QUI GIACE MIO PADRE

 

E comunque resto in attesa 

che schiarisca il tuo cielo 

mentre ascolto sciogliere le tue malinconie. 

Potessi il tuo tempo 

verrei a liberare le tue rondini, 

a fiorire la primavera,

far camminare i tuoi sandali

e, sono certo che il sole, riscalderà di nuovo  

questo generoso spazio di amore. 

Tu ora dormi, io conservo il tuo passato 

chiuso nel mio cassetto 

dentro la casa, ora vuota di quei tormenti.

Non ricordo la sera del solito novembre, 

ma stringo le tue mani che colano di calce 

e il tuo coraggio, che annaspa 

tra le fatiche della miseria. 

Tu, senza sapere, 

hai intinto la tua conoscenza dentro alla vita. 

Sopra questo piccolo solco,

ora, cadono le mie lacrime 

cariche di meravigliosa nostalgia,

servono per dissetare il tuo cuore, 

mescolato alla terra e sbocciato in un fiore.


 

QUANDO UN AMICO SE NE VA 

 

Quando, nel controverso risveglio 

di un nuovo, denso mattino, 

mi pesa attraversare il corridoio del giorno, 

metto nella mia valigia di poesia le tue parole 

e, nella mia ansia,

la sicurezza della tua mano stretta. 

Non c’è stata àncora più forte, 

per tenere ferma la mia nave, 

non ho mai provato il silenzio della solitudine,

quando ero ammalato, 

la tua medicina mi ha salvato.

Non ho mai provato paura 

e, come Dante attraversando l’inferno

al fianco di Virgilio,

ha sfidato lo spavento di conoscere 

le atroci conseguenze del peccato, 

così, io ho attraversato parte

della mia esistenza al tuo fianco, 

noi abbiamo camminato molto della comune vita

Insieme, 

nella sfida di sogni, che abbiamo condiviso.

Dopo sessant’anni 

questo lungo viaggio nello spazio 

non ci ha avvicinato di un passo alla luna, 

ma quante volte la luna 

ha rischiarato le nostre serate chiassose 

e ha illuminato la nostra voglia di parlare,

mai stanchi delle nostre risate.

Quanto è stato lungo il nostro viaggio 

e quanto tempo è passato dai nostri vent’anni? 

Non perdiamoci amico, 

io non potrei stare senza di te, 

non andare via 

senza lasciarmi il tuo nuovo indirizzo 

e raccontami ancora 

quella storia che mi faceva ridere 

per come la sapevi raccontare tu. 

Tu devi partire, è giusto,

io devo farmi una ragione, 

si, sorrido anch’io, 

ora, come mi chiedi, ti lascio la mano 

e resto in silenzio a consumare i ricordi, 

mentre inizia la mia agonia. 

Addio amico mio, 

nelle nostre serate sfiorate dalla memoria, 

ci eravamo dimenticati di questo giorno, 

non abbiamo mai scommesso su chi di noi,

sarebbe rimasto qui immobile 

a poggiare la mano sul marmo gelato.

Ma non importa amico, 

ora vai, lasciami piangere e vagare

tra i tormenti delle nostre estreme parole.


 

 

LA BONTÀ DI DIO

 

Un giorno, Il sole si avvicinò troppo alla sera e cadde improvvisamente In un pozzo profondo, allora il pozzo chiese aiuto al suo secchio affinché lo raccogliesse e riuscisse a tirarlo su, verso il cielo. Il secchio purtroppo capì di non essere in grado di poterlo fare da solo e si disperò nel vedere il sole sprofondato cosi tanto, da scorgere a malapena i raggi della sua luce mentre l’acqua dentro al  pozzo, inclemente, lo stava piano piano spegnendo. Anche la luna, senza la luce del sole, si stava spegnendo cominciando a gelare nel cielo e, solo poche stelle lontane tenevano ancora in vita la terra, ma senza il sole, la vita avrebbe avuto breve durata. Il povero secchio cercò di chiedere aiuto al mattino, ma anche lui era sparito; senza il sole, il mattino non esisteva più, così come la sera e tutte le stagioni.

