DIVENIRE

Sarai stato un batuffolo biondo,
da subito sorridente,
con occhi di turchese
a illuminare le guance di latte:
quante volte ti ho immaginato così,
come un cucciolo che cresceva
troppo in fretta,
troppo solo,
sempre pronto a scavalcare muri
per cercare oltre l’orizzonte
una nuova vita.
Ora, che l’hai trovata,
stai continuando a crescere
troppo in fretta,
con i tuoi giovani sogni
e freschi entusiasmi,
proteso verso un altro nuovo orizzonte,
tutto da esplorare
come un novello argonauta.
Vorrei fermare un po’ questa corsa;
ma il ricordo di ciò che è stato il tuo divenire
mi accarezza il cuore
e mi guida al domani.
Al mio Serghei,
al suo divenire.


L’ ISOLA (di Bergeggi)

Mi fermo sulla costa
ad osservarla:
ecco l’isola,
scoglio solitario
dove i gabbiani vigilano
i resti di un piccolo monastero,
testimone di un antico passato,
inghiottito dalla macchia mediterranea
che sembra radicare
la pietra al mare,
dove il corallo è tornato
a popolare il fondale,
custode di un relitto
a lungo ricercato.
E’ questo il miracolo
dell’isola:
la vita che si rigenera,
i profumi mediterranei
nell’aria salina,
il mare blu
che schiuma sulla roccia,
scavando ripari per gli uccelli.
Un’armonia di luci e colori
racchiusi in uno scrigno
da scoprire.


IL BRAMINO

Stava seduto nell’atrio della stazione: immobile, rigido nella sua fermezza statuaria.
Non lo tradiva alcuna minima oscillazione, anche se il peso che portava sulla testa non doveva essere proprio una piuma: un grande turbante arancione più volte arrotolato e composto in forme allungate, quasi a formare un ventaglio di banane sulla parte anteriore, sopra la fronte.
Questo era dunque il segno distintivo che mi portava ad identificarlo come un appartenente alla casta dei bramini; i caratteri somatici, poi, confermavano la mia ipotesi, suffragata dai richiami alle letture giovanili di Salgari e Stevenson che la memoria aveva prontamente evocato alla vista di quell’ individuo.
La carnagione scura; la barba nera, di media lunghezza; il naso lungo e dritto; le palpebre, simili a due fessure, nascondevano gli occhi neri, profondi.
Dico “ nascondevano “, perché il bramino pareva dormire; ma, in realtà, apriva ogni tanto un occhio per osservare i movimenti intorno a lui.
Provavo uno strano senso di inquietudine di fronte a quella calma apparente, quasi irreale se paragonata alla continua agitazione di noi occidentali, unita all’ansia di controllare il bagaglio nelle sale d’attesa delle stazioni o degli aeroporti.
La sensazione di disagio divenne più forte quando la mia vista incrociò quegli occhi magnetici: volevo distogliere lo sguardo, ma non ci riuscivo……come se la mia volontà fosse sottomessa ad un’altra più forte, più potente, più terribile.
Ricordo solo che tutto ciò che avevo davanti prese a roteare, mentre mi perdevo nel bagliore rosso fuoco che partiva dal rubino cucito al centro del turbante.
Quando mi ripresi da quel torpore indotto, avevo solo il mio zaino, vuoto.
Il bramino si era portato via tutto, persino i sacchetti con le violette di Parma essiccate, che avevo acquistato per profumare la biancheria.
Stupidamente me l’ero immaginato prima come un thug di Suyodhana, poi come un bramino dell’ Assam: era solo un comune ladro, di cui ero stata una delle tante sfortunate prede.


 

LA COLLANA DELLA VITA

 

Mi hai insegnato

a gioire

raccogliendo

perle di fiume,

bianche e lucenti

come piccoli sogni meravigliosi;

mi hai aiutata

a scartare

i sassolini più appuntiti

per tenere solo quelli

più tondi e lisci:

pesanti da portare con sé,

ma variegati

nelle sfumature  della pietra…

Così, a piccoli passi,

ho imparato a costruire

la collana della vita:

ad essere serena

nella difficoltà e

a rincuorarmi

con un semplice ma grande

gesto d’amore quale

una carezza al viso

ormai data con la mano tremante.

 

                        A mia madre Emma,

                        la mia luce.


Il fagiano

 

Mi sento privilegiata ad osservare

un fagiano in città:

solitario,

regale con le sue piume

dai riflessi d’oro,

va alla ricerca di cibo

nel polmone verde

di fronte a me.

Ho paura che

qualcun altro

gli tolga la sua libertà,

gli faccia del male

solo per divertirsi.

Ma chi arriva o va via

non si accorge del fagiano:

non sono più capaci

di osservare la natura,

quasi tutti sono immersi

nel mare dell’indifferenza.

E lui, regale,

continua a cercare cibo,

a nascondersi tra i cespugli più fitti

per spiare l’uomo,

il potenziale pericolo.

                                 Franca Pogliano