C – 1995.04.26. Stupore

Cosa accade
in questi giorni di tristezza ?
Cosa capita al mio cuore,
un tempo straripante di sole?
Cosa mi costringe ad udire
nel mare tremolante
il gemito della partoriente,
o il richiamo terrificante
del temuto pirata saraceno ?
Anziché misurarne
la bellezza secondo
la frescura d’un bagno estivo
o l’eccitazione per i pesci
da pescare?
Cosa mi sospinge a vedere
sul rosso dorato del tramonto
una vela, gonfia di brezza,
avventurarsi a ritroso
nel tempo ? …
anziché domare un pensiero
troppo bramoso di orizzonti?
Chi ha rubato i miei campi,
splendenti di spighe mature,
con i loro riflessi di sole,
e le cascate di papaveri ardenti ?
Perché hanno divelto
la quercia possente
della mia volontà sviluppata,
e mi hanno reso schiavo
di una ragione arida e inutile ?
Qualcuno ha costruito una
barriera circolare di basalto nero
attorno alla stalla del cavallo alato
della mia fantasia scalpitante.
E con essa hanno chiuso anche me
in una sfera di cristallo,
dentro cui le grida dello spasimo
si riflettono all’infinito,
infilzando i miei timpani molli
e gli occhi, opachi per il tempo.
Ma fuori tutto è silenzio.
Tutto appare regolare,
come se nulla fosse avvenuto;
e le frecce offendono solo me.
Una spada di pensiero !
Tagliente come un bisturi,
lunga come l’attesa dei diritti,
dura come l’animo di
chi opprime il debole…
per infilarmela nel cuore
e cacciare questi invisibili
artefici del mio stupore.
Una spada siffatta vorrei!
Ma sento l’animo fremente
e intirizzito come una stella
di cielo invernale senza nuvole.
E penso che non ci sarà più
quell’aurora della speranza,
velata di nebbia silenziosa,
che profumava di salsedine
e prometteva nuove avventure.
Ecco, raccogliete pure
la salma rinsecchita
del mio pensiero inaridito,
che gira a vuoto per il monte,
come il ronzio affannoso
di un calabrone smarrito.


C – 2006.09.02 Vergine addolorata

Come da crogiolo di
desideri sgorgava il rivolo
rovente delle tue illusioni,
fatte di tenere carezze ed
immaginari baci infuocati,
di culle e di ninnananne.
Viveva in te la passione che
sa dare il cielo di Sardegna,
quando l’aspro profumo dei
vicini campi si separa dai
fiori selvatici ad impregnare
le case e gli stazzi dei villaggi.
Dal tuo cuore ardente
guizzavano i sentimenti forti
per il maschio senza volto,
per l’eroe fantastico, fulgido,
con le mani di seta e di fuoco,
venuto da lontano solo per te.
Approvavi l’amore eterno e le
lacerazioni profonde che comporta;
ma i giovani dell’immoto paese ti
avevano cagionato solo lievi graffi,
fatti di sguardi sfuggenti, che si
leniscono in breve del tutto.
Alla tua mente gonfia di
ansia e di speranza non arrivò mai
il dolce richiamo del volto sognato.
Giammai avvenne quel convegno,
che ti eri prefigurata come vero,
mille e mille volte, segretamente.
Eri nata per l’amore e la passione.
Avevi percorso come una martire
l’interminabile primavera della vita,
in una camera bianca, che ti staccava
dal mondo e dalle persone, in attesa
del dolce evento, fatale e definitivo.
Lo spietato ragno del tempo ha ormai
chiuso la ragnatela di sterili ricordi,
tessuta in silenzio sul tuo sesso.
Non potrai ormai dare alla vita il
frutto gioioso del tuo tormento,
da nutrire col latte dei tuoi seni.
E adesso, non potrà più esserci
chi saprà eccitare le tue corde,
come fa il musico con la chitarra.
Adesso, ormai, non ci sarà più chi
possa baciare il tuo petto turgido e
le cosce carnose, roventi di desideri.
Eppure, eri stata modellata per amare,
per le carezze di miele ed i sospiri,
per sostenere il cuore dell’amato,
per abbandonarti alla tenerezza
delle sue labbra ed accogliere la
forza vigorosa del suo desiderio.
Ah, che tristezza! Scorgere
l’anima tua dolente! Percependo,
tra le tue membra esauste e nel
cuore stremato, l’illusione pura e
integra della fanciulla, per una vita
incantata tra le braccia dell’amato.
Perfino i gradini della tua tomba
scenderai intatta con tale sogno.
E se sulla tua lapide fredda si
adageranno delle flebili stille,
non sarà la brina del mattino, ma
la traccia d’un pianto senza fine.
E piangerò anch’io che ti ricordo, come
si piangono i fantasmi degli uomini
senza voce, che infrangono lo scrigno
dei desideri ai bordi di una fossa,
senza che capiamo il loro dolore; privi
della pietà, e finanche della memoria.


F – 2006.10.14. Il pozzo senza fondo

Mi ero accostato ad un pozzo
da tutti creduto senza fondo,
perché forse conduceva a
a carsiche spelonche inesplorate.
Fin da bimbo mi curavo che
qualche oggetto dalla mia mano
non vi cascasse dentro.
Adesso io sto sul bordo assiso,
a guardare le notti e i giorni
cadermi dalla mano e scomparire
dentro la cava, senza il rumore che fa
l’impatto quando si giunge al fondo.
Cadono dentro in silenzio, come
se fossero gioie e pene d’altri.
Perché il cuore è vestito di neve
che l’ha coperto per troppo tempo
e che si scioglie solo con gli sguardi.
Penso al disinteresse ipocrita per i morti,
che si dimenticano come le rose secche,
come tutto quello che non ci serve più,
come la vecchia che non produce piacere,
come il padre che non da più beni ambiti.
Mi cascano dalle mani uno per uno,
alla guisa dei giorni inutili, che scendono
da soli dal calendario come foglie secche,
come frutti che marciscono sull’albero,
o speranze che non hanno futuro.
E sto lì a guardarli senza curarmene,
perché il mio cuore s’è chiuso anche
col ghiaccio bianco dell’indifferenza:
si è prosciugata la fonte delle lacrime,
che non riceve la linfa vitale dai monti.
Così, intravedo l’antica fiamma del mio
amore veemente, vacillare e attenuarsi;
e temo che si spenga, poiché l’anima mia
non immagina più dolcezze a venire,
né chi possa mai offrirgliene ancora.