LEONIA E LO SPECCHIO

Leonia era una donna fine , nonostante facesse parte della classe contadina. Il suo cuore aveva subito un duro colpo, il grande amore della sua vita, suo marito, era morto. Molte volte aveva guardato dalla finestra , verso i campi, nella speranza di cogliere almeno ancora una volta il suo bel volto mentre sudato rincasava dopo il lavoro. Aimè non era più possibile. L:“Alec ! Giuly! A cena!”.

Vedova con due gemelli, maschio e femmina, tentava di tirare avanti. Il padrone l’aveva tenuta lo stesso a servizio,come domestica. Non faceva più lavori nei campi. La casa dov’era in affitto era stata destinata ad una nuova famiglia, un giovane contadino con la moglie ed uno squadrone di figli, tutti maschi forzuti.

Leonia era stata trasferita nella dependance della servitù.

L:“Bambini, la zuppa si fredda!”.

Alec era intento a guidare una sedia , fingendo si trattasse un trattore. Giuly invece era appassionata di lettura e si stava dedicando ad un libricino di storielle per bambini, che aveva per protagonista un pulcino.

B: “Arriviamo arriviamo mamma!”.

Sgobbava parecchio, doveva lucidare l’argenteria, gli ottoni, pulire gli scaloni, rassetare i letti, spolverare. All’ora di pranzo era compito suo lavare tutti i piatti e le padelle. Non era cosa da poco, la signora era una donna di mondo ed aveva sempre ospiti illustri.

Leonia non aveva un vero e proprio stipendio, le erano garantiti vitto e alloggio per sé e i figli, in più una mancia domenicale.

Ernest, il suo defunto marito, era un bell’ uomo ,sensibile e ambizioso. Avevano grandi progetti e idee. Ora era impensabile desiderare qualcosa in più, soprattutto per una donna. Era già fortunata ad avere cibo nello stomaco!

La vita è lotta, doveva essere come due genitori insieme. Alec era piuttosto vivace e incontenibile. Non aveva mai voglia di studiare, disubbidiva e combinava scherzi. Come quella volta che aveva aggiunto la “ Frizzina” nei calamai dell’inchiostro a scuola. Fortunatamente, vista la sua situazione , la maestra aveva risolto la cosa senza dire al preside chi era l’artefice della burla. Leonia si vedeva costretta ad essere dura ed usare il pugno di ferro con lui. Che scavezza collo sarebbe diventato altrimenti!

Giuly, invece, era tremendamente vergognosa, studiava e basta . Aveva l’abitudine di rintanarsi in rifugi segreti, dove rimaneva nascosta per ore. Con lei doveva essere sempre insistente e spronarla o non avrebbe raggiunto mai nessun obbiettivo, chiusa nel suo guscio.

La padrona , Esme,organizzò una lotteria di beneficenza. In Palio mise molti oggetti preziosi :” Cofanetti tempestati di pietre, carillon, vasi, quadri, cassepanche in legno d’acero e rosa, tappeti, arazzi e uno specchio.”. Il primo premio , il più importante, era costituito dall’atto di proprietà di ben tre mucche da latte.

Leonia aveva sistemato tutto alla perfezione per il grande evento. Esausta andò a prendere i bambini a scuola . La sera baciò i piccoli sulla fronte e coricandosi pensò :”Ernest caro, se ancora esisti e pensi a noi dammi un segno ! Qualcosa che mi faccia capire che ci sei vicino!”.

Nel sonno iniziò a sognare. C’era Ernest vestito da sposo,ed anche lei era in abiti nuziali. Lui le strinse la mano e delicatamente la guidò in chiesa. Entrarono e passarono oltre. Continuarono a camminare e camminare. Arrivarono nella scura cripta del cimitero. Leonia iniziò ad agitarsi. Poi Ernest spinse con forza una lapide che cadde , lasciando entrare una luce molto intensa. Dall’apertura intravide una piccola e graziosa casa di città, con un giardino intorno. A questo punto il marito aprì la mano destra mostrando un biglietto della lotteria e disse: “ Forza Leonia! Prendilo”.

