanti aiutandosi col muso. Incuriosita, scendo e vedo che lo straccio ha occhi e baffi e, forse, natura di gattino…orrendo! I figli scelgono il nome: Eike come Eisenhauer. “E’ l’unico possibile, povera bestia, un protettore importante gli serve proprio!” Sentenzia il figlio grande. ”E chi meglio del mitico Eike?” Il ragionamento ci pare ineccepibile. E’ poi Aiki e non Eike, per riguardo minimo alla Storia! Meglio sarebbe un miracolo vero e che il veterinario lasci ogni impegno per curare solo il gattino!

Sarà il nome o le cure… fatto sta che Aiki torna presto con noi, o piuttosto con Flipper. Il vecchio gatto solitario, che consente al giovane di mangiare dalla ciotola solo per secondo, si lascia amare, senza riserve. Tiene a bada Aiki con un’ inequivocabile zampata e lo squadra talora con sufficienza, anche se è già più grosso di lui, quasi a dire, come Socrate ad Alcibiade: ”non penserai certo di barattare la mia saggezza e esperienza con la tua bellezza e giovinezza prive di conoscenza?” Scherzi a parte, i due sono sempre insieme, come amici! Ora è Aiki a fare da battistrada e ad aspettare l’anziano, che procede lento.

Un giorno, Flipper mi comunica la sua morte. Si sistema in braccio –non lo fa mai- e miagola con intenzione – poi ronrona piano: “Mi spiace, amica mia, non ce la faccio più, vedi tu, se hai qualche idea!” Il veterinario piange con me: non ha un’altra magia. Suggerisce di lasciarglielo, se non me la sento di riportarlo a casa. Sicuri che non soffra, lo sistemiamo nella cuccia, dove lecca i fegatini di pollo e se ne va in poche ore, sereno.

Aiki sembra rassegnato, esce e torna, ma è insofferente alle carezze e al gioco. Dirada le visite. Riappare una o due volte all’anno, gira per casa e annusa, come per cercare Flipper e sincerarsi che non sia tornato. Infine accetta il cibo e riparte.

Aiki è stato l’unico gatto a mortificarci con l’abbandono. Non credo sia stato disamore per noi. Forse la ciotola piena e il nostro affetto non gli bastavano. Conosciuta la vera Amicizia, solo la caccia, la solitudine e la libertà senza vincoli gli restituivano ormai il sapore della vita.