ACQUERELLO

Cielo plumbeo
Sferzano il vento e la pioggia
vecchi muri di case addossate
ad un argine
che veglia, eterna sentinella,
un fiume che scorre lento.
Sui contrafforti un grigio gregge
sorvegliato da un cane ansimante
e da un pastore aggrappato
ad un enorme ombrello nero.
San Martino,
con la sua luce sfavillante,
è ormai lontana.
Gialleggia ancora un pioppo
sullo sfondo verde e scuro,
a memoria di un’estate assolata.
Scivola l’acqua silenziosa e inarrestabile,
verso il nulla,
come il tempo della nostra vita.


CORAGGIO!

So che soffri,
ti senti triste,
soffocata da tutto,
non una tregua nella vita
finora,
non una lama d’azzurro
in cielo.
Sorridi per dovere,
ma sono solchi
i graffi sul cuore.

Triste ricordare ora
ciò che è,
ciò che era,
che certo non sarà più.

Tutto sembra vano,
proibiti i sogni,
le speranze
e questa pazzia del vivere.

Eppure vedrai:
verrà l’alba,
col gioioso chiacchiericcio
degli uccelli
a salutar la luce,
in una mattina
tiepida
d’estate.


AMORE?

Ti ho spiato da lontano,
in quella sala d’attesa:
digitavi su quella tastiera
in modo compulsivo,
a due mani,
con pause e riprese.
Fissavi il display
avidamente…

Attorno il via vai frenetico
della vita in viaggio,
all’inseguimento di sogni,
come tu dell’amore.

Nel fervore della chat,
ti ho visto piangere,
in silenzio,
nell’indifferenza sovrana,
senza poter vedere negli occhi
di chi ti distruggeva le speranze.

Uno smartphone non redime
dalle tristezze del cuore.
La connessione totale
non salva dalla solitudine.

Così sei precipitata
nell’abisso depressivo.
E chi ti può dar consigli?
Non io certo,
avido e furtivo spettatore
del film della vita.

Eppure voglio osare:
se in futuro
il cuore batterà,
le vene pulseranno,
il freddo prenderà le tue mani,
insonne sarà la notte,
trasalirai a uno sguardo,
tralascia tutto…
Alza il viso,
fissa gli occhi,
indaga i silenzi,
mira i gesti istintivi,
i segni del volto:
solo così capirai…
che all’amore
gli intermediari non bastano.

E allora ti colorerai,
come un prato fiorito
al tepore
di un maggio
da tempo atteso.


FIORE

Sei nata in luogo solitario,

tra nebbia e argine

e nel cuore ne porti i segni.

 

Silenziosa, riservata,

sei come una gallinella d’acqua:

al primo rumore scappi

tra la folta erba

dei rivali dei fossi.

 

Sensibile ed emotiva,

vibri come un diapason;

sei attenta più all’essere

che all’avere…

 

Defilata, ma mai assente,

mai remissiva,

tieni alta la testa:

stupisce la tua forza interiore.

 

Avresti voluto, da donna,

una vita “tua”,

ma la realtà ti ha chiesto

un’esistenza di rimessa,

sempre a disposizione…

E senza strepito hai accettato

con costanza e coraggio,

magari testardo.

 

Ora sei scomparsa dai miei occhi.

Non vedo,

non posso,

non sento più.

 

Ma se ti trovassi un giorno,

in uno di quei luminosi meriggi estivi,

da pulcino a beccare sull’aia

e d’improvviso il cielo si facesse scuro

e si colorasse di piombo,

ai primi schiocchi dei goccioloni,

fuggi a collo basso sotto il portico:

io sarò là…

 

E passata la bufera,

il sole riapparirà ad ovest,

rosso per il tramonto.

E le gocce di pioggia

brilleranno sui petali

di quel bel fiore

di cui porti il nome.

(10 agosto 2015)


EPILOGO

Grandi vetrate di luce,

profumo di lavanda dai pavimenti,

incantevole palazzo,

ai confini del bosco…

 

Lì ti ho rivisto;

mi hai sorriso

con mitezza,

non un lamento,

risposte evitate,

con ritrosia,

come sempre,

ma lo sguardo

era altrove…

 

Una vita di sofferenze,

gravi lutti

negli affetti più intimi,

un lavoro bestiale,

dall’alba al tramonto,

ad annegare i pensieri.

Unica evasione,

nei rari momenti,

una bicicletta,

per guardare la vita

scorrere lenta,

tra strade sconosciute

che costeggiano i fossi.

 

 

Non hai chiesto tanto,

eppure tanto hai dato.

Ma la tua mente

ha preso il volo.

Neanche i figli

han potuto ancorarti.

 

Sei qui ora davanti a me,

ma ti ho perso per sempre,

mio caro amico

di ingenui scherzi giovanili.

 

Mi par ieri…

Però la vita se ne è andata

e non è stata gloria,

per nessuno.

(3-agosto-2015)


CILIEGIO

Davanti alla finestra guardavi

l’aia assolata, il tuo orto

che curavi con passione

e mille segreti,

ma soprattutto quel maestoso ciliegio,

coperto di fiori ad ogni primavera.

 

Poi un giorno

nemmeno la sedia a rotelle

è bastata più

a tenerti abbarbicata

alla povera casa di sempre.

 

“Sai mamma, là ti cureranno,

qui non hai i mezzi,

poi tornerai…”

 

E così è cominciato il calvario,

ospedale, riabilitazione,

casa di cura, ambulanze,

il vociare indifferente dei portantini,

i sorrisi distratti, di circostanza…

 

Dalle fessure delle tapparelle

rada traspariva la luce.

Ti mancavano i pioppi,

il cielo, l’orizzonte…

e così hai deciso di porre fine

alla tua silenziosa esistenza,

di soffocare l’agonia del cuore.

 

Ma a giugno,

quando il ciliegio sarà carico

dei suoi frutti rossi,

dalle nubi osserverai,

ancora una volta stupita,

la gazzarra degli storni,

la festa dei bambini

che si arrampicheranno,

come sempre…

e un sorriso ti sfuggirà.

(26- luglio- 2015)