Al mattino Leonia rammentò il sogno. Era folle , ma decise di usare tutti i suoi risparmi per comprare il biglietto della lotteria. Aveva chiesto un segno e le era stato dato, non poteva ignorarlo. Purtroppo non erano sufficienti. Decise allora di vendere la fede del marito. Comprò il biglietto. Incredula Esme le mostrò il blocchetto. E: “ Sei sicura Leonia…la fortuna è imprevedibile e tu hai troppo da rischiare… lo dico con il cuore , credimi”. L: “ La ringrazio per le sue premure cara Signora ed amica. E’ vero che è imprevedibile e cieca, proprio per questo vi confido”.

Esme non si oppose oltre, Leonia scelse il biglietto che aveva per numeri l’anno del suo matrimonio e della sua vedovanza.

Fremeva d’ansia, il suo destino sarebbe stato deciso di lì a poco. Finito di servire gl’ospiti avrebbe avuto luogo la tanto sospirata lotteria.

Esme e suo marito Jhonathan presentarono la cerimonia e informarono i presenti dello scopo della raccolta fondi. I soldi sarebbero stati devoluti all’orfanotrofio cittadino. Loro figlia Perla era la mano innocente addetta al pescaggio dei foglietti.

In un attimo i numeri si susseguivano, scanditi dalla melodiosa e pacata voce di Perla. Gli oggetti furono destinati in un baleno, uno dopo l’altro.

Era ora il turno del bellismo specchio di ottone, tutto lavorato a forma di riccioli barocchi, con piedistallo. La sorte lo destinò a Leonia. Sicuramente era un oggetto prezioso, non le avrebbe cambiato la vita, però dalla sua vendita avrebbe ricavato abbastanza per far proseguire gli studi ai suoi figli, oltre che recuperare i risparmi persi.

Tutto sommato era andata bene, contenta ritirò il suo premio. Mentre tornava a sedere guardò l’immagine riflessa nello specchio. Con stupore vide che il volto che le sorrideva era quello di Ernest. “Non è possibile!” pensò trasecola. Dopo alcuni istanti l’immagine svanì.

Le sorprese non erano ancora finite, il primo premio andò a Lord Delhawere. Lord Delhawere era il più ricco della contea. Questi , con gesto magnanimo, rinunciò alle mucche. Ne possedeva a sufficienza. Fu deciso allora di ritirare tutti i biglietti dei presenti e ripetere l’estrazione. Scrosci di applausi per il buon Lord.

Leonia non poté credere alle sue orecchie, le tre mucche erano sue. Con quelle i sui guai erano finiti!.

Tutti la guardavano increduli. Alcuni si rosicchiavano le dita dalla rabbia. I meno abbienti tifavano per lei. I padroni di Leonia sapevano di aver perso una valida collaboratrice. Nonostante le lamentele tutto fù dichiarato legale ed effettivo dal notaio.

Vendute le preziose bestie, con l’aiuto di un amico mediatore, si trasferì in città, dove iniziò il lavoro di sarta. Ben presto poté aprire un piccolo laboratorio tutto suo. Assunse anche due operaie. Alec e Giuly poterono accedere agli studi superiori e fù così che la povera Leonia si rifece una vita.

Tutte le notti, prima di coricarsi, guardava nello specchio d’ottone, dove il suo caro Ernest le rispondeva con un meraviglioso sorriso. Gli doveva eterna gratitudine!


OLIVIO E IL CANE

Olivio era un ragazzotto molto semplice e generoso. Adorava andare a pesca. Se ne stava ore intere pacificamente seduto in riva al fiume, con uno stelo d’erba tra i denti. Passava parecchio tempo anche a raccogliere funghi e lumache.

Metà del suo bottino lo condivideva con gioia con parenti ed amici. Viveva in una cascina molto vecchia e rustica con i genitori, il fratello maggiore e tre sorelle piccole.

Durante una sagra di paese aveva notato Marta, una sua coetanea, che danzava il liscio con una sua amica,sulla pedana realizzata per l’occasione.

Si erano subito piaciuti. I loro sguardi si erano uniti al ritmo romantico dell’orchestrina. Pochi giorni dopo erano fidanzati.

Venne il giorno della festa di Ognissanti. La sera Olivio doveva vedersi con Marta. Ester, la madre di Olivio ,non era d’accordo. L’usanza locale diceva che non era prudente andarsene a zonzo la notte dei morti. Strani e pericolosi fatti potevano accadere!

