L’isola

Abbandonò i libri con le loro parole prigioniere, soffiò sulla candela
e spalancò la persiana ad un viaggio
i bambini avevano piedi liberi nel loro tempo immacolato
simili a torce sulle altalene ubriache di sale
alloggiavano nella sua isola in un’alba eterna
mentre le cipolle ferivano il cielo sensibile
La pioggia è bella perchè non ha vestiti
la fuga dei suoni stringeva in un abbraccio sabbie ferite da bandiere
gli amanti del sole giacevano prigionieri del suolo
le spiaggie mutarono in grandi cimiteri di ali infrante,
scaldate da corpi inermi come letti da amori insani
la porta era aperta e i vestiti uguali quando un tè ci toglieva le ombre
la abat-jour era la luce di un faro lontano, le lettere, aerei caduti sul legno caldo
c’era odore di calze usate e di luna solitaria
il solito bimbo ci spiava come una coccinella prigioniera del vetro
passerà domani a prendere i dolci
ricordati di liberare la chitarra dalla polvere e farle dire la tua anima distrutta
l’entrata al museo del mare era libera,
un dipinto di barche rovesciate che amavano le nuvole
La curiosità è il respiro del mondo e la grazia un film muto
linguaggi inutili si infrangevano su un vetro luminoso di vita e di morte..
La metropoli era un’ Atlantide impotente


Il teatro interrotto

Sulla strada c’era odore di gomma consumata
la città, un dipinto di manichini a caccia di templi
ognuno nel proprio ciao gentile alle stelle
spogliavamo arance nascondendo lacrime nei cuscini polverosi
le solite note uscivano dalla stanza delle lampadine rotte
Una carezza silenziosa dice più delle parole
i cavalli bianchi non creavano più cerchi perfetti, ormai ubriachi
la noia, un fucile carico
solo un piccolo caffè portava l’aroma di giorni ridenti,
il profumo di fragole fresche
c’era un bar sopra il pianoforte, bottiglie gonfie di astri bruciati
mentre scrivevo di cose leggere, altre con abiti di morte

La mia penna è un faro e ogni assenza è essenza del mio canto
Con le mie ferite vi profumerò i deserti, vi darò una preghiera
quando la polvere rosicchia i colori,
la meraviglia in piccole gocce
il baricentro, la misura delle cose

Volevamo inseguire una libellula
ma la nostra carrozzella non aveva ali
un’ altra sigaretta dava bordo effimero alle cose belle
volevo dirglielo: non smettete

Sfilavano le ultime biciclette a colorare le strade
quando nell’aria artificiale di un Grande Silenzio
ripresi il teatro interrotto.


Via Bar Lunare

L’uomo col bastone ascoltava la neve verso il paese
felice di non vedere il male, di sentire solo amore

Un altro un po’ diverso veniva dall’altro verso
sempre contento di non ascoltare
le bocche senza miele, il vuoto della gente,
si incontrarono casualmente

Forse non è strano, si strinsero la mano
a testa alta in una pace enorme
nei loro paesi caldi, senza alfabeti, senza le forme

in Via Bar Lunare

Sapevano scrivere il colore della loro luce
seguivano la voce antica che faceva vedere il cristallo:

“Baciate il dito carico di odio
profumate i vostri nemici con il fiore del perdono
trasformate le vostre bestemmie in favole
svegliatevi dal fetore di sporche isole
la rivoluzione la fa chi è senza peccato
tenete nelle mani solo rose nude
lasciate le pistole negli armadi
la maschera su attaccapanni solitari
ho visto la vecchiaia anche sulla pelle di cera
e la giovinezza brillare su una ruga
una casa è solo un cuore libero a cui non servono chiavi
Baciate il dito carico di odio
sulla sua unghia lasciate l’amore, portategli il mare
custodite la fantasia, la via Bar Lunare”