Poesie
Prologo
Monaci cistercensi circoncisi
su monocicli circensi
circondano con cerchi concentrici
monaci cistercensi circoncisi
su monocicli circensi
circondano con cerchi concentrici
monaci cistercensi circoncisi
su monocicli circensi
circondano con cerchi concentrici
monaci cistercensi circoncisi
su monocicli circensi
circondano con cerchi concentrici
monaci cistercensi circoncisi
su monocicli circensi
circondano con cerchi concentrici
monaci cistercensi circoncisi…
#1
Animo vetusto d’un corpo bambino,
sono il germoglio non piantato
del seme bacato.
Perché colore agguerrito
insisti a tumefarti?
Perché dagli occhi dei volti dalle mani giunte
trasmigrano sempre rondini senza becco?
Si bagna il silenzio
di sospensioni ritmate
dalle madri lacrimanti d’amor stitico.
L’esser mio nudo
di fronte al baratro dell’ignoranza silente,
per paura
tace di rimaner nudo di scherno
di fronte al nero comprendo
che tutto rifulge.
Si tace… si tace… si tace.
Ferme le rughe di pensiero,
si fanno ammaestrate
sul perché degli stolti.
Si tace…
Epilogo
Derido orgoglioso il giullar di me stesso
con l’anima vuota di chi è caduto spesso,
di chi cade con baldanza portando a stendardo
il cuor reticente d’un umile bastardo.
Ma oltre l’armatura di scocca e onore,
alzava la mano dal calice ricolmo,
degli occhi fugaci di scuro splendore
di lei con timor si faceva contorno.
Ce n’è per chiunque, è discrezion d’ognuno
alzare le mani in segno d’arresa,
di risate il giullar nell’animo bruno
non può che lasciar d’allentare la presa.
Dello stanco menestrel lo stolto sorriso
si abbraccia col suo, d’amor stanco deriso,
la testa reclina, il capo è reciso,
del giusto guascon dal mero sorriso.
Danzavan le foglie nel vento bizzarro,
come gambe ubriache del giullar che io narro.
Una triste canzone dal vento cantata,
che il goffo giullar dal vento deriso,
aveva preso del gioco le foglie per bella giornata,
come senza le nuvole il di lei pruno sorriso.
Ma il paggio cantor d’amore le storie,
di cupa rugiada solcavan le gote,
perché si sa, è affar d’ognuno,
del vile giullar amico è nessuno.
Allieta le danze, s’inchina alle dame,
dei giochi di corte ordisce le trame,
egli paga lo scotto, per ciò che gli spetta,
il dover suo compiuto è andarsene in fretta.
Ma in cor suo è contento,
non appago è il denaro,
ha colto un sorriso nel volto disperso
di lei che guardava, degli occhi d’un altro,
il semplice verso.
Ma in cor suo è contento,
lo scopo è appagato, doveva soltanto d’un cor umiliato,
far rinascer l’amore in un sorriso mancato.
E mentre s’inchina al signore di corte,
chi ride, chi balla, chi canta più forte,
saluta e ringrazia, rinnova l’inchino,
sorride alle dame di spalle reclino.
S’inchina e si volge con mesto saluto,
mentre a corte le dame continuan le feste,
non era sua intenzion, di chi sa ed è arguto,
della dama e il signor ubriacare le teste.
Il goffo pennacchio,del giullare mio buono,
pregò ogni giorno della dama il perdono.