Ad Olivio non interessavano questi discorsi e non vi diede peso. Si mise in ghingheri e ,tutto profumato, si diresse verso l’abitazione di Marta. Una nebbiolina insidiosa si alzava dai fossi, come un fumoso presagio. Vicino all’argine di uno di questi intravide un cespuglio di delicati fiori selvatici. Decise di prenderli non gli piaceva presentarsi a mani vuote. Si chinò ed iniziò a coglierli. Quanti ce n’erano! Si sporse sempre più . Ad un tratto sentì un brusio di voci e passi che bisbigliavano quatti quatti. Si girò ma non vide nessuno. O: “Ancora uno e siamo a posto!”. Di nuovo quei rumori, stavolta però sembravano allontanarsi. O :” Meglio andare….sono sufficienti!”. Detto questo riprese il cammino. In un baleno fu tra le braccia della sua adorata. Marta gradì molto il suo gesto.

Prima che sorgesse il sole rincasò.

Dopo la Santa Messa del mattino decise di farsi un goccetto al bar. I suoi amici Marco, Paolo e Stefano lo aspettavano al bancone. Con loro c’erano due ragazzi che si erano appena trasferiti lì dalla città, si chiamavano Virgilio e Silvano. Erano tipi burloni e gioviali, ma con poco sale in zucca.

Marco: “Heilà Olivio come butta? Non ci avevi detto che avevi preso un cagnone bianco”

Silvano: “ Già , bella bestia , ma è meglio che la tieni al guinzaglio và, ieri sembrava avere un aria piuttosto feroce!”.

Olivio: “ Che cosa? Io non ho nessun cane, non capisco di che cosa stiate parlando! E poi ieri non vi ho visto, sono andato da Marta la sera , ma ero solo”.

Virgilio: “ Veramente ti avevamo visto passare e ci era venuta l’idea di farti un bello scherzo. Dato che era una ricorrenza particolare ci siamo mascherati con dei sacchi di grano in testa, con delle fessure per gl’occhi e il naso. Poi ti abbiamo seguito a distanza. La cigliegina è stata quando ti sei chinato a cogliere fiori. Come non sfruttarla! Ti avremmo spinto nel fosso, per calmarti i bollori, e alla fine ti avremmo spaventato con il nostro travestimento. Quatti e silenziosi avanzavamo. Ad un tratto , dalla nebbia, un grosso cane bianco, un Labrador forse, si è avvicinato a tè. Ci ha fiutato, si è girato verso di noi ed ha iniziato a ringhiare col muso. Possibile che non hai sentito i suoi versi?”.

Olivio: “ Ma và , quante sciocchezze! Non è ora che mettiate la testa a posto? Diglielo Paolo, che tu sei un po’ più saggio!”.

Paolo: “ Ti dicono il vero. L’ho visto anch’io! E’ corso verso di noi, minaccioso. Ce la siamo data a gambe in un baleno!”.

Olivio: “ Non so che dire….., chiedete ai miei genitori, sapete che non mentono! ”. Stefano : “ Lo faremo, lo faremo. Sono venuti anche loro a Messa nò? Andiamo ciurma”.

I ragazzi accerchiarono la coppia ponendogli la fatidica domanda. I coniugi risposero che non avevano un cane da quando il fedele Asso era andato sotto il treno.

Ester : “ Perché questa domanda?” chiese.

Impacciati le risposero.

Ester si innervosì parecchio, era uno scherzo troppo pericoloso : “ Stupidi giovinastri! Non si fanno queste cavolate!”.

Ragazzi : “ Suvvia non ci dica così! Ci scusi….”.

Quando furono a casa per il pranzo Ester diede una spiegazione dell’accaduto. Le bambine ascoltavano col fiato sospeso. Secondo lei il cane era uno spirito. Uno spirito buono che aveva percepito che lo scherzo sarebbe finito molto male per Olivio. Così era intervenuto in suo aiuto. Magari era stato inviato da Alessandrina, la nonna che aveva una venerazione particolare per quel nipote tanto affettuoso con lei.

La sua teoria fu accolta da tutta la famiglio.

