PARIGI, 13 NOVEMBRE

 

A quelli che restano a bagnarsi nelle lacrime.

A quelle vite spezzate dall’insensibilità di un cuore malato.

Acque limpide erano i tuoi occhi,

i tuoi capelli corolle di fiori,

la tua bocca petali di rosa,

le tue ciglia ali di farfalla,

la tua giovinezza alito di vento,

prima che lo scorpione muovesse la sua coda,

prima che un tuono squarciasse la notte,

prima che la Senna si tingesse di rosso,

prima che il tuo stelo si stendesse da un balcone,

prima che i tuoi occhi si chiudessero nel sonno.

Un bagliore troppo forte ha spento il tuo sorriso.

La notte è divenuta troppo lunga da poterla sopportare,

troppo calda l’aria della città,

troppo freddo il mio cuore.

Il dolore mi copre come una tenda

mentre scorrono le immagini di te.

Il rumore assordante dell’odio ha riempito le tue strade.

La luna è rimasta senza luce,

come senza luce è rimasta la vita di quelli che fanno cordoglio.

Non posso accettare che un’anima sia così cruda

da non amare l’amore, la bellezza, la giovinezza, la pace.

Non posso accettare che un’anima sia così dura

da non amare Dio.

Una stella, stanotte, ha brillato più delle altre: è Parigi.

Non sarà il passare del tempo a farmi dimenticare di te.



LIVIDI NEL CUORE

 

Guardarsi allo specchio ma non voler vedere

quel livido nel cuore che ti strugge.

Le grida in testa che ti fanno male,

più male del dolore sulla pelle.

 

Quell’orco conosciuto e tanto amato

che fra lenzuola calde ti abbracciava,

com’è possibile che un sentimento dolce

s’ infranga come onde sugli scogli?

 

Ricordi sbriciolati in un istante.

Immagini sbiadite innanzi tempo.

Miscuglio di dolore e di passione.

Tremanti mani e pallido livore.

 

Appare senza senso tutto questo

mentre ti passi le dita fra i capelli.

La lacrima, che nera, riga il viso

e con la mano te la strappi via.

 

Sorridi e ti convinci: non è niente,

sicuramente non lo farà più.

Gli giaci accanto e sussurri ancora: t’amo,

mentre ti giuri: me ne vado via.

 

E’ nello specchio la gelida sentenza

se la paura è ancora il tuo padrone.

La lacrima che presto asciugherà

e il livido nel cuore che rimane.


 

Febbraio 1499

 

Forse camminava da ore. La notte era fredda, senza luna. Una pioggerellina sottile, ma insistente, le aveva reso il lungo abito scuro appiccicoso sulle gambe. E questo le creava disagio. Le caviglie affusolate faticavano a farsi strada in mezzo alla fanghiglia che si era formata sul sentiero. Non era cosciente di dove si trovasse, l’oscurità l’aveva resa cieca.

 Si sentì pervadere dalla paura. Il cuore cominciò a batterle forte, si portò una mano al petto, come se questa potesse calmarne il ritmo; con l’altra si scostò dalla testa il velo nero che la ricopriva e dal viso i capelli bagnati che le scendevano pesanti sulle spalle. Si arrestò.

 Gocce di pioggia le accarezzavano il volto e dal mento le scivolavano sulla scollatura quadrata del vestito. Il petto minuto si alzava ed abbassava sotto il respiro affannoso, mentre gli occhi cominciavano ad abituarsi al buio e, gradualmente, le cose intorno a lei prendevano forma.

 Improvvisamente fu come se già sapesse ciò che stava per accadere. Riprese la camminata a passi lenti, e i piedi nudi superavano incerti i sassi che la conducevano al fiume. Davanti a lei si stagliava lo specchio d’acqua, che le precipitazioni abbondanti avevano gonfiato, parzialmente coperto di rovi e sterpaglie. Con le mani si aprì un varco.

 Un brivido freddo le corse lungo la schiena. Sull’acqua, aggrovigliato fra i rami, avvolto in una camicia bianca, galleggiava il corpo di una giovane donna. I capelli castani le ornavano il volto che la nemica morte aveva reso cereo. La conosceva, oh, sì, la conosceva bene.

 Si sentì mancare e sprofondare in un vortice che pareva non avesse fine…

 Fu allora che Adele aprì gli occhi.

dal 1 capitolo del romanzo storico La Terra di Sopra (l’ombra mortale della notte)

di Fosca D’Agostino