Pozzo Di Luce

La mia auto trasportò le mie membra verso una destinazione casuale. La musica condì il mio viaggio che pur essendo fisico, lo definirei mentale. Il mio sguardo atono avrebbe atterrito la fiamma natalizia di qualsiasi passante, bambini compresi. 26 dicembre 2012, 5 giorni prima il mondo non finì e le ottuse menti volubili cessarono di bere alcolici e fornicare senza ritegno portandosi appresso lo spaventoso baluardo apocalittico, una massa tra cui spiccavo anche io. E’ rimasto un freddo mattutino in mia compagnia durante questi giorni, che di tanto in tanto si divertiva a pizzicare la pelle con folate di vento, per vederla irritarsi quasi indignata. Oggi era un altro di quei giorni tediosi, dove tutti hanno qualcosa da fare tranne me.

Presi la macchina e… Nebbia.

Una coltre maestosa di nebbia copriva il paesaggio velandolo di mistero e rompendo la monotonia oziosa di quelle giornate; un paesaggio rurale, contornato da una mistica atmosfera magica rappresentata dai suoi abitanti di legno e foglie. Di certo inquietante ma altrettanto invitante, questa nebbia non mi scoraggiò dall’uscire di casa, anzi sembrò quasi chiamarmi verso lei sibilando leggere parole di candido invito. Non potei declinare tale offerta perciò eccomi qua. Il mio stupore era il fulcro del viaggio, gli occhi incollati al finestrino, rischiando di andare fuori strada, pur di assaporare quelle porzioni nebbiose di vita. Pensai di perdermi, di camminare su un terreno acquoso a piedi nudi in mezzo al nulla coperto di questa coperta di acqua gassosa. Così incalzante l’idea di non sapere dove si sta andando, non riuscire a vedere ad un palmo dal proprio naso avrebbe portato meraviglia ogni volta che avessi urtato un qualsiasi oggetto di qualunque luogo. Ma purtroppo non fu solo la noia ad accostarsi al mio fianco questi giorni, fu anche la tristezza. Disgrazia assurda dover conciliare queste due entità: la noia contribuisce a far scorrere lento il tempo mentre la tristezza, ingorda di lacrime ma allergica al tempo che scorre, si trova a vivere in un ambiente del tutto favorevole al suo proseguimento, al suo scopo, distruggendo l’ospite sotto un peso di pensieri torbidi, irrequieti e maledettamente dolorosi. Con questo mio stato d’animo mi diressi per il mio viaggio mentale in una corsa verso il nulla che sì, rallegrava il mio spirito libertino, ma non alleviava quella tristezza ormai da troppo tempo radicata e aggrappata al mio cuore.

Passarono veloci le poche case che dipingevano il paesaggio rurale, lo stesso dove per anni ho vissuto e che per sempre rimarrà nei miei ricordi, portandomi nel centro abitato dove la nebbia, da pesante coperta invernale si diradò diventando un lenzuolo estivo. Santo Stefano una volta arrivato sembrava non aver invitato nessuno ad uscire di casa… negozi chiusi, bar serrati, addirittura le strade sembravano infastidite dai pneumatici della mia auto mentre premevano su di esse. Ma non me ne preoccupai, non ero uscito per vedere qualcuno, ero uscito e basta. I miei pensieri, in quelle strade deserte, non fecero altro che incupirsi rendendo vano quel poco di viaggio rurale precedentemente assaggiato. Mi stava venendo meno la voglia di continuare sempre di più fino a quando non vidi una rotonda davanti a me. Pensai di prenderla e tornarmene a casa, chiudermi nella mia stanza e perdermi nella triste noia fino a quando il sonno e la stanchezza non fossero sopraggiunte.

Ma non fu così che andò.

Appena fuori i filari di case che mi premevano ai lati, in procinto della rotonda, la nebbia sembrò diradarsi ulteriormente a mostrarmi un qualcosa di assolutamente unico quanto meraviglioso.