Olivio pose sulla tomba di Alessandrina dei gigli bianchi, in segno di gratitudine. Se mai avesse avuto dei figli li avrebbe chiamati come lei!


LA FINE RIVISSUTA

“Mi farò una bella camomilla calda” si disse Tatiana. Mise a bollire l’acqua e prese le bustine. Stanca si sedette sulla sedia ad aspettare.

Suo marito Conrad era già a letto, tra pochi minuti lo avrebbe raggiunto,era molto stanca.

Suo figlio Moreno era al bar con gli amici, alle undici sarebbe andato in discoteca , come da copione.

Tatiana era un tipo molto riflessivo e malinconico. Non aveva avuto una vita facile a causa della prematura morte del padre. Era seguito un periodo di povertà, poi grazie ai sacrifici e al lavoro si era ripresa.

Il bollitore emise un fischio, era pronta l’acqua. Si alzò per avvicinarsi ai fornelli quando fù investita da una gelida corrente alle sue spalle. Eppure le finestre erano ben chiuse. L’intensità del freddo aumentò, facendo crescere dentro Tatiana una terribile emozione. Si sentì colpire, come da un’automobile in frenata. Angoscia, tanta angoscia. Tatiana perse l’equilibrio e cadde a terra, seguendo il volere della misteriosa corrente.

Era come se la sua mente si fosse immedesimata con una persona in stato comatoso. Sentiva tutto quello che le accadeva intorno. Lei, o meglio la persona di cui sentiva le emozioni, non sapeva dove fosse, cosa le stesse accadendo. Era un ragazzo, un ragazzo giovane. Lo spirito maschile si agitava, voleva sapere, voleva vivere. Perché dunque non poteva?

Tatiana voleva che uscisse da lei. Era sconvolta da ciò che percepiva. Provava una gran pena per lui, avrebbe voluto aiutarlo. C’era qualcosa di famigliare in lui, probabilmente lo conosceva.

Lo spirito del ragazzo si sentiva intrappolato in un corpo morente, che non gli permetteva più di esprimersi, di interagire con i suoi cari, di avere un futuro o di trovare l’amore. Si opponeva al destino con turbamento, ma alla fine la morte era sopraggiunta.

Tatiana avvertì come se anche il suo corpo venisse annullato. Prima che l’esperienza diventasse insopportabile per lei lo spirito iniziò a lasciarla. Nel frattempo Conrad, che aveva udito il trambusto, si era precipitato in cucina. Vista la moglie a terra le si era avvicinato, ma al primo contatto delle sue dita con la pelle di lei era indietreggiato interdetto, colpito dalla medesima ondata glaciale.

Tatiana si riprese , aprì gl’occhi e ancora sotto shock si rialzò molto lentamente. Conrad fece altrettanto. Si guardarono sconcertati e Tatiana gli raccontò l’accaduto in maniera sconclusionata. Decisero di chiamare Moreno, forse aveva avuto un incidente e il loro istinto genitoriale li aveva avvertiti. Tatiana prese la cornetta e chiamò il figlio al cellulare. T: “ Rispondi…dai rispondi…per amor di Dio risp… ah tesoro ,tesoro mio tutto bene ? Grazie al cielo”.

Moreno era in perfetta salute, era appena arrivato nel parcheggio della discoteca.

“Se non è lui chi poteva essere?” si chiese. La risposta le venne presto in mente. Quando era più giovane un suo caro ed affezionato amico , Arturo,era stato investito da un’auto di ubriachi. Dopo una giornata di coma si era spento. Allora si era interrogata spesso sull’ingiustizia dell’accaduto. Non gli faceva più visita perché quest’anno suo marito aveva cambiato lavoro e si erano trasferiti. Consultò il calendario, la data era quella dell’anniversario dell’incidente.

Cosa potava fare per il suo amico ormai passato a miglior vita. Forse il suo spirito non si era ancora rassegnato e aveva bisogno di amore e preghiere per poter andare oltre. Aveva già sentito parlare di queste cose da sua nonna.

Si rivolse al prete del suo vecchio paese. Insieme organizzarono un gruppo di preghiera per aiutare il povero Arturo.

Un pomeriggio andò sulla sua tomba e la fotografie le parve un poco diversa dal solito. Le labbra di Arturo erano leggermente piegate in un sorriso di pacata gratitudine!