Appena si avvicinò un uomo, incuriosito perché aveva notato cadere il sole proprio dentro a quel pozzo, il secchio ebbe modo d’invocare anche il suo aiuto e lo stesso uomo, molto meravigliato e pieno di preoccupazione per quanto accaduto, si rivolse al pozzo chiedendogli il motivo per cui, il sole, fosse caduto: “non sono sicuro che sia caduto” rispose il pozzo, “ho più l’impressione che sia voluto cadere apposta ed ora giace nella parte più bassa e nascosta e, quando l’ho visto passare, sembrava che piangesse”, Intanto la terra cominciava a sentire l’assenza del sole, così come l’umanità che, fino a quando egli brillava in cielo, riteneva fosse tutto normale, tanto normale, da non godere, neanche, della sua presenza. Solo ora che non c’era più, tutti ne sentivano il bisogno. Il suo calore, era diventato un’assenza fondamentale per la vita di ogni specie vivente. “Forse”, pensò l’uomo “sarà stata la nostra arroganza” o, “forse, il sole, era stanco di riscaldare ogni giorno senza che nessuno si accorgesse di lui o, forse, potrebbe essere rimasto male della carenza di gratitudine nei suoi confronti”. Ma quell’uomo non trasse delle conclusioni e decise di rivolgersi al vento e, anche lui, con un filo di fiato, si lasciò andare e raccontò che negli ultimi giorni, i raggi del sole sembravano più tiepidi e quando gli soffiava più vicino, lo sentiva che si lamentava e le sue tormente erano molto più frequenti. “Ma perché?” Domandò l’uomo, il vento, a quella domanda non rispose, ma consigliò l’uomo affinché provasse a chiedere alla pioggia che, quando stava ancora sulle nuvole, era l’unica che aveva avuto modo di rimanere più vicina al sole e chissà quante volte ci aveva parlato!  Rivoltosi alla pioggia e, dopo le risposte della stessa, l’uomo si rese conto che ciò che aveva immaginato, collimava molto con la realtà dei fatti. La causa principale della sparizione del sole, era proprio da attribuire all’uomo: “Si”, raccontò la pioggia “il sole più volte mi aveva confidato di essere stanco delle disattenzioni dell’umanità nei suoi confronti e di non sentirsi più capace di riscaldare ancora gli animi della gente, oltre a sentire di non rappresentare la speranza di ogni uomo, da lui sempre manifestata, con orgoglio, ogni giorno, con la sua potenza e la luminosità dei suoi raggi pieni di calore. “Era proprio l’uomo che non lo ammirava più”, continuò la pioggia, “come si fosse dimenticato che, se tutto vive, è proprio grazie alla luce del sole, alla sua bontà di distribuire il suo calore”. 

Questa vicenda diventava sempre più incredibile e l’angoscia che assaliva l’uomo si spandeva piano piano nell’universo, lasciando il mondo buio e freddo. intanto la pioggia non parlava più e si stava, piano piano tramutando in piccoli fiocchi di neve. Allora l’uomo pensò di andare a chiedere aiuto alla montagna, da sempre rifugio segreto di Dio. Camminando, entrò attraverso un cunicolo e, fermandosi proprio nel suo cuore, comincio a parlarle, si confidò con lei e, durante la sua spiegazione l’uomo, si mise a piangere, gemendo della sua stupidità e del suo egoismo. Non smetteva di singhiozzare e, dal pianto, stentavano ad uscire anche le parole e, quelle poche che si riusciva a percepire, parlavano solo di rammarico e pentimento. La montagna non rispose, ascoltò il disagio dell’uomo, lo guardò con immensa pietà e, sempre in silenzio, gli regalò una moneta che teneva nascosta dentro uno dei suoi crepacci. L’uomo si meravigliò di quel regalo, ringraziò la montagna e nel viaggio di ritorno verso il pozzo, si accorse che quella moneta brillava e, tenendola tra le mani, emanava un tepore caldo che lo faceva sentire bene. Stava bene e godeva, come quando viveva il tepore di quelle giornate serene, illuminate solo dai raggi di quel sole, ora tanto desiderato. infine, osservando quella monetina, si accorse che, su una delle sue facce, c’erano impresse delle piccole parole che dicevano: “DIO È UN DESIDERIO PROFONDO”.

