Lunga è la notte

. . . notte-isola, i vetri bagnati di questa estate, che sembra esser nata malata di lontananza, ripetono l’interminabile nenia della solitudine
. . . notte-prigione in cui la luna, con la stanca rassegnazione di un vecchio faro, spreme dall’oscurità parole discontinue
Fuori la statica uniformità dell’abitudine: qualcosa di neropallido che, come rampicante, s’appropria della mia finestra; qui un tempo rigido scolpito nella noia, e un orologio con la sua feroce attitudine alla nostalgia.
La mano sfila una foto, immagine di chi non mi appartiene, e la solleva: un lampo di vitalità infantile in quel sorriso, fiore immacolato di magnolia; i suoi denti velati da un sospiro, come perle confuse tra le labbra, imprigionano il magnetico silenzio di ore inconcluse . . . ancora, guardando indietro, brilla nel ricordo il profumo perso delle dischiuse rose di sandalo che le ornavano i seni, ancora il candore di quelle sottili dita di margherita, che la distanza ha guantato di nera indifferenza.
. . . notte-destino in cui ogni istinto, come orizzonte di tempesta, stregato si ripiega su se stesso: lungo, amica mia, ora che ogni passo ci allontana, questo viaggio ostinato, inutile questa febbre di sangue e desiderio ora che il tuo nome, immobile e improvviso, mi giunge senza voce
Se solo tu lo chiedessi saprei, sedendo indifeso ai tuoi piedi, mordere il silenzio raccontando incanto e condanna del primo incontro: potrei dirti come, nonostante lo stridio di treni e viaggiatori, gli occhi, smarriti nella prima luce del tuo sorriso, si aggirassero stupiti su quel viso di donna . . . vorrei solo riuscire ad arrampicarmi, di stella in stella, con il peso del mio sogno doloroso, sino a farlo svanire; per poi versare nel mare di questa notte-conchiglia ogni più bizzarra fantasia, attendendo che un’onda, sfiorandoti il seno, possa posare la sua voce segreta nel tuo sonno.

 

 

 

Desiderio

Se non l’avessi ucciso con un lungo monologo sarebbe stata la sua forza d’urto a togliermi la vita, con le sue incursioni notturne e gli agguati dallo specchio.
Nella regola inclemente del suo gioco ogni mio movimento vitale era preda del suo ventre, mi chiamava per cibarsi della mia vita di servo : la vista immersa nelle sue immagini ingannevoli, l’udito atrofizzato, il tatto precluso, olfatto e gusto confinati nel suo utero.
Ho dovuto farlo, prima che le sue dita sigillassero con cura ogni finestra : non potevo far altro che annodarlo con frasi incompiute, il cui senso imperfetto, come inesorabile rampicante, si rivelasse cappio definitivo . . . se avessi taciuto le sue gambe di seta e porcellana sarebbero divenute pareti di corallo incandescente, e il suo rossetto avrebbe cancellato indirizzi e lettere.
Nessun’altra scelta m’era concessa, se non sfiorare i suoi specchi girandogli intorno, scivolando dentro quelle visioni come un sicario, piantando nel suo seno liscio i miei aguzzi soliloqui, per poi sfuggirgli tuffandomi all’indietro . . . tornando a tentare un colloquio, nel finto letargo alle soglie del giorno, con quei sensi precipitati e perduti nel suo rosso cratere.
Così è stato : ammetto d’aver ucciso, e come è giusto, anche se a questo debbo la vita, non mi attendo clemenza . . . chi mi passa davanti vede il superstite di un paese invisibile, abbandonato sul marciapiedi, solo con le sue parole.

 

 

 

Ritratto

Non saprei dirne la bellezza, evasiva eppure traboccante, tale da farti sentire sull’orlo di un precipizio: in precario equilibrio tra una pace antica ed una incontenibile solitudine.
Probabilmente a stregarti è l’inspiegabile intensità del suo viso, una tela sottile sulla quale la tenerezza, pur contornata da pennellate di fiera spontaneità, si tinge di diffidenza: ad imprigionarti gl’occhi è un ovale di tiepida grazia su cui, con una prudenza che sfiora il timore, scorrono, alternandosi a notti solenni, giovani sorrisi riservati.
Forse tutto è nella luce minerale dei suoi occhi, difficile da sostenere, che sembra attraversarti come una frustata di gelido vento, per poi trasformarsi, improvvisa, in esplosione di colori impossibili da trattenere.
O forse è la sua voce, quello stretto sentiero che talvolta va inerpicandosi per picchi vertiginosi, lasciandoti disorientato in una lontananza di spesso silenzio; quella stessa voce elastica di note gentili e ammalianti, quel parlare, a tratti interrotto, in cui percepisci l’autorità a fior di labbra della donna unica, alla quale non puoi che consegnarti.
Se solo avessi il tratto forte e sapiente di un grande pennello potrei ritrarre un’anima che fugge inseguendo il suo passo saldo e leggero, troppo simile al “viaggio” : quel passo lento, a volte maliziosamente impreciso, di piedi infallibili nella meraviglia.
Ma come ritrarre in un’unica immagine i silenzi avvolgenti scaturiti da angoli intatti del suo essere, gli ostinati distacchi pervasi dal suo aroma di sandalo, i sorprendenti risvegli delle sue mani e il fruscio di marina che ne accompagna ogni gesto . . .
Tutta la sua figura, in cui il rischio, dolce, è di perdersi, è generosa abbondanza di particolari unici, quasi una spirale di infantile candore, inquietante bellezza, dolore e lotta senza riserve, abbandono ed astuzia; tutto a costruirne il segreto carattere : quella personalità che ti coglie di sorpresa e non sai affrontare, da intuire e imparare, così fatalmente celata dalle sete di un’altera femminilità.
Dovrei, ma non ne ho l’arte, rendere la vellutata armonia di un personalissimo mosaico dalla rarefatta luminosità, impiegando raffinati colori impastati di memoria destino e devozione alla vita . . . dovrei, se solo questa pungente nostalgia mi liberasse le mani.