Ombre

Staccate dal corpo
E dall’anima
Figuran solitarie
In fra i sedimenti
Sabbiosi e pallidi;
il mare si asciuga
sul nostro corpo bagnato
e non vi lascia che sale.
Pur nella gioia
Primitiva dell’acqua
Muovendoci anneghiamo
E ci prosciughiamo
Sterili come gameti
Donde più non nasce vita.
Spostasi il Sole
E sempre dietro lui,
vincolate dalla fisica,
l’ombre affaticate
dal sempre seguire …

e vorrebbero volare
muover sole i passi
per infondersi nel mare,
ma ingabbiate il corpo le guida,
senza non possono stare,
eternamente unite
da un nero patto
si disperderebbero,
se ‘sì non fosse, nella luce.

Ma proprio loro sono le ombre?
O non siamo forse noi,
che infondiamo il nostro corpo
nel mare azzurro,
che tingiamo il mondo
di variopinti accesi colori,
pur se traccia alcuna
rimarrà, il nero soltanto
sul nostro sogno trionferà spento.

Ecco che allora saranno le ombre
Che risorgeranno, di giorno,
dal divino Sole vivificante,
allora saranno le ombre
a viver durante l’eterno sonno
a muoversi durante l’infinito sogno,
che di noi getterà nell’oblio
ceneri, ricordi, frammenti,
compiendo lentamente
il giro del nostro sepolcro.

Oh! Vi sarà dunque un giorno..
Non più corrispondenza d’amorosi sensi,
saranno sole le ombre
a compier il lento giro
del nostro sepolcro.

Francesco Paolo Panei
Agosto ‘14


Linfa di Pioggia

In un giorno di pioggia
Il lieve e dolce sussurro
Che, dalla caduta lenta, mèni,
E solitaria, è come un pianto
Che goccia a goccia soffre
D’inusitato dolore affranto.

Piangi, o Madre Terra,
piangi sui sudati miei fogli e vani!
Lavami dell’esser solo uomo
E portami teco e fa ch’io t’ami,
come ama un uccello il mare,
odorando dappertutto il sale.

E dolce e vergognosa, sotto di un albero
è l’attesa del bagnarsi,
come d’un ladro ch’attende la preda:
d’ombra vaga, vago amante,
egli e spera e si pente
e, tormentato nel cor,
si cela tra le piante:

sì ad ogni uman vestigio mi ritraggo
temo d’esser derubato del tuo pianto,
mi sembra che sia già Maggio
e non più versi le tue stille.

Ma Settembre spalanca rabbioso
Le sue porte, tuoni e tempeste
Il cielo preannuncia uggioso
A purificar le brute teste.

E io sono qua, mesto, ma fermo
Chino a raccoglier i tuoi strali,
amante appassionato del mondo
e dei profondi e azzurri cieli.

E io son qua, mesto, ma fermo
A interrogar straziato l’animo
Se il calore del sole asciugare possa
Dall’odore del pianto versato
L’amaro inferno, vetusta fossa:
dell’uom che se ne va sicuro, il mondo abitato.

È passata la tempesta
E lotta con l’inverno l’estate,
pugile senza guanti.
Calerà su noi il Silenzio,
prima che l’incontro sia vinto.


Il denaro dell’uomo, il verde della Terra

E quando mi alzo
E straniato osservo
Quei pezzi di ferro
Buttati fra l’erba
Vedo che sono
Soltanto Soldi
Sparsi sulla Terra.

Restio mi decido a lasciare
Il giaciglio ch’ogne volta
M’insegna, allievo recidivo,
a parlar con l’erba,
e ad ascoltare in silenzio
cosa dicono stormi d’uccelli al vento
cosa sussurrano sugli alberi, le foglie.

Restio mi alzo a malincuore
Ma ora mi sento più vivo
Ora che so dove lo sguardo gettare,
ora che ho imparato a traversare
le valli di nubi illuminate dal Sole.

Francesco Paolo Panei
Dicembre ‘14