In un attimo intuì che cosa doveva fare, capì il significato di quelle parole e capì, definitivamente, che il sole non si sentiva più desiderato e, per la sofferenza, era andato a rinchiudersi proprio in quel pozzo dove, spesso, l’uomo gettando delle monete, vorrebbe esaudire i suoi “ambiziosi” desideri. Soprattutto quando l’uomo ha un desiderio di amore e, confuso da quel sentimento, si convince nel pensiero che il pozzo possa esaudire quei desideri o, perlomeno, nel suo intimo, l’uomo, lo possa confidare al pozzo. Come se quel pozzo rappresentasse l’ambito recondito dove è depositata una verità sconosciuta, capace di trattenere un’acqua vitale e una speranza in più, che non esaudirà quei desideri, ma permetterà di accendere una sensazione di piacere, come se qualcuno ci ascoltasse. Questa richiesta la si può fare pagando il prezzo di una monetina, un valore simbolico, come per dare un prezzo al nostro umano bisogno di sentire qualcuno o qualcosa che crede in noi e che accondiscende ai nostri desideri profondi. Si, il sole, poteva cadere solo in quel pozzo, pensò l’uomo, come se fosse il profondo della nostra anima, soppressa e inaridita dal nostro, scriteriato egoismo. E ora quella piccola moneta, da sola, aveva suscitato di nuovo il desiderio dei raggi di quel sole e poteva essere la risoluzione alle difficoltà dell’umanità. Quell’uomo l’aveva ottenuta grazie al buon sentimento della montagna che gliela aveva donata senza proferire parola, ma che, probabilmente, attendeva il risvolto della sua intuizione, quelle parole scritte sulla faccia erano state risolutorie e volevano far capire all’uomo, quanto pesa il desiderio. Quella monetina gettata nel pozzo, era il simbolo della verità che l’uomo aveva soppresso e gettarla proprio nel pozzo dove si era nascosto il sole, avrebbe fatto capire, allo stesso sole, il suo rammarico e la sua voglia di rivederlo risplendere in cielo. L’uomo, con il cuore in gola, si avvicinò al pozzo e, impaziente, preso dal desiderio che quella moneta gli aveva di nuovo trasmesso, la gettò, senza titubanze dentro al pozzo. In un attimo si scatenò una luce dal fondo e un frastuono quasi giocoso, l’istante di un sorriso ed il sole s’involò verso il cielo, tornando a brillare, felice nel sentirsi, di nuovo, amato. Tutto si riaccese, l’intero il creato tirò un sospiro di sollievo e l’umanità capì che la sua vita dipendeva e dipende da quella fonte essenziale, dal suo quotidiano calore e il nostro di lui desiderio, è la forza principale che mantiene accesa quella luce.

Pensate! Se l’umanità si dovesse dimenticare ancora dell’esistenza del sole e il sole sparisse, ma, questa volta, non si facesse più trovare!!

 


11 SETTEMBRE 2001

Ti ho guardato negli occhi,
quando fiero hai ucciso te stesso.
Ti ho visto soccombere piano,
hai ucciso anche me,
nello sguardo il tuo ultimo pianto.
Io da solo sorpreso, incantato,
nella rabbia e la fede di salvare te stesso
Hai ucciso anche me
che credevo al tuo chiedere aiuto.
Ma ti hanno ingannato, non è solo morire
per la morte di altri che si cambia il destino,
la tua carne si accalca sopra i tuoi nemici
e forse si confonde, nello scempio crollare.
Il tuo sangue ha lo stesso colore del mio
e scorre rovente sulla spina del mondo.
Se sei stato un eroe non cantare te stesso,
il valore di un figlio, che invoca sua madre,
è molto più grande della tua misera impresa.
Soldato di chi, forse, ti ha illuso
lasciandoti solo un boato agghiacciante
e il tuo cuore a marcire per sempre,
sepolto, dimenticato per quei giorni
dove ancora potevi stringere la piccola mano
di un bimbo, che avrebbe voluto correrti accanto.
Anche di me perderanno memoria
e sarò solo marmo sul quale pregare,
martire scelto, anche se io non volevo.


IL MIO CIMITERO

Il giardino
Che si apre sul mondo
nel quale riposa
Gran parte del mio passato.
Poche croci
tanta fatica da mettere insieme,
carne ed ossa donate alla terra,
e confuse anime mai più spaventate da nulla.
La morte ha spezzato il tormento, il dolore, la vita
resta solo una data
e, sul marmo, che raffredda
lo sguardo,
ogni foto sembra scattata
in un giorno, magari, di festa,
ma che non rifletteva la fine.
Quale miseria riserva
L’inerte sostare
A far crescere fiori e soffiare,
coll’anima sull’incerto vivere
nella certezza, tragica,
che la morte è vicina
giorno per giorno.


SENZA PAROLE

Il tuo sorriso,
la cometa che attraversa il cielo della mia estate romantica
e questo caldo che scotta la pelle
e accende la sensazione di te, qui, vicino.
Scivola un bacio bagnato d’amore nella carezza della tua mano
e, violando ogni tabu, oltre ogni spazio,
Tu, ora, mi appartieni.
Un sussurrio di parole sconnesse, veementi
E la tua meraviglia tra le ciglia racchiuse
ad aspettare il mio vento impetuoso.
Intanto mi offri i tuoi fianchi per ondeggiare l’amore
sino a quando l’amore penetra,
lacrimando nell’immenso delirio, unico pianto.
Poi,
raccoglieremo ogni goccia di tenerezza
Sino al tramonto del sole.