Un pozzo di luce etereo sovrastava la città e fendeva la coltre nebbiosa che aleggiava ai suoi piedi colorando l’aria di un arancione pallido e giovane, un contrasto magnifico di un colore caldo in un luogo affollato di colori freddi. Dal suo interno un bianco folgorante allargava le braccia quasi a voler catturare ciò che di male persisteva in questo sputo di terra dimenticato dal mondo. La tristezza aprì la mia bocca lasciandola capitolare, mi salutò e volò verso codesto essere inanimato dalle parvenze mistiche e straordinarie. La noia, confusa in mezzo alla nebbia, si volatilizzò lasciando il mio piccolo ed esile corpo di fronte a quel colosso di luce circolare. Non seppi cosa fosse, il mio stupore era troppo per poter ragionare, ma avrei giurato di conoscerlo e di averlo visto altre volte. Aveva un’aria così familiare e avevo una percezione in me, una piccola voce che mi sussurrava e continuava a dirmi: “Sole”. L’astro da cui noi possiamo trarre vita mai come allora mi colpì nell’animo così profondamente. La mia mente impazzita ed eccitata cominciò ad elaborare qualsiasi situazione impossibile per trasformarla in possibile e si spiegò così davanti a me una strada verso un viaggio ultraterreno. Caddi nel pozzo, la luce mi avvolgeva man mano che il mio corpo acquistava velocità, una sensazione di vuoto smosse i miei organi che presero così vita e li sentii ridere e parlare tra di loro. Vidi paesaggi interminabili mentre cadevo, riflessi sulle pareti di quel pozzo infinito: scorsi ghiacciai imperiosi, distese senza fine di campi con qualche punta di bestiame a popolarlo, città enormi ed un’enorme massa di persone, chi preso da impegni, chi preso dalla felicità, chi stanco e assonnato e… Potrei continuare per ore, quel viaggio attraverso il pozzo sembrò interminabile, mi sentivo così bene, così rilassato ed emozionato contemporaneamente, il tempo era solo un tedioso dettaglio di una giornata inutile, la stessa che lasciai nella macchina ad aspettarmi. Ma aspetta… La macchina?

 

Mi risvegliai tra il fumo e la confusione, un odore pungente di benzina si faceva spazio nelle mie narici provocandomi dei dolori lancinanti al taglio sulla tempia appena procurato. Sgorgava una quantità industriale di sangue, avessi avuto la lucidità di raccoglierlo a quest’ora mi sarei pagato una vacanza. Il cofano della mia macchina aveva baciato, preso probabilmente anche lui dall’emozione, il palo al centro della rotonda. Il parabrezza in frantumi e tanto mal di testa. Feci per uscire e fu lì che esplose l’air bag soffocandomi e spaventandomi più che mai. Mi premette sul sedile come una donna in astinenza e diede a quelle povere mie membra un ulteriore odore putrido stagnante. Sfondai la portiera e finii sul terreno bagnato della rotonda, aprii le braccia e con il ventre rivolto verso il cielo, spinsi la mia testa all’indietro creando un contatto umido con l’erba a terra. Era ancora lì, il sole stava ridendo di me a squarciagola, sentii chiaramente le parole:”Ingenuo dove speravi di andare?”. Dovrei essere preoccupato per la macchina? Preoccupato per la mia incolumità? Sentivo ballare una costola nel mio fianco sinistro, come presa da una musica esotica dal ritmo fluente e trasportante, come la musica che ancora a stento si sentiva dalla mia auto. So per certo che una parte di me era rimasta intrappolata in quel pozzo di luce e ora era li che mi guardava, sorridendo, come aspettandosi un qualcosa da me, un qualcosa che iniziò a svegliarsi in me. Con gli occhi piantati verso il Sole, incurante dei passanti che accorrevano in mio soccorso gridandomi parole senza senso, disegnai sul mio volto un sorriso e insieme alla musica cominciai a cantare e a ridere.

Era questa la mia meta? Probabilmente è così. Posso esser definito “Folle” ma senz’altro, in mezzo a tutta quella nebbia, ero riuscito a trovare